giovedì 26 novembre 2020

TAIPI di Herman Melville

Il nome di Melville resterà nell’eternità legato al suo stratosferico capolavoro, Moby Dick, che lo innalzò tra le maggiori personalità della fine dell'Ottocento americano. Lo scrittore statunitense esplorò problematiche basilari dell'esistenza quali il rapporto tra uomo e natura, i limiti della morale comune, l'essenza del male, attraverso lo scriteriato inseguimento da parte del capitano Ahab alla balena bianca, che assume i contorni di un dramma faustiano in cui l'uomo, nel tentativo folle di trascendere i limiti propri della sua condizione, condanna sé stesso e i suoi seguaci al baratro morale, all'annichilimento della ragione, alla morte. Tali temi sono parzialmente espressi non solo in Moby Dick, ma anche in TAIPI, il romanzo che Gloss ha ultimato di leggere. A fatica, stavolta. Per rispetto alla grandiosa capacità letteraria di Melville, Gloss non si è servita degli imprescrittibili diritti del lettore. Ma avrebbe tanto voluto per aver letto la narrazione di vicende in tono pedissequo. Il merito dell’opera risiede nell’aver messo in luce le angherie dell’uomo “civilizzato” contro i cosiddetti “selvaggi”, in realtà viventi nell’unico vero paradiso terrestre in armonia celestiale tra loro, quello, per intenderci, dove avrebbe vissuto Gaugin, cannibalismo a parte. All’epoca, a noi progrediti, quella pratica fu venduta dai colonizzatori come nefandezza rivolta a chicchessia di vivente, per giustificare le loro, di nefandezze. In realtà, oggi sappiamo come fosse occasionalmente praticato nei confronti di quei nemici di cui ammiravano forze e coraggio dimostrati in battaglia e solo dopo morti. Pare che Melville vi avesse soggiornato in seguito al naufragio della vascello su cui si imbarcò in cerca di avventure nel mondo e le avesse trovate proprio nelle isole Marchesi, le odierne Filippine. Inizialmente ottenebrato dalle dicerie opportunamente diffuse da e tra conquistatori, poté accorgersi di persona quanto fossero fasulle e opportunistiche, proponendosi lo scopo di divulgare a tutti e tutte quanto gli stessi conquistatori fossero delatori di sevizie, ingiustizie, cannibalismo morale, vituperi di ogni genere. E proprio in questo suo obiettivo ristà la grandezza dell’opera di Melville.

Consigliato agli assetati di giustizia e riabilitazione dei popoli cosiddetti selvaggi, agli spiriti avventurosi, ai ricercatori della verità.




martedì 17 novembre 2020

LA DONNA DELLA DOMENICA di Fruttero & Lucentini

La E commerciale tra i due cognomi denota non solo la sodale unione societaria, ma persino la fratellanza fra gli scrittori Carlo Fruttero (1926-2012) e Franco Lucentini (1920–2002). Spesso abbreviati in F&L sono noti anche come "La Ditta". Alcune loro opere hanno avuto adattamenti cinematografici e di fiction in generale. Il romanzo LA DONNA DELLA DOMENICA ebbe un grande successo e ne fu tratto nel 1975 un film diretto da Luigi Comencini con Marcello Mastroianni (Santamaria), Jacqueline Bisset (Anna Carla Dosio), Jean-Louis Trintignant (Massimo Campi) e Lina Volonghi (Ines Tabusso).



Nel 2011 la Rai Fiction, con Rizzoli Audiovisivi, ha prodotto una miniserie tratta dal libro, sempre con lo stesso titolo La donna della domenica, interpretata da Andrea Osvárt, Giampaolo Morelli, Ninni Bruschetta e Fabrizio Bucci. Quindi F&L con questo romanzo assurgono di diritto alle recensioni della Gloss che fu sceneggiatrice ghost writer nei Novanta. 


Ambientato nella Torino bon ton dei Settanta, nella DONNA DELLA DOMENICA l’avvicendarsi dei personaggi, variati e avariati, si impernia attorno a un detto tipicamente piemontese, “La cativa lavandera a treuva mai la bon-a pèra” ("La cattiva lavandaia non trova mai la buona pietra"). Una serie di requisiti non facili da reperire contemporaneamente - una pietra semisommersa, facilmente raggiungibile, con intorno spazio asciutto, la corrente non troppo violenta, in un'ansa di acqua stagnante - ma che la lavandaia coscienziosa e capace trovava, mentre “la cativa lavandera”, cioè la accidiosa, il non riuscire a trovar la bon-a pera era la scusa più frequente per evitare il lavoro. La citata “donna della domenica” non è la protagonista del libro, ma colei che passa indenne nelle fatiche della investigazione. I lettori più arguti avranno capito che trattasi di giallo e individueranno facilmente la signora che, pur bon ton, resta ignava.

La Ditta F&L fa balenare di continuo la verità, per rivelarsi poi solo presunta, nel magico gioco di specchi e delle apparenze della cosiddetta buona società torinese. Parafrasandoli, Gloss scriverebbe di Torino come di una città castigata e guardinga, terribilmente mascher-(in)-ata in cui tuttavia sorgono le industrie più insospettabili, come quella di falli in pietra, gli “itifalli” - una parola nuova al giorno, l’obiettivo della buona letteratura - di Fruttero & Lucentini. Anzi, per usare le loro stesse inarrivabili parole, “è la più pronta a captare il Male a ogni angolo della terra e la sua funzione è di spargerlo in giro per il resto della penisola. In ognuno dei flagelli che opprimono la patria ci trova sempre la mano torinese. A cominciare dall’unità mazionale. E poi la prima automobile, i primi consigli di fabbrica, il cinema, la prima stazione radio, la televisione, gli intellettuali di sinistra, i sociologi, il Libro Cuore, il cioccolatino di lusso, l’opposizione extraparlamentare, insomma tutto. È una città straniera che odia l'Italia e manda i suoi messaggeri maledetti a diffondere ogni più abominevole trovata. I torinesi credono di essere dei pionieri e lo fanno a fin di bene.”

