mercoledì 30 gennaio 2019

NON DITELO ALLO SCRITTORE

NON DITELO ALLO SCRITTORE si apre in una classe di adolescenti incantati da un professore che evidentemente è rimasto nelle corde della scrittrice, Alice Basso: a lui e a quelli come lui è dedicato il libro, in quanto fanno “il lavoro più importante del mondo”, ovvero educare personaggi alla Silvana Sarca, detta Vani, che, in questa scena d'apertura, è una ragazzetta in forma di pipistrello, autodefinitasi “patetico esempio di sociopatica aggressiva”, che può permettersi di essere strafottente perché intelligentissima. La Vani mi ricorda un barista che incontro quelle volte in cui scendo a Torino: è al bancone, serve la clientela, sfoggiando ben evidente sulla gola il tatuaggio: ODIO TUTTI. Vani odia tutti, ma allo stesso tempo mette al servizio di tutti la sua inusuale capacità di empatia. Entrambi ossimori viventi. Amando i libri alla follia, la Vani crescendo è diventata ghost writer di scrittori importanti. Le sole quattro persone fondanti della sua vita che sanno del suo lavoro di ghost writer sono l'editore per il quale lavora, un commissario, Berganza, con cui collabora, un affascinante giovane scrittore, Riccardo, da cui è stata sedotta e abbandonata, e l'amica più giovane di lei, Morgana, sua imitatrice in tutto, che le perpetra un “tradimento collaborazionista” a vantaggio di quel Riccardo, il quale la vorrebbe riconquistare.

La Vani legge, legge, legge, legge. Cresce leggendo, per diventare scrittrice: mi auguro assurga ad esempio a quei sedicenti scrittori che dicono di non aver bisogno di leggere e che per controtendenza mi hanno ispirato uno dei Forforismi Pastorology: i libri scrivono i libri (piaciatene per favore la pagina Facebook).

La vicenda si snoda su due livelli: quello di trasformare un altro professore bisbetico e intollerante al pubblico (per tali caratterisitche, mi ricorda un amico mio che, guarda caso, fa il professore) in una persona facile da intervistare (fu anni prima a sua volta ghost writer di altro personaggio famoso, ma incapace di scrittura), per rinverdire la pubblicazione svelandone il reale autore. E quello di aiutare Berganza a scoprire le mosse strategiche di un mafioso agli arresti per pilotare i suoi scagnozzi senza pizzini. È evidente che la Vani riuscirà in entrambi gli intenti, ma la bellezza di tutto non consiste in questi due lieti fini, cui arriva tramite tanti colpi di scena, ma nel linguaggio ad alto tasso di ironia e sarcasmo di una hater di professione come la Vani Sarca, che manda a stendere il pretendente ufficiale e ne conquista un altro, ben più difficile da raggiungere.

Valutare positivamente la copertina è facile, visto che ritrae la presunta protagonista fotograficamente parlando. Però è altrettanto facile cogliere per me che fui Art Direstor Pubblicitaria, si tratti di foto preconfezionata, prelevata da data base. Fosse stato uno scatto predisposto appositamente per il romanzo, probabilmente la ragazza sarebbe stata più dark, con un impermeabile lucido che non toglie mai, dal rossetto viola e lo sguardo arguto. Da togliere una stellina su GoodReads, ma la scittura aveva già superato il massimo di cinque, perciò la valutazione resta stabilizzata.

Consigliato agli aspiranti scrittori che troverebbero guadagno nel fare i ghost writer, nell'attesa di diventare famosi, agli amanti del genere giallo, ma animati da sete di cultura a profusione.

lunedì 28 gennaio 2019

NOTTURNO METROPOLITANO Milano, il commissario Ferrazza sul filo del rasoio


“Il dolore per fatti esterni a noi, che non toccano noi stessi o la nostra cerchia più intima, è autentico dolore, è una pena davvero vissuta? O è un dolore nutrito a forza solo perché si deve? Perché la morale, le consuetudini, il senso comune ce lo impongono? Quello che ci afferra la mente, senza però mai penetrare nelle viscere come una lama acuminata, si può chiamare “dolore”? Come si comportava, lui, di fronte al dolore? Di fronte allo strazio di quel corpo martoriato, cosa provava? O l’abitudine a scene di morte gli aveva spento il cuore?” Filosofia a parte, l'incipit è lento e non interessante.

