domenica 2 febbraio 2020

NON SAI QUANTO di Jill Santopolo

Stavolta non è stata la trista e incolore immagine in prima di copertina a far decidere la recensora alla lettura di questo romanzo, ma gli entusiastici commenti in quarta di prestigiosi Mass Media, come Publisher Weekly, People, Marie Claire. A parte un paio di congiuntivi diventati condizionali per

la gioia dei detrattori della grammatica italiana, e un termine francese scritto in modo scorretto, lo stile scorrevole e il contenuto, diciamo così, “fatuo e leggiadro” delle prime trecentocinquanta pagine su trecentosettantacinque, lo rendono paragonabile a certe note e seguitissime e interminabili saghe fiction tv, quindi motiva in questo modo il successo di pubblico. Ma non alla recensora, che non le guarda, e che pertanto tutto sommato lo giudica noioso. Ma questo non è che il suo gusto personale e, mettendolo a parte, la recensora sa bene che contiene tutti gli ingredienti di intrecci amorosi, di sensualità diffusa e di corna reciproche, di denaro a palate, di residenze prestigiose, di locations esotiche, di amicizie decennali ma poi tradite, di personaggi tagliati con l’accetta ma incarnanti le figure stereotipate della Commedia dell’Arte, di politica e di sesso esplicito, sono tuttavia necessari al successo. Una piccola ricerca circa Jill Santopolo conferma alla recensora quanto sia giovane autrice preparata sia a livello di formazione che di plurime esperienze editoriali in continua espansione, tradotta in trentacinque Paesi. Sorprende piacevolmente la recensora la costruzione del rapporto della protagonista col padre imperniato su una poesia del Lewis Carroll “IL CICIARAMPA”, conferma della perizia culturale e dell’acutezza dell’autrice. E suppone sia l’elemento che la sospinge e sostiene fino al finale, strepitoso perché cancella in poche righe la sensazione di superficialità.
Consigliato ai lettori di romanzi rosa non solo epidermici e agli aspiranti scrittori contemporanei che dovrebbero assumere la Santopolo ad esempio, se inseguono il successo. E ai traduttori, perché si apprende sempre dagli errori altrui.

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