Geni e pure compresi, quelli della Premiata Ditta.


Consigliato non solo agli amanti del genere giallo, ma anche a quelli del gossip, di Torino e del magico mercatino del Balon, nonché ai ricercatori di parole e di arricchimento del lessico, come la buona letteratura dovrebbe saper fare. 



domenica 27 settembre 2020

IL NEGOZIATORE di Frederick Forsyth

Dalla perfetta tecnica narrativa finalizzata alla costruzione paradigmatica di una spy story, l’ennesimo romanzo di Forsyth lo stabilizzò nell’89 sul trono degli scrittori di caratura

internazionale, tra quelli vengono alcune volte tradotti in fiction TV o cinematografiche e che si documentano approfonditamente prima di scrivere. Il lessico di stampo giornalistico, tanto da attribuire ai propri libri il carattere di report di stampa, e l'attenzione per la dimensione internazionale lo portano perfino ad essere contattato dall’FBI per compiere un viaggio in Italia finalizzato a studi sul fenomeno della 'Ndrangheta. Ne IL NEGOZIATORE Gloss e i lettori grazie a Forsyth vengono a conoscenza di come si muovono CIA, FBI e Servizi Segreti di mezzo mondo quando si tratta di defenestrare un presidente USA e di organizzare una rivolta negli Stati Arabi.

Il suo GIORNO DELLO SCIACALLO resta tuttavia imbattibile nell’originalità della trama, nell’estrema capacità documentativa dell’autore, nelle ripercussioni sulla vita reale di una romanzata. Infatti, il terrorista venezuelano conosciuto come Comandante Carlos prese il soprannome di Sciacallo, dopo che venne ritrovata una copia del romanzo di Forsyth tra i suoi effetti personali. Con cittadinanza palestinese, marxista-leninista e filo-islamico, è attualmente detenuto nelle carceri francesi, dove sta scontando una condanna all'ergastolo.

Tornando a IL NEGOZIATORE, non è lettura essenziale alla sopravvivenza della passione del leggere e dello scrivere. Dopo il  GIORNO DELLO SCIACALLO i lettori possono farne tranquillamente senza.



Netnografia: L’arresto del Comandante Carlos, detto Sciacallo

https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=ACu2a3EFCdc&feature=emb_logo



mercoledì 9 settembre 2020

IL SANGUE DEI VINTI di Giampaolo Pansa

Stavolta la Gloss trasgredisce una delle sue stesse regole. Del resto, solo i cretini non cambiano idea. Cit. Forforismi Pastorology https://www.facebook.com/forforismipastorology

Così oggi recensisce il libro di un autore che già conosceva letterariamente e politicamente parlando ma le cui opere non sono mai state traslate in fiction, televisiva o cinematografica.


Giornalista per quotidiani di grande caratura e scrittore, senza risparmiare critiche anche al Partito Comunista Italiano, Pansa fu tra i rappresentanti della linea editoriale vicina alla sinistra di opposizione. Volendosi documentare circa una sua raccolta di racconti ambientata durante la II Guerra Mondiale, la Gloss vi si applica con l'attenzione dovuta, desiderando essere coerente con un suo hasthag Instagram #ilibriscrivonoilibri. Dopo aver pubblicato alcuni libri concernenti il fenomeno dei partigiani, si dedica al “sangue dei vinti”, ovvero di coloro che, dopo il 25 aprile, da dominatori dell’Italia passarono ad essere dominati, se non trucidati. A volte persino ingiustamente, come risulta dalla stesse ricerche del Pansa. Operazione che gli fa onore. in quanto possibile testimonianza di onestà intellettuale e giusto distacco. Possibile, perché tra le righe della dedica che il Pansa fa al Lettore, si legge il timore di essere travisato per poi vedersi abbandonato se non avversato dalla sua amata sinistra. Come se invocasse scuse preventive. Questo atteggiamento, dunque, può anche essere interpretato come asservimento al padrone. Proprio lui che,se la Gloss interpreta bene il suo pensiero, non ne avrebbe voluti.


Prima di spiegare le motivazioni per cui non è stato gradito da Gloss, le solite osservazioni sulla copertina: efficace, in quanto utilizza cromatismi immediati e che colpiscono l’attenzione del potenziale acquirente da libreria mainstream.


Tutto sommato, il libro è abbastanza noioso, perché, ridotto all’osso, trattasi di mera elencazione di nomi e fatti e date, quindi la Gloss esercita uno degli imprescrittibili diritti del lettore alla Pennac. Con rammarico, perché non potrà conoscere come andrà a finire la storia di relazione tra il protagonista e l’unico personaggio inventato, la bibliotecaria che gli fa da controcanto, piazzato lì per astuta convenienza. Un dispiacere cui porrà rimedio con il prossimo ottimo libro che leggerà.

Consigliato a coloro che volessero documentarsi circa il difficile periodo post bellico italiano, con serena obiettività.

venerdì 4 settembre 2020

IL COLIBRÌ di Sandro Veronesi

Ci sarebbe voluta una mini vacanza per acquistarsi il diritto di leggere il Premio Strega dell’anno horribilis 2020. La Gloss finalmente approda alle sponde gialline della copertina dell’ultimo romanzo di

Sandro Veronesi e, da buona ex Art Director convinta fin dagli anni della Milano da Bere che le copertine siano venditori muti, si domanda il perché di tale scelta cromatica. I colibrì non sono canarini. Il colibrì della narrazione del Veronesi è il protagonista, Marco: non solo per dimensioni corporee, cui negli anni dell’adolescenza viene posto ormonale rimedio, piuttosto per l’inusitata capacità dell’uccellino - e di Marco - di restare librato in volo, bruciando enormi energie, pur di stare fermo. La Gloss suppone sia la parodia di ciascuno di noi, così spaventati dalla vita, così impauriti dal cambiamento, così inermi di fronte alla sua impermanenza, da non voler cambiare, da voler restare immobili ad ogni costo, anche quello del dispendio di tutte le energie, fino a morirne. Ma i motivi per cui la copertina è color canarino, forse, si cristallizzano negli sforzi del protagonista, fino a costituire un appassionante giallo che giallo non è. O forse ancora una mera operazione di marketing, visto che il genere giallo è fra i più letti e i bancali delle librerie mainstream sul lettore di passaggio agiscono con l’acquisto d’impulso. Nella psicologia del colore, il giallo è simpatia, dinamismo, velocità: in perfetta sintonia con la vita relazionale di Marco, nell’incessante movimento che la caratterizza, tra drammatici lutti e laceranti separazioni. Ma anche novità come la nascita di una nipotina, “l’uomo nuovo”. Come a sottolineare il visionario auspicio del Veronesi, nelle donne risiede il futuro dell’Umanità.