Stavo per esercitare l'imprescrittibile diritto di recesso di Daniel Pennac tra il lettore e l'autore, quando mi imbatto in un pippone politico che mi convince a proseguire, per l'impegno del Bastasi:
“Quattro carabinieri, (…) sono stati raggiunti da misure cautelari in un’indagine sulla morte di un giovane marocchino nella caserma Notari di Milano. Nei loro confronti sono state mosse accuse di falso e lesioni, fino a quella di omicidio colposo (…) l’accusa fa appunto riferimento alla morte di Kamal El Kabir, un tossicodipendente portato in caserma nel corso di un’attività di controllo antidroga. Secondo l’ipotesi accusatoria i quattro carabinieri si sarebbero accaniti su di lui colpendolo ripetutamente al volto e all’addome. I militari avrebbero falsificato i verbali dell’episodio, affermando che l’uomo si sarebbe ribellato all’interrogatorio urlando. “Era un invasato violento, in evidente stato di agitazione”, hanno detto, “ci ha aggredito a colpi di karate, senza alcun motivo”. In realtà sembra che, a causa della brutalità della colluttazione, due dei manganelli utilizzati per “calmarlo” si siano addirittura spezzati. (…) Il personale paramedico riferisce di aver trovato il paziente “riverso a terra con le mani ammanettate dietro la schiena. Era incosciente e non rispondeva”. L’intervento, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardio-polmonare, si è concluso con la constatazione sul posto della morte del giovane per “trauma cranico-facciale e arresto cardio-respiratorio”. (…) Si indaga anche su presunte “sparizioni” di droga sequestrata.” E poi ancora il Bastasi, che sembra non digerire certi atteggiamenti fascisti delle FFOO: “Non c’è stata solo la vicenda El Kabir, commissario, se li ricorda i casi Uva, Cucchi, Aldrovandi? È un’aria mefitica quella che si respira, con un partito che soffia sul fuoco parlando di “dare mano libera alle forze di Polizia”. Ha presente quel poliziotto che a una manifestazione di migranti ha detto: “Se tirano qualcosa spaccategli il braccio”? Ecco, se quella gente lì prende il potere, lui avrà licenza di farlo. E io non rimarrei al mio posto un momento di più, questo è bene che lo sappia».”, preparandoci sapientemente al finale colpo di scena, ma giustificato.

Noto un sorprendente “sopraluogo” che puntualmente viene sorretto dalla Crusca (attenzione: è notizia fake quella di oggi 28 gennaio 2019 che vede la nobile Accademia approvare l' utilizzo un modo transitivo di verbi garbatamente intransitivi, esempio: uscire, “escimi il cane”) 

Verso la metà un colpo di scena che sono costretta a celare per non spoilerare, inaspettato come nella miglior tradizione giallesca.