Consigliato agli amanti delle saghe familiari, ma anche a quelli che prediligono scritture argute che rinverdiscono le sinapsi.


martedì 28 luglio 2020

100 COLPI DI SPAZZOLA prima di andare a dormire di Melissa P.

La Gloss recensora lesse appena pubblicato nel 2003, 100 COLPI DI SPAZZOLA prima di andare a dormire e ne rimase favorevolmente impressionata, per come fosse trattato l’argomento sessualità nell’adolescenza con tanta leggerezza, evitando la superficialità.
Senza entrare in merito di giudizio con una vita sessuale così libera, che a Gloss fu negata per eccesso di vaticanismo, a distanza di quasi vent’anni il carezzevole stupore per il modo della trattazione alla Calvino è rimasto intatto. Anzi, si è avvantaggiato di tutte le sfumature di rosso nero grigio che si sono frapposte dalla prima alla seconda lettura, tra eleganza e volgarità, tra vita vera e narrata, o solo immaginata da frustrate casalinghe. Il romanzo di Melissa P. ne esce arricchito e favorito, esaltato nelle sue caratteristiche; in una parola, vincente. La Gloss ne ricava persino l’impressione che fu scritto non da sedicenne, ma da sagace ghost writer, affermato autore di fama e in età che preferisse nascondersi dietro uno pseudonimo per creare il caso letterario dell’anno.
Mera operazione di marketing o no, non ha importanza. Importa invece che la vita adolescenziale di Melissa, scritta in forma di diario, genere letterario ottocentesco, con grande lirismo e vigore e lucidità personale, in linguaggio piano e sfrondato da superflue aggettivazioni, batte qualsiasi successivo tentativo di emulazione. 
Consigliato a chi desiderasse leggere un ritratto impietoso e brillante, metallico e penetrante, raziocinante e romantico della carnalità tra ragazzi.

giovedì 2 luglio 2020

GIRO DI VITE di Henry James

Se fa scorrere le pagine del web alla ricerca di GIRO DI VITE dell‘ottocentesco Henry James, che ha conosciuto almeno diciassette adattamenti dalle sue opere per altrettante 
serie TV o film, tra cui “Ritratto di Signora” (con un’eccezionale Nicole Kidman, scelta poi non a caso per THE OTHERS, di cui Gloss rileva un sospetto parallelismo a GIRO DI VITE)  la recensora riscontra decine di classificazioni (già odiose di per il solo fatto di essere ritenuta necessaria la loro esistenza) che lo categorizzano nel genere horror se non addirittura gotico. Invece è un romanzo psicologico, se non addirittura tra i primi, qualche  tempo avanti Freud. Se c’è un merito in GIRO DI VITE è proprio quello di aver inaugurato nuovi codici narrativi poco sperimentati prima, che faranno da modello a Proust e Flaubert. Henry James ha una prosa scorrevole pur essendo dotta, mai noiosa. Eppure,gli accadimenti del romanzo, le azioni necessarie a catturare il lettore, avvengono in ambiti ristrettissimi di spazio, reale e immaginario. Equivale a dire che non ci sono. Siamo nelle immediate vicinanze di una casa di campagna della Gran Bretagna di fine Settecento, e siamo costretti nelle pareti craniche della protagonista femminile, una giovane pulzella incaricata di sorvegliare due fanciulli in età elementare, inquietanti siccome precoci, perché guidati da presenze adulte a loro esterne che il lettore scoprirà irreali. Ma avvertite concrete nella mente dell’istitutrice. La vite cui la Gloss ha creduto ingenuamente facesse riferimento il titolo, in realtà è il plurale di vita: le vite dei personaggi si avvicendano, avvitandosi su se stesse, fino a morire. Chi muore e perché, la Gloss lascerà ai lettori il piacere della scoperta.
La recensora, da ex Art Directo della Milano da Bere, ha scelto il romanzo di Henry James dalla copertina, più efficace per la vendita, in cui sono rappresentati i due fratellini sotto una luce conturbante.
Consigliato a coloro che non si annoiano nell’addentrarsi nei meandri delle menti altrui.

sabato 20 giugno 2020

HANNIBAL di Thomas Harris

La recensora lo lesse subito nel 1999, ricavandone una notte insonne per finirlo da tanto era appassionante (e agghiacciante). Da quel giorno, lesse altri thriller splatter, ma tutti di caratura nettamente inferiore a questo nuovo capitolo della vita di Hannibal Lecter, tranne forse  il primo romanzo di Donato Carrisi, IL SUGGERITORE, soprattutto per originalità di plot. Nel frattempo, l’anima della Gloss sia di lettrice che di donna si è rafforzata; dalla seconda lettura di HANNIBAL non è rimasta sgomenta, ma piacevolmente stupita da quanto il romanzo abbia conservato in vent'anni il premio più alto per conoscenza di Fbi e dei suoi sistemi, per svisceramento delle meccaniche relazioni interne alle grandi istituzioni investigative USA, profondità di ricerca organolettica di persone e gastronomia, per raffinata ermeticità nelle descrizioni paesaggistiche e situazionali, per disanima ed espletamento della psicologia di singoli personaggi;  e non da ultimo, per esaltazione dell’italianità, in senso storico e artistico, binomio indissolubile quando si parla del Bel Paese, che Dan Brown tentò (inutilmente, per quanto gradevole) di bissare con Angeli e Demoni. Questo romanzo di Thomas Harris è un perfetto bilanciamento tra stile e idee, infinita diatriba nella critica letteraria. Le consuete due parole sulla copertina. La Gloss ha scelto quella che riporta la tipica protezione dei giocatori di Hockey, applicata sul viso del cannibale nella realizzazione del primo film immediatamente riconoscibile da chiunque avesse visto IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI, nei toni del rosso sangue. Vendette subito e bene. Per un Art Director della Milano da Bere che fu, molto efficace nella vendita.
Consigliato a lettori appassionati del genere thriller splatter, ma raffinato, e non solo: anche agli aspiranti scrittori, che credano finalmente di poter imparare dai libri altrui qualcosa di utile alla loro scrittura.