Descrizioni milanesi che toccano il cuore: “Era gradevole, il loft di Ferrazza. In un ex stabilimento della Richard-Ginori in via Tucidide, all’Ortica, che fino al 1986 produceva ceramiche e porcellane. Dall’esterno, oltre il muro di cinta, si intravvedevano i tetti dei vecchi capannoni operai, testimoni silenziosi di un’epoca che non c’era più. Ma, una volta all’interno, si scopriva che quei capannoni non ospitavano più impianti industriali, bensì civili abitazioni dal tocco vintage, affacciate sugli spiazzi un tempo affollati di tute blu, percorsi adesso da donne con la carrozzina o da ragazzi in bicicletta, i materiali antichi esposti quali oggetti d’arredamento, qualche pianta in giardinetti improvvisati.”, “Ed era bello, in via Ampère, nello slargo tra il Poli e il teatro Leonardo da Sogliani, passare di giorno e trovarsi circondati da una miriade di volti freschi, giovani e incoscienti, immersi in discussioni appassionate, letture solitarie, risate, fumo, baci interminabili, incuranti di tutto e di tutti. Un mondo sospeso che presto o tardi si sarebbe scontrato con incagli, ostacoli e muri di gomma difficili da espugnare. Ma, come nella Bibbia scrive Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme, “per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”.”, immagini belle ed efficaci per la loro cruda milanesità, che continuano con “Mangiò un panino in un bar anonimo, sfogliando il “Corriere”. Elezioni imminenti a marzo, una campagna elettorale gridata, a base di insulti e calunnie, i soliti tweet di Trump, avvisaglie di guerra in Medio Oriente, l’ennesima donna morta ammazzata dall’ex compagno…”, “Ferrazza si alzò dalla poltrona e si diresse verso l’ampia finestra che dava su via Cadamosto. Le strade, le case, persino gli autobus e i tre alberi della chiesa lì vicino parevano tinti di quel grigio scuro che fin dal mattino colava dal cielo. Un corvo nero stava mmobile sopra un lampione dall’altra parte della strada.”, “La gente normale. Che pensa ai cazzi suoi, ai tre mesi di lavoro promesso e poi chissà, ai novecento euro che nemmeno quelli prenderà più, alla lettera dell’azienda che delocalizza e che da un giorno all’altro o ti trasferisci in Calabria o sei fuori, al figlio chino sullo smartphone che mangia a spizzichi e non dice una parola, al condomino di sopra che ti sveglia azionando lo sciacquone in piena notte, al frigo da cambiare proprio adesso che soldi non ce n’è, ai negri che “arrivano in massa a distruggere la nostra civiltà”. Le serrande dei pochi negozi rimasti si abbassano una dopo l’altra e tra un po’ la strada diventerà un deserto, si torna a casa, si cena con la TV accesa. Più tardi, il popolo della notte affollerà i pub, dove il vocìo diffuso impedirà di cogliere i bisbigli, i sospiri, i silenzi.  Giovani e meno giovani stipati al bancone, ai tavolini, e poi anche fuori, al freddo, a occupare il marciapiede, a fumare, ragazze e ragazzi vestiti di nero, pantaloni, giubbotti scuri. Notturno metropolitano.” Ecco, il titolo, riferito ad un aspetto del mè Milan, caro a me e al Bastasi. “Quel sabato, alle otto di mattina, la città appariva immersa in un’aria strana, tra l’indaco e il marrone, densa di umidità. Ogni cosa era velata, il cielo offuscava un sole pallido, la cui luce fredda e opaca si fermava a metà, poco sopra lo skyline della città. Talora qualche sprazzo di pulizia diradava la caligine, ma quella che appariva era comunque una scena in bianco e nero.” Un fascino milanese “virato al seppia come in una foto vintage” così discreto da obbligarmi a scegliere anni fa, altra località di vita: le Alpi. Poi, se ho bisogno di una razione di smog seppiato, scendo in Milano.

Qualche riflessione filosofica rallenta le azioni, gradevole intermezzo: “Oggi si afferra la vita come un susseguirsi di singoli istanti, ciascuno dei quali è un presente a sé, senza legami né relazioni. Non esiste il passato, non esiste il futuro, non esiste l’altro. Esisto io, qui e adesso, con la mia fragile importanza personale. Una perdita di senso che provoca le azioni e i comportamenti dissennati dei quali tu e io siamo ogni giorno testimoni».”, “«Eh, commissario… Vedi, mio padre era un muratore con la quinta elementare, che però mi ha fatto studiare fino alla laurea in legge. Era iscritto al partito comunista e per lui, e per quelli come lui, la cultura ha sempre svolto un ruolo fondamentale, di sviluppo personale e sociale.(...) Altri tempi.”. La cultura, oggi in Italia, appaga ma non paga. Cit Forforismi Pastorology, uno dei miei più cari. Ne avete piaciato la pagina Facebook?

Poi una scena al fulmicotone che lascerebbe col fiato sospeso chiunque si azzardasse a leggerla, il ritrovamento della principale testimone dopo un inseguimento degno di Jason Bourne.

Ritorna anche un riferimento a casi come quello del Cucchi: «… Sempre secondo l’accusa, in passato altre persone, italiane e non, condotte in caserma per i più svariati motivi, avrebbero subito pestaggi e abusi. Al vaglio degli inquirenti ci sono infatti altri episodi analoghi, i cui verbali sono stati sequestrati. Una donna, anch’essa risultata tossico dipendente, avrebbe subito violenza sessuale. Si indaga anche su presunte “sparizioni” di droga sequestrata»” che servono da supporto alla narrazione.

Infine, tra attori e attrici sosia, sansevierie, amori e tradimenti, improvvidi scambi di cellulari, TOR, il limite estremo dei femminicidi sempre più frequenti da parte di uomini che ne reclamano il pieno possesso, l'eterna diatriba Polizia/Carabinieri “E noi, in nome della cosiddetta giustizia, siamo disposti a infangare un’istituzione come l’Arma dei carabinieri?»”, e-mail compromettenti inopportunamente non cestinate, insospettabili pezzi grossi implicati non solo in omicidi ma anche e soprattutto in spaccio di stupefacenti, verità supposte ma doppiamente interpretabili, “«La verità!» replicò Farnese. «La verità non esiste, dovrebbe averlo capito, in tanti anni di professione. Esistono solo i punti di vista. Mi dia retta, Ferrazza, seppelliamo i morti e diamo spazio ai vivi.”, “Un risultato di pulizia importante, del quale l’artefice è lei, Ferrazza, un successo per il quale proporrò senz’altro la sua promozione. L’essenziale è che l’Arma ne esca a testa alta, quindi il caso è chiuso. Chiu-so. Mi ha chiamato addirittura il sottosegretario Vincenzi, s’è tanto raccomandato, c’è già troppo rumore attorno a queste storie». Ferrazza scosse le spalle, le mascelle strette tanto da fargli male, gli occhi fissi su quelli del questore, che a un certo punto li abbassò. «È tutto?», domandò. «Sì. È tutto. Non faccia stupidaggini e si prenda qualche giorno di riposo. Ha una bella carriera davanti a sé, immagino che diventare commissario capo non le faccia schifo, no? E anch’io, poi, non sono eterno… Sono certo che ha capito, Ferrazza, conto su di lei, sulla sua intelligenza e sul suo senso del dovere». «E voilà! Giustizia, Difesa e Interni, tre ministeri, tutti d’accordo nell’insabbiare l’inchiesta.”, e poi ancora: “«Cosa ne penso?», riprese Guido, dopo aver ingollato un bicchiere d’acqua. «Penso che ho appena finito il capitolo sui fatti di Genova del 2001. Il G8, le manifestazioni dei NO-GLOBAL, e poi la Diaz, la caserma di Bolzaneto. E le enormi responsabilità della politica sull’accaduto». «Evoluzione e involuzione. La società italiana dalla caduta del fascismo a oggi, giusto?». «È il titolo provvisorio, poi come sempre deciderà l’editore».” (si direbbe che l'autore Bastasi ne stia scrivendo uno, di saggio, sulle vessazioni delle Forze dell'Ordine italiane nei confronti dei propri “screanzati cittadini” alla Cucchi). Ma alla fine il Bastasi farà trionfare la giustizia. Un po' amara, ma sempre giustizia.

Le consuete considerazioni di un Art Director Pubblicitaria della Milano da Bere mi portano ad aumentare a 4 le stelline su GoodReads.

Consigliato ai soliti gaillisti, ormai l'unica categoria di lettori intaliani esistente in vita, con tendenze alla politologia e alla dietrologia.

L'AUDACE COLPO DEI QUATTRO DI RETE MARIA CHE SFUGGIRONO ALLE MISERABILI MONACHE di Marco Marsullo

Da qualche tempo, in verità circa un anno, mi sto battendo per far accettare il progetto di #badanteletteraria nelle Biblioteche. Ho cominciato proprio da febbraio 2018 a Palermo, che in quell'anno era Capitale della Cultura. Dagli scaffali dell'ultima biblioteca visitata, in Oulx (TO), mentre ero in attesa della Responsabile, mi occhieggiava questo libro di Marco Marsullo, dall'insuperabile copertina di Riccardo Falcinelli che, con me che fui Art Director Pubblicitaria nella Milano da Bere, sarà convinto che a fare il successo di vendita di un libro, è proprio la copertina, visto che ne disegna da anni e con comprovato successo. Nella fattispecie, questa richiama un famoso disco dei Beatles (quello per intenderci in cui i quattro di Liverpool attraversano la strada, ma solo uno è scalzo: chi?) Però raffigura quattro anziani e quello che avrebbe dovuto essere scalzo, indossa pantofole da nonno. Bravo e ironico Falcinelli, come sempre. Copertina vincente che conferma, se mai ce ne fosse avuto bisogno, le 5 stelline su GoodReads.