lunedì 15 giugno 2020

QUALCOSA DI BUONO di Sveva Casati Modignani


La recensora non l’ha mai amata particolarmente, Sveva Casati Modignani, perché forse appartenente al mainstream cultural politico italiano. Tuttavia, a maturità raggiunta (o forse no, non si smette mai di imparare) ne affronta la lettura, ricavandone l’impressione che l’autrice ambisca a imitare Isabelle Allende, soprattutto nella narrazione di grandi saghe familiari a lieto fine, non riuscendoci del tutto. Forse perché l’Italia delle grandi famiglie non è popolana, tanto quanto la cilena. Tuttavia, resta valida l’ingegnosa trovata che dà l’incipit all’intera vicenda e che la Gloss non può rivelare per non spoilerare. Tuttavia, vi reperisce l’espediente di intitolare ogni capitolo con una ricetta, eseguita puntualmente nella descrizione delle azioni cui prelude o che accompagna, o che conclude, sempre in tema consolatorio, come se il cibo mitighi le angherie che si susseguono nella vita. Uno stratagemma letterario, come nella vita, che funziona molto bene.
La copertina, nei toni del rosso, riporta infatti un bricco, una tazza, un dolce: forse poco appariscente, ma in tema col titolo e il leitmotiv del romanzo.
Consigliato ai curiosi di ciò che accade nelle famiglie, nobili o meno nobili, e ai giovani scrittori la conferma che non si va da nessuna parte senza opportuni calci nelle parti posteriori.

giovedì 21 maggio 2020

UNA CENERENTOLA A MANHATTAN di Felicia Kingsley

In perenne ricerca del meglio da cui apprendere l’Arte dello Scrivere, pericolosa e impegnativa perché richiede un altissimo senso della responsabilità verso lettori - i veri giudici influencers in assoluto - ed editori - prioritariamente imprenditori che considerano i libri meri prodotti da cui
ricavare guadagno - la Gloss approda a questo romanzo di facile lettura e dal successo inappellabile, quarto all’attivo di Felicia Kingsley. Appartenente al genere Chick lit di produzione anglofona, affermatosi più o meno a partire dagli inizi del III Millennio, dove chick è sinonimo informale per "ragazza" (chicken "pollastrella") e lit è accorciamento di literature ("letteratura"), si rivolge prevalentemente a un pubblico di donne giovani, single e in carriera. Quindi non alla Gloss, che si stanca immediatamente di queste vicende stereotipate. Eppure, così come nel romanzo di Jil Santopolo vi sono contenuti tutti gli ingredienti necessari al successo: scrittura lucida e brillante e piatta, unita a “giovanilismo alla Peter Pan” di un giovane rampollo della società bene, tanto intrigante e “spettinato pirata” quanto elegante e forbito, che si trasforma immantinente in impegnato in amore se si presenta nella vita una “Principessa con le palle”; a una ragazza orfana costantemente ammorbata da matrigna e sorellastre, povera derelitta, belloccia e pure intelligente; male abbigliata perché incurante della propria femminilità, ma che in occasione di una stratosferica festa si trasfigura in una figa galattica, che può solo indossare Louboutin e portare biondi capelli lunghi; all’amico modaiolo e gayo, suo chaperon; in definitiva, quando li percepisce così smaccatamente utilizzati, alla Gloss, (esperta in stereotipi di genere - vedi RINASCITE RIBELLI)  viene da rabbrividire e il romanzo per lei risulta repellente. Ma capisce che lettori ed editori vogliono proprio queste cose, perché gli uni vi si riconoscono e gli altri vendono. Prima o poi, se vorrà successo di lettori, anche la Gloss dovrà ripiegare su questi stilemi.
Consigliato a lettori dalle sinapsi semplici.

lunedì 18 maggio 2020

UOMINI CHE ODIANO LE DONNE di Stieg Larsson

Finché recensiva emergenti, la recensora manteneva un profilo incoraggiante, sebbene attento alle esigenze di editori (che sono imprenditori, quindi considerano i libri come meri prodotti da vendere)
e di lettori (che sono i primi giudici e che decretano il successo – o l'insuccesso – di un romanzo), ma da quando è tornata a recensire quei grandi tra i grandi – o presunti tali – selezionati per aver visto una propria opera trasformarsi in fiction, ha cestinato l'incoraggiamento e innalzato il livello di critica, prediligendo l'acidità da zitella incallita che le fu propria negli anni precedenti il 2018, anno in cui la vita finalmente si decise a farle conoscere le infinitesimali sfumature dell'Amore Vero. Così si spiega il suo rimandare da anni la lettura di questo romanzo facente parte della trilogia poliziesca Millenium di Larsson, decretata a livello internazionale caso editoriale di culto, avendo venduto milioni di copie. Di UOMINI CHE ODIANO LE DONNE addirittura fu realizzato un film. Ebbene, oggi che l'ha letto ha capito il motivo di tanto ritardo: forse perché esperto di organizzazioni di estrema destra e neonaziste, Larsson ha scritto contro le donne più di 600 pagine diluendo il plot con pedisseque descrizioni tecnicamente non indispensabili. La recensora non entra in merito alla qualità delle idee poliziesche, che hanno del genio, e nemmeno quelle nazifemministe, che meriterebbero una trattazione a parte, ma provenendo dall'esperienza cinematografica, nota che i due terzi del romanzo farebbero parte, fossimo nel mondo del cinema, della cosiddetta “bibbia dei personaggi” che mai appare nelle azioni se non di riflesso, per la scelte comportamentali e di linguaggio dei personaggi e che mai nessuno sceneggiatore riporterebbe in sceneggiatura. Insomma, la recensora si fa punto di onore l'aver finito un romanzo tutto sommato noioso, sebbene Daniel Pennac prescriva il diritto di recesso alla lettura da parte del lettore. Che Larsson avrebbe ampiamente meritato.
Nemmeno consigliato a quei lettori che prediligono addormentarsi a letto leggendo un libro, perché in questo caso, data la corposità dell'oggetto, l'unico beneficio sarebbe una perfetta frattura di setto nasale.