Einaudi: l'editore promette bene (non faccio più lo sbaglio di ignorare chi sia la casa editrice - vedi De Alberti). In quell'attesa di pochi minuti, leggo già una trentina di pagine. L'autore ha superato quella che io chiamo “prova Eco” e anch'io. Il semiologo affermò che il lettore va catturato entro le prime venti pagine, nel bene come nel male. Lui scelse il male (il suo NOME DELLA ROSA è così infarcito all'inizio “del suo bosco narrativo” di dotte dissertazioni latiniste, da far desistere anche i lettori più accaniti, ma poi in preda al ravvedimento, ha negoziato coi suoi critici, su significato e interpretanti, riesamindolo consistentemente, perché se è vero che “il testo è una macchina pigra nei confronti della quale il lettore è chiamato a condurre un lavoro di interpretazione e a cooperare al fine di riempire spazi di non-detto o di già-detto” cit. Eco da Lector in Fabula,1979 cioè l'anno precedente a IL NOME DELLA ROSA, è anche vero che in questo caso il lettore medio non ci risuciva).

Il Marsullo invece imbastisce subito i profili di quattro probabilissimi personaggi, vecchietti tanto auto ironici quanto ardimentosi, originali se solo non ricordassero quei burloni degli AMICI MIEI. Nella Villa delle Betulle dove risiedono da quando sono in preda chi alla demenza senile (che oserei tradurre bonariamente in scemenza), chi alla stitichezza, chi al Parkinson, chi all'erotomania, con arguti soprannomi che parlano anche per ossimoro delle loro disabilità senili, (Agile, Brio, Guttalax, Rubirosa) sono tenuti a bada da un'allegra congrega di monache. Allegra congrega è un eufemismo: le sorelle o sono giocondamente beote oppure appartengono alla gioventù hitleriana, senza mezze misure. A tal punto da obbligare i residenti al televisivo rosario domenicale di un certo Padre Vattelapesca del Vaticano, che ha pure la zeppola.

Il più bombarolo dei quattro lo odia a tal punto da ideare un attacco terroristico a suo danno, approfittando della gita a Roma per tutti organizzata dalle sorelle, riesce a coinvolgere i quattro nel suo diabolico piano, perché vince le perplessità di ciascuno facendo leva su loro motivazioni estremamente personali. L'autore Marsullo gli congegna un piano che ha del geniale, almeno quanto le zingarate degli AMICI MIEI, “amabilmente” contrastati dai loro “acerrimi nemici”, altri vecchietti da soprannomi come Capitan Findus, Sciabola e Uccello. Vi lascio indovinare quale siano le loro attempate tipicità.

Lo stile linguistico del Marsullo appartiene al miglior varietà cui ci abituò Mamma Rai negli anni d'oro, ma anche al gioco degli scambi e degli equivoci di certa commedia teatrale di antica tradizione italiana. Nessuno stupore: sarà anche giovine, il ragazzo è nato nell'85, ma evidentemente si è ben documentato dalle Mediateche Rai, inesauribili fonte d'ispirazione anche per me. Di conseguenza, non riporto brani come sono solita fare, perché non ci sono particolari acrobazie linguiste. Dico solo che, da buona sceneggiatrice ghost writer proprio dell'ideatore degli AMICI MIEI (Leo Benventuti), noto subito come sia una successione di fatti e colpi di scena ben concatenati gli uni agli altri. Fosse per l'appunto una sceneggiatura, la si definirebbe sceneggiatura di ferro. Bravo il Marsullo. Non mi stupirei se prima o poi venisse chiamato a firmarne una.

Non manca la lacrimuccia finale, che non spoilero. Va detto che uno dei quattro pirati, nell'impeto delle rocambolesche avventure degne di un guascone come D'Artagnan, se ne vola via “come un cretino, mentre giocava alla guerra coi suoi amici cretini”, dice il nipotino. Ma Agile gli solleva il mento con due dita e … “Proprio così, tuo nonno era un pirata senza pietà” facendo la sua gioia.