venerdì 1 maggio 2020

LE SVENTURE DELLA VIRTÙ (Justine) di Donatien Alphonse François De Sade

Nelle sue innumerevoli e tendenti all’infinito scorribande per le rigogliose lande della Letteratura, la recensora Stefi Pastori Gloss aveva volutamente sorvolato il Divin Marchese De Sade, per pudore, inimicizia, per eccentricità, non si sa. O forse un insieme dei tre sentimenti. Temeva non vi fossero contenuti altri da “quei libri da leggere con una mano sola”. In tempi di pandemia, invece, è arrivata a voler intendere di tutto pur di far trascorrere il tempo, così da scoprire l’alto tasso filosofico del romanzo in questione. Filosofia cinica e atea, principalmente. Quasi persino vi sia un redivivo Antico Testamento a far da suggeritore. Quasi a far da mentore ai vari Kafka, Nietzsche, Dostoevskij, Sacher Masoch, Mirbeau, Baudelaire, Lamartine. Quel temuto contenuto pornografico è tradotto in realtà con leggiadre allusioni ad alto tasso di erotismo, stemperato peraltro da filosofia oscura e avvilente, dove a guidare la mente del Lettore o della Lettrice è la sua stessa fantasia. Per il Divin Marchese, il suo stesso libro, attraversando le plurime sfortunate e umilianti peripezie di Justine, è pretesto e strumento di sfogo delle proprie pulsioni, sadiche per l’appunto e per giustificare la presenza di una Provvidenza Divina, seppur più e più volte smentita. 
Consigliato a lettori accaniti di “libri da leggere con una mano sola” convinti come la recensora  che l’unico vero organo erotico sia il cervello.

lunedì 27 aprile 2020

L'INCENDIO di Mario Soldati

L'INCENDIO di Mario Soldati è un romanzo a-tipico, nel senso che fuoriesce dagli stilemi tipici del romanzo, dove, per riuscire gradevole al lettore medio, il plot dovrebbe muoversi da A a Z passando per
un paio di punti di svolta e due decisivi colpi di scena. Eppure, Soldati fu anche sceneggiatore e ben dovrebbe conoscere determinati paradigmi necessari allo scorrimento della vicenda, così ben studiati e bypassati da Quentin Tarantino. Pare se ne impipi bellamente, e qui sta la Grandezza dei Grandi, conoscere le regole per trasgredirle. Inizia incerto se tra un saggio di pittura e uno incentrato sull'amore, infine i personaggi scelgono in maniera autonoma il primo, pur attraversando traversie amorose, sia del protagonista - voce narrante, sia del pittore, coerente alla sua totale incoerenza. Ai cinici del XXI secolo, Soldati rivela come Arte Pittorica e Ars Amandi nelle loro varie declinazioni, dall'amore tradito a quello omosessuale, dalla pittura più leziosa del bucolico quotidiano a quella della più cruda denuncia sociale, fossero non solo ben tollerate nella seconda metà del secolo scorso, ma persino incoraggiate e sostenute. Sfumature oggi inaccettabili, in un Millenium scaduto nel disimpegno affaristico e nel bigotto perbenismo. Va detto che INCENDIO è il titolo del primo quadro acquistato dalla voce narrante, già precedentemente maritato ad altra donna, come dono destinato alla propria amante che va in isposa a nuovo uomo. E che il pittore co-protagonista, temporaneamente migrato in Sud Africa allo scopo di ritrarre i lavoratori delle miniere di diamanti e le loro disumane condizioni di lavoro, attua un'accorta quanto da lui inaspettata strategia volta all'incremento del valore delle sue opere.
Consigliato come nave scuola a quegli autori emergenti che pretendono di essere nuovi senza manco aver letto Soldati.

lunedì 6 aprile 2020

MA È STUPENDO! di Diego Passoni

L’emblematica copertina conquista la recensora, che fu Art Director pubblicitaria negli anni della Milano da Bere e che è convinta della capacità di vendita di una dal disegno forte e provocatorio:
trattasi di statua della Madonna negli stilemi iconografici del cattolicesimo (forse è la Madonna di Lourdes) ma con bandiera arcobaleno drappeggiata, a simboleggiare l’aderenza alle tematiche gaye. Nel video dedicato alla serie #ilibriscrivonoilibri, la recensora difatti legge il brano dedicato a “Nostra Signora” assurta ad emblema dell’esclusione delle donne dalla chiesa cattolica, della loro emarginazione dalla Società maschilista cattolica. Quindi, secondo il Passoni, per proprietà transitiva, madre di tutti gli esclusi, omosessuali compresi. Questa mezza paginetta gli fa pressoché perdonare l’atteggiamento quasi fanatico che esprime in tutte le altre duecentoventidue pagine del romanzo, di zelante esaltazione cattolica. Che appare incongruente rispetto alla posizione anti femminile che il Passoni stesso ha rilevato nel corso del proprio personale percorso di vita in seno alla chiesa. E di cui forse non è pienamente consapevole. Eppure il titolo del libro è la sua personale versione del salmo MAGNIFICAT. Da donna di scienza votata alla pratica buddista, la recensora rileva invece quanta parte abbia avuto in questo suo percorso la Legge di Causa Effetto: il Passoni ha rivolto la sua esistenza alla tutela degli emarginati e degli oppressi, mettendo ottime cause e conseguendone effetti ideali. Per lui e per tutti e tutte. Consigliato a coloro che vorrebbero cogliere i benefici concreti della pratica di Causa Effetto.


mercoledì 25 marzo 2020

LA GRAMMATICA DI DIO di Stefano Benni

Da parecchio tempo la recensora desiderava tornare a leggere Stefano Benni. Almeno da quando, un paio di anni or sono, una critica letteraria di seguìto periodico locale paragonò i suoi racconti allo stile di
questo autore. La scelta è caduta sulla raccolta LA GRAMMATICA DI DIO per puro caso, ma anche perché era una delle opere di Benni da lei mai lette. Il registro della raccolta si attesta subito su tre temi che rivelano tantissimo della personalità dell'autore. Solitudine, morte e dio, con la D minuscola, perché dialettica perdente per l’Uomo, ma soprattutto per la divinità una e trina. E l'innata ironia (o, meglio, autoironia) che fa vincente la produzione letteraria di Benni. Vincente almeno per la recensora. Ma il fatto che l'autore abbia finito per essere protagonista di svariate trasmissioni televisive, lo colloca parimenti tra i vincenti anche per molti dei pochi lettori italiani. Eppure, nonostante lo stile brillante, le trovate divertenti, pur sottilmente psicologiche, i confronti filosofici a volte tragicomici, sempre teatrali, sebbene senza pubblico, tra il protagonista di turno (che pare sia spesso il Benni stesso) e un elemento a lui esterno, non l'hanno portato ai fasti di Pirandello. Allora, una domanda sorge spontanea : per sopravvivere, cosa fa Stefano Benni. Senza punto interrogativo.

giovedì 5 marzo 2020

LA CASA DEGLI SGUARDI di Daniele Mencarelli

La qualità di un romanzo è evidente fin dall’incipit ed è confermata dal finale. L’incipit de LA CASA DEGLI SGUARDI appartiene a quelli che la recensora definisce fulminanti. E questo è tra i più apprezzati. L’autore utilizza il proprio nome e cognome per il protagonista, conferendo al romanzo quel carattere di “diario personale” che permette al lettore di
identificarsi immediatamente nell’eroe negativo, il quale però conoscerà il riscatto. Un vero e proprio viaggio di Nessuno in bilico tra perigliose avventure alcoliche e finestroni da nettare di un ospedale romano. Mencarelli ci propone momenti di letteratura fine di rara bellezza estetica e letteraria. Con la massima lucidità, senza sconti per nessuno, tantomeno per se stesso, visto che il lettore scopre essere proprio lui il protagonista, drogato di alcool, disoccupato, triste, anche se apprezzato poeta emergente. Deve solo credere di più in se medesimo. Riceverà l’opportunità di lavorare come addetto alle pulizie nell’ospedale Bambin Gesù, dove riuscirà a raggiungere una sempre più alta autostima solo confrontando la propria vita con quella dei ragazzini e ragazzine ricoverati in ospedale per le più crudeli malattie.In un secondo tempo, la recensora scoprirà che il romanzo, oltre ad essere stato premiato in prestigiosi concorsi letterari, è davvero autobiografico.
Presente in varie antologie poetiche e riviste letterarie, Daniele Mencarelli si occupa di Fiction per Rai 1.
Consigliato ad aspiranti scrittori e poeti perché imparino a trasformare la sfiGa in sfiDa.

FIDANZATI DELL'INVERNO di Christelle Dabos

A cosa serve un libro, se è scritto bene, ma risulta ampolloso e noioso? La quarta di copertina riporta l’entusiastica recensione de LE MONDE che convince la recensora alla lettura. L’immagine in prima di copertina NON è ‘frappante’ - espressione presa in prestito dal francese, visto che l’autrice
vien da là, e che significa NON suggestiva sorprendente notevole vivida (non esiste perfetta corrispondenza in italiano), ma è stata scelta dalla recensora solo perché rimandata a questo libro da un’altra copertina, più saliente, che sarebbe stato il terzo volume della quadrilogia  L’ATTRAVERSASPECCHI. Di fatto, meglio partire dal primo, allo scopo di capire il motivo per cui se ne sono vendute duecentomila copie solo in Francia.
Premesso che da Tolkien in poi, pur essendo ritenuto un capolavoro dei più, la recensora aborrisce le descrizioni minuziose puntigliose particolareggiate meticolose perché, oltre che a scadere nel cavilloso e barocco, non apportano nulla all’avanzamento del plot, quelle della Dabos sono troppo ampollose verbose e ridondanti per riuscire di gradevole lettura. 
Inoltre, in quarta di copertina, era riportata una piccola serie di note (sulla base delle considerazioni scaturite dalla lettura, a firma evidentemente dell’editore) che paragona FIDANZATI DELL'INVERNO alla fantasia e alle atmosfere di Philip Pullman, alla tormentata storia d’amore tra un misterioso uomo e una ragazza apparentemente impacciata di Twilight, all’azione politica dei protagonisti di Hunger Games, a Harry Potter per la ricchezza del suo magico mondo. Ebbene, pur essendo felice per la notevole consistenza del tomo, quindi una lettura che avrebbe promesso di essere più prolungata nel tempo dei soliti due giorni, la recensora non ha reperito nessuna delle quattro affermazioni. Anzi, mancava la noia di Moravia (che comunque non è mai noioso). Tutto troppo palesato e lapalissiano per avvincere una mente raffinata.
Non si spiega il motivo per cui FIDANZATI DELL'INVERNO abbia realizzato cotanta vendita se non con l’incapacità immaginativa dei lettori di oggi, che abbisogna di mondi precostruiti e di fuggire dalla realtà, che necessità di non utilizzare l’intelligenza di cui è dotato per intuire il plot, che è troppo impigrito dai Mass Media generalisti per indovinare una storia.
Perciò, la recensora ha esercitato il diritto di recesso previsto dagli imprescrittibili diritti del lettore di Daniel Pennac.
Consigliato alle persone di scarsa attitudine fantastica e fittizia, dallo spirito vago e invaghito da sostanza psicotrope per poter realizzare un’evasione dall’esistenza, senza la perspicacia del lettore incallito cui basta una parola, anche criptica, per scatenare un universo parallelo.