Consigliato agli estimatori della narrativa d'azione, anche se azione datata (ma del resto stiamo andando verso un inesorabile invecchiamento della Nazione), ai lettori che cercano soddisfazione negli intrighi giallini, anche se qui, di giallino, ci sono solo perdite. E non parlo dell'opposto di vittorie.

giovedì 24 gennaio 2019

MULIERES E MITI


Il titolo già anticipa inequivocabilmente i contenuti di questa sillloge poetica, in cui la Vallesi esplicita tutto il suo afflato positivo per il mondo femminile, incarnato in donne reali quanto mitologiche. O forse donne del quotidiano che diventano mitiche eroe (scusate l'uso improprio della parola eroe, forzatamente coniugato al femminile, ma è proprio azzecatissimo nel caso della Vallesi per sottolineare l'importanza che dà all'eterno femminino. “(...) Pensate come il linguaggio stesso sia imbevuto di misoginia. Ad esempio, avvocato per una Donna avvocata, consigliere per una Donna consigliera, assessore per una Donna assessora, presidentessa per una presidenta - lo so, quest’ultima è mera provocazione” cit. STANDING OVULATION di Stefi Pastori Gloss). Il suo nome, Annalea, è composto da due parti femminee: Anna, graziosa, e Lea, leonessa, essa stessa dunque ossimoro concettuale come molti dei miti da lei citati. Interessante sarebbe chiederle quanta influenza abbia avuto sul tema della sua silloge. La copertina stessa parla di questa sua predilezione: una tigre (che, anche se maschio, conserva il genere femminile), una samurai in rosa, entrambe simbolo di combattenti. La riproduzione di un quadro molto efficace per trasmettere gli intenti della Vallesi. Brava! Avessi reperito il libro in una di quelle librerie con bancali zeppi, l'avrei scelto. E' così che funge, detto da una ex Art Director Pubblicitaria degli anni della Milano da Bere.

La prima poesia, che riscrivo per impararne l'efficacia, introduce bene il suo naturale trasporto muliebre. È intitolata a:

ELISSA
(Il canto d'amore di Didone ad Enea)

“Ho sognato di te,/come fa un albero/che perde le sue foglie/e le ritrova sulla terra all'indomani./La mia terra è umida/e invasa da un caldo desiderio,/ma tace/per non essere calpestata./Se la tua mano potesse poggiarsi lieve/sul suo battito convulso,/non si ritrarrebbe,/ma ascolterebbe in silenzio/quel rumore.”
nella quale è possibile rilevare influenze dannunziane (penso in particolare a Alcyone, la pioggia nel pineto). Allīzāh, tradotto in Elissa, è il nome fenicio di Didone. Ne ho imparata un'altra. La vera letteratura insegna.

Nello scorrere attentamente i componimenti, mi sembra di scorgere un altalenante percorso d'amore della Poeta: da non corrisposto, anelante ad un qualcosa di impossibile da raggiungere, come ben si deduce da OLIMPIA (città olimpica o mito femminista? Propendo per il riferimento a Olympe de Gouges, pseudonimo di Marie Gouze, vissuta in Francia nel Secolo dei Lumi, drammaturga e attivista politica i cui scritti femministi e abolizionisti ebbero grande risonanza contro schiavitù razziale e negazione dei diritti della donna. Promulgando l'uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna, dimenticava “le virtù che convengono al suo sesso”, condannandosi da sé alla ghigliottina). “... quale nube ha offuscato il tuo pensieri/a quale ancora hai ormeggiato le certezze.../Salta verso l'ignoto!” o in ACCA LARENTIA, figura semidivina, prostituta protettrice del popolo umile, sembrerebbe moglie del pastore Faustolo, che soccorse i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma. Assume i nomi di Faula o Fabula, e viene detta “lupa” (termine con il quale i Romani indicavano le prostitute e dal quale viene il termine “lupanare”) “Non so se ti sono insopportabile/o solo indifferente.” Poi passa attraverso la decisione di una trasformazione di sé con LILITH (demone sumero o prima moglie di Adamo, in parallelo alla crescente emancipazione delle donne nel mondo occidentale, alla fine dell'Ottocento, Lilith assurge a simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile e, rivalutata nelle religioni neopagane, viene posta a fianco di simboli come quello della Grande Madre) “...Sarò un'altra me/un'altra storia/un'altra croce/un'altra ora.” e tra BRISEIDE (figlia di Briseo, sacerdotessa troiana di Apollo) “...Vorrei essere l'aurora di un giorno infinito/che scalda la tua fronte ignara” e tra i “quieti rancori” da ELENA (di Troia, icona dell'eterno femminino. Proprio questa sua caratteristica archetipica fa sì che, nell'immensa letteratura nata attorno alla sua figura, Elena venga raramente considerata responsabile dei danni e lutti provocati dalle contese nate per appropriarsi della sua bellezza), e sobrie auto rassicurazioni per un amore non ancora corrisposto “amare non è altro/che il naturale desiderio di essere riamati” arriva anche ad ASTREA (altro personaggio della mitologia greca, vergine stellare simboleggiante la Giustizia, figlia di Astreo e di Eos, innocente e pura), giungendo perfino all'empatia con il male subito e perpetratole “Eppure, se lo si ascoltasse/saprebbe come farsi perdonare” e alla morte, in ECATE, (personaggio di origine pre-indoeuropea che regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti e la Negromanzia, ma qui sembra più essere d'ispirazione alla Vallesi in qualità di psicopompa, in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il regno dei Morti.)

Tracce dell'ispirazione a D'Annunzio - da me amato fin dall'adolescenza - l'amante guerriero ispiratore di gesta da epopea e poeti financo europei a lui contemporanei, si ritrovano disseminate nella silloge della Vallesi. O ancora influenze ungarettiane quasimodiane in PER GILDA (dopo il nostro litigio) amica della Poeta, cui la Vallesi attribuisce il nome di una bellissima spogliarellista, personaggio interpretato da Rita Hayworth. La canzone Put the Blame on Mame rimase indissolubilmente legata al suo nome. “Una luce piccola e calva/accovacciata sull'ancora salvifica/del perdono/mi attraversa/come un dono./Il buongiorno è/un'amaca di sabbia/appesa tra la sera e l'alba.” CIRCE (i cui magici artifizi trasformavano gli uomini in leoni, cani, maiali, a seconda del carattere e della natura) “L'orizzonte come/stelo di sole/infuocato al tramonto/e pallido all'alba/separa l'immenso cielo della vita/dal mare della mia anima bambina.” e via così dicendo, passando da una biblica SARA “ … Sarai spiga di luce di una qualsiasi alba” a muse come CLIO “Un fulmine nella tempesa/o un raggio di sole al tramonto.” Leziosità, a dire il vero, che però alla Vallesi si possono perdonare, perché appartenenti alla sua personalità, gradevolmente leggiadra.

Consigliato a storici e mitologi che però siano anche amanti della Poesia Alta, per intenderci alla D'Annunzio, Quasimodo, Ungaretti, agli estimatori dellEterno Femminino, alle Femmine Vere.

lunedì 14 gennaio 2019

ANATOMIE COMPERATE


ANATOMIE COMPERATE: già il titolo, con questo divertente scambio di vocali significative, sembra prepararci ad una divertente serie di paranomasie.

Il primo scambio si realizza fin dalla introduzione, che introduzione non è. Infatti, invece della pre o post fazione, reperiamo una breve raccolta di impressioni individuali di amici ed amiche della Gabriella Montanari, che vanno dal critico d'arte all'amica nulla facente, tutte menti intriganti che l'affascinano per l'aderenza con il suo stesso sentire di cantante in senso classico. Lei stessa afferma:
“Niente intro, né pre, né post, ma un concerto di voci dal timbro poco, o per nulla, affine. Tutte ugualmente intonate, tutte atte al canto.”

La silloge è suddivisa in più sezioni, coronate da dotte citazioni.
Sezione I
Ippocampo sempreverde e ciuffi di memoria «Noi dimentichiamo il corpo, ma il corpo non dimentica noi. Maledetta memoria degli organi!»
Emil Cioran
Questa è la sezione dei ricordi infantili asessuati, come prodromici futuri genitali.
“LUGLIO TRA SUSINE, BREZZE ED ERPES ZOSTER” Nel titolo della prima poesia è subito racchiusa quella che s'impara presto a riconoscere come la modalità Montanari: una pregevole successione di ossimori tra morbidezza e asprezza, tra parole ricercate e altre ruvide. Più avanti, difatti, in una delle Sezioni, troveremo POMERIGGIO EMATICO “Scorre sangue di trifoglio (…..) ci pieghiamo ai latrati della coscienza./Il sacchetto, l’escremento.” IBRIDI “Le ragazzotte irsute/con la zolla sotto il tacco/hanno seni ondivaghi e capezzoli da spremitura./Damigiane d’idee, damigelle restie al reggicalze.”

Ma le rimembranze d'infanzia sessuata iniziano solo con un componimento la cui pregevolezza mi impone di riscriverlo tutto: TALAMO PRENUZIALE “Il dottorino imberbe ci visitava/in cambio di lascivi tic tac,/i genitali rivelavano il big bang/a noi che del piacere intuivamo la casualità./Le falangi s’inoltravano nell’internato ignoto./Tra pistolini esibiti come medaglie al volere/affiorava la ricetta dell’amore mutuabile./Eravamo di bocca larga e di coscia buona./Avevamo l’altruismo dei porci a dicembre.” I bimbi si avvicinano al mondo degli adulti con lo stesso altruismo dei porci a dicembre, donandosi in pasto agli umani, dopo il macello novembrino. Crudezza e tenerezza.

A parte GERIATRICAMENTE VOSTRA “(…) I nonni ignoti/sono sfere di naftalina conficcate nella lontananza.”, di cui ho riportato l'immagine più vivifica a dispetto dell'impronta geriatrica, tutti gli altri componimenti della Montanari proseguono nell'ispirazione del tema impostato dalla Sezione in cui domina una tenera sensualità ammiccante.
TRONCHI E CORTECCE “(…) Mi invaghii di un fiore di nome Filadelfo:/deflorò la mia infanzia/in cambio di due stami.”
SCOMPENSI “(…) «Parli strano, bambina./Ti hanno munta stamattina?»”
MIDOLLI E LEGGENDE (...) I grilli sfregavano un jazz sincopato./Noi succhiavamo pistilli e altri falli/e istigate dai roghi familiari/contavamo i minuti/che separano le streghe dai santi.

Sezione II
Del fegato, della bile e di altre amarezze «A volte pensavo al fegato, ma lui non parlava mai, non diceva mai: smettila, tu stai ammazzando me e io ammazzerò te! Se avessimo il fegato parlante non avremmo bisogno degli Alcolisti Anonimi.»
Charles Bukowski
Il poeta necessariamente con la p minuscola (più che altro assurto a didascalico esempio di "poeti da Social" – in senso volutamente denigratorio), inaugura la nuova sezione dedicata al disagio fisico e malato. In RIGOR, c'è saba: Umberto, isola o condimento, parola da disambiguare, ma non troppo.

In CUTE SCALPITANTE c'è stomìa, una procedura chirurgica con la quale si viene a creare un'apertura nel corpo.

In SOSTANZA BIANCA mi chiedo cosa sia la SOSTANZA BIANCA, ma poi c'è Ensor, James Sidney Edouard, Barone di Ensor, pittore e incisore belga, precursore di molte tendenze di arte contemporanea che lo spiega, tra cui l'Espressionismo. Tutte cose che ho imparato con la Montanari e la sua silloge. La vera Letteratura cos'è, se non insegna nulla?

C'è anche dell'ironia, ingrediente sine qua non per buona Letteratura: SIMMETRIE SERALI “Mio padre non si sedeva per non morire/mia madre morì per potersi sedere”, in TIROIDEA “Io svendo casa, compro la distanza”, in CIECO E RETTO “Come fingi tu, nemmeno un baro
con un full di mosche in mano (...) e l’ultima fede/si è giocata il cristo/per un decimetro di würstel.” Chissà che sarà questo würstel. La stessa mia idea si affaccia anche alle vostre teste? Presumo di sì, se siete maliziosi.

Riferimenti letterari - lopardiani omerici - in GIORNATE EPATICHE “... e il naufragar verdastro nella noia (…)”, “Cantami, o Diva.” confermano la dottità* della Montanari.

Sezione III
Rossori, porpore e trasfusioni a buon rendere «Pensai a quanti luoghi qualcuno ha nel sangue e nessun altro li sa.»
Cesare