LA VITA BUGIARDA DEGLI ADULTI di Elena Ferrante

Elena Ferrante: un fenomeno letterario tutto italiano. Con tanto di fiction all’attivo che la consacrò alle sacre vette. Urge lettura per imparare sempre più, sempre meglio. Ancora e ancora. Il romanzo LA VITA BUGIARDA DEGLI ADULTI vede protagonista un’adolescente, Giovanna detta Giannì, che
si affaccia sul mondo dei “cosiddetti grandi”, per poi travasarvi il suo corpo e il suo spirito, pur con tutte le remore che la vita (bugiarda) degli adulti le hanno indotto. Almeno quanto la Ferrante stessa, che usa uno pseudonimo. Sebbene parli, attraverso uno dei suoi libri, raccolta di scambi epistolari con editori e lettori privilegiati, di “un desiderio di autoconservazione del proprio privato, un desiderio di mantenere una certa distanza e non prestarsi alla spinta che alcuni scrittori hanno di mentire per apparire come ritengono che il pubblico si aspetti”, la Ferrante appare troppo modesta: la modestia a volte è madre di ipocrisia.
Giannina, la protagonista del nuovo romanzo della Ferrante è tutt’altro che ipocrita: attenta osservatrice, della realtà che la circonda così come del suo sentire interiore, scopre quanto la rettitudine a lei insegnata dai genitori, da loro stessi non sia praticata. Il padre è amante della madre delle sue migliori amiche. La propria madre, invece, diventerà amante del loro padre. La sorella di papà, zia dipinta a tinte feroci sia da mamma che da papà, pare invece l’unica sincera della famiglia. Una sincerità pagata a caro prezzo, con la perdita dell’amore carnale e spirituale. Al centro, un braccialetto, che, a tratti, apparterrà prima ad una, poi ad un’altra ava e poi, chissà. A tratti farraginoso, decine di personaggi più o meno importanti al fine del plot, si affaccendano attorno a Giovanna, confondendo lei e il lettore. Già lo dichiara fin dalle prime pagine la Ferrante stessa: “solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione.” Senza redenzione. Giannina lo sa dall’inizio che la vita è senza redenzione. Di fronte ai tradimenti plurimi dei suoi stessi genitori e dei genitori delle sue amiche predilette, perde l’innocenza dell’infanzia, senza illudersi circa le modalità dell’amore. Sceglierà di non restare illibata, quella dote senza la quale i genitori le insegnarono si sarebbe persa del tutto come la zia, senza remore né sensi di colpa, ma anzi con appropriata e studiata scellerataggine. Copertina neutra, poco attraente, come neutra appare in superficie la vita di Giannì, pur avendo tempeste nell’anima. Libro ben scritto, ma non necessario.
Consigliato a chi vuol capire come assurgere ai fasti delle fiction: più che per meritocrazia, in Italia inesistente, con una buona spinta esteriore ai propri meriti.

mercoledì 4 marzo 2020

DOVE PORTA LA NEVE di Matteo Righetto

Corriere della Sera e La Stampa concordano nel definire una precedente opera del Righetto, intitolata APRI GLI OCCHI, come “delicata”, “profonda”, “che stupisce il lettore”, “essenziale”, narrata da una “prospettiva interiore”. Parole riportate in quarta di copertina di questo romanzo DOVE PORTA LA NEVE. Non avendovi reperito le citate caratteristiche, la recensora, illusa anche dalla

biobliografia dell’autore, pluripremiato, pluripubblicato da prestigiose case editrici, pluritradotto in pluripaesi, plurirappresentato in video, resta pluridisillusa. Lo stile del Righetto è effettivamente scarno, povero in vocaboli, povero in ‘dottità’ (un neologismo della recensora), povero di pagine e povero di personaggi, tagliati con l’accetta e numericamente pochi. Il tutto condito dalla creazione di un personaggio affetto da Sindrome di Down, protagonista assieme ad un vecchietto e alla propria madre ricoverata in ospedale per anzianità, tutti elementi che costituiscono una captatio benevolentia del lettore tra le più scorrette e sleali. Per concludere in bellezza, il Righetto ricorre perfino all’utilizzo di una incorreggibile resurrezione dei due coprotagonisti. Intollerabile beffare in siffatto modo il lettore che si affida totalmente alla finzione dell’autore.
Se non fosse per il sottile gioco ad incastri di memorie materne e di casuali coincidenze attuali, che porta al penultimo capitolo, quello sì “delicato e profondo”, la recensora boccerebbe in toto l’opera.
Consigliato a coloro che volessero studiare i meccanismi della narrazione in antinomia, a chi volesse leggere un romanzo in totale rapidità e senza speciali approfondimenti né spessori, spegnendo cervello e cuore.

lunedì 2 marzo 2020

I LOVE SHOPPING A NATALE di Sophie Kinsella

Un’altra delle cadute di stile della recensora consisteva nel non aver mai letto nulla della Kinsella che da una ventina d’anni stravende. Stravende e fa straridere chiunque si avvicini alle sue pagine scritte. Uomini e donne. E stracommuovere. La recensora dimenticava questa emozione straspeciale che rende strafigo un libro. Che ha un incipit da urlo, proprio di quelli strafulminanti come a suo gusto strapersonale, e uno strafinale stradelizioso, come si confà ad un romanzo di strasuccesso. Ora che ha finito gli STRA, la recensora può riassumere per sommi capi la vicenda

senza spoilerare. E’ Natale e la Kinsella, anzi, Becky (ma si ha come l’impressione che ci sia una sorta di sovrapposizione tra le due, diversamente ci si dovrebbe chiedere come farebbe la Kinsella a far sentire verosimili le avventure tragicomiche della protagonista tanto da permettere la perfetta identificazione di  ogni lettore e lettrice), dicevamo, l’autrice non si era ancora sperimentata con il periodo dell’anno più consono gli acquisti compulsivi. Che ora si traducono online, dato che la protagonista vive ormai isolata in campagna, con tanto di contaminuti di scadenza del carrello virtuale per rendere il compratore sempre più compulsivo, consentendo alla Kinsella di passare in rassegna ogni idiosincrasia, ogni barlume di speranza e di tragica certezza che si abbattono sugli shopper online, con grande divertimento ed emozione e qualche tragica impasse, subito risolta. E, visto il Natale, con grande carica di sentimenti. La tecnica narrativa è scorrevole, tale da consentire la lettura a chiunque abbia mai aperto qualcosa da leggere, sia esso un aulico libro, un drammatico quotidiano, un pettegolo periodico, un efferato manuale. Del resto, è evidente che la Kinsella non si sia prefissa l’obiettivo di acculturare i propri lettori, ma di intrattenerli con sano umorismo, autoironia e molta partecipazione sospirosa.
Consigliato ad aspiranti autori emergenti - come la recensora - in grado di farsi anche solo un briciolo di autocritica per capire che la creazione di valore non risiede solo nell’essere aulici e stradotti, agli aspiranti suicidi per comprendere che buona parte dei valori della vita risiedono nel proprio clan e nelle relazioni interpersonali, alle donne di famiglia che si sentono tartassate dalle atmosfere natalizie per accorgersi di non essere sole nell’affancendarsi festaiolo.

mercoledì 19 febbraio 2020

LE SPOSE SEPOLTE di Marilù Oliva

Per capire la tensione creattiva (sì, con due T) di Marilù Oliva che la porta ad uno spunto originalissimo come quello de LE SPOSE SEPOLTE (un omicida seriale di mariti che hanno ammazzato e sepolto le rispettive spose), bisogna entrare nella sua bio.

L'autrice ha scritto altri romanzi a sfondo giallo e noir, indagando sui lati oscuri della nostra società e sulle categorie più esposte, da lei definitive "non protette". Infatti, si occupa da sempre di questioni di genere e ha realizzato due antologie patrocinate da Telefono Rosa.

Micol Medici è l’ispettora protagonista del giallo. Lei stessa porta sul volto il segno di una violenza e, vista la trattazione, noi lettori pensiamo subito ad un’aggressione maschile. Niente di più sbagliato. Trattasi di aggressione fisica da parte di un’antica rivale in amore. A parte infatti il plot trainante, c’è un forte sottotesto e cioè che le donne sono superiori agli uomini, anche nella violenza. Un altro è costituito dalla convinzione clinica, ormai da tempo confermata da esperti del settore della violenza sulle donne (vedi il prof. Paolo Giulini, che tratta in carcere i sex offenders), che le vittime cerchino i propri carnefici, a causa di violenze domestiche cui assistettero fin dalla prima infanzia.

Pur procedendo con leggera stanchezza a tratti, e utilizzando l’escamotage di tenere all’oscuro i lettori, fino all’odioso spiegone finale, il romanzo si investe della missione di raccontarci tematiche così difficilmente accettabili dai più con la grazia di una scrittrice forte e addestrata. E ci convince, più e meglio di qualsiasi trattato sulle violenze di genere.

Consigliato a coloro che volessero intraprendere la carriera di criminologia clinica senza addormentarsi su nozionistici libri di testo e agli appassionati del giallo, del tipo però che non permette al lettore di arrivarci con la propria arguzia.

domenica 2 febbraio 2020

NON SAI QUANTO di Jill Santopolo

Stavolta non è stata la trista e incolore immagine in prima di copertina a far decidere la recensora alla lettura di questo romanzo, ma gli entusiastici commenti in quarta di prestigiosi Mass Media, come Publisher Weekly, People, Marie Claire. A parte un paio di congiuntivi diventati condizionali per

la gioia dei detrattori della grammatica italiana, e un termine francese scritto in modo scorretto, lo stile scorrevole e il contenuto, diciamo così, “fatuo e leggiadro” delle prime trecentocinquanta pagine su trecentosettantacinque, lo rendono paragonabile a certe note e seguitissime e interminabili saghe fiction tv, quindi motiva in questo modo il successo di pubblico. Ma non alla recensora, che non le guarda, e che pertanto tutto sommato lo giudica noioso. Ma questo non è che il suo gusto personale e, mettendolo a parte, la recensora sa bene che contiene tutti gli ingredienti di intrecci amorosi, di sensualità diffusa e di corna reciproche, di denaro a palate, di residenze prestigiose, di locations esotiche, di amicizie decennali ma poi tradite, di personaggi tagliati con l’accetta ma incarnanti le figure stereotipate della Commedia dell’Arte, di politica e di sesso esplicito, sono tuttavia necessari al successo. Una piccola ricerca circa Jill Santopolo conferma alla recensora quanto sia giovane autrice preparata sia a livello di formazione che di plurime esperienze editoriali in continua espansione, tradotta in trentacinque Paesi. Sorprende piacevolmente la recensora la costruzione del rapporto della protagonista col padre imperniato su una poesia del Lewis Carroll “IL CICIARAMPA”, conferma della perizia culturale e dell’acutezza dell’autrice. E suppone sia l’elemento che la sospinge e sostiene fino al finale, strepitoso perché cancella in poche righe la sensazione di superficialità.
Consigliato ai lettori di romanzi rosa non solo epidermici e agli aspiranti scrittori contemporanei che dovrebbero assumere la Santopolo ad esempio, se inseguono il successo. E ai traduttori, perché si apprende sempre dagli errori altrui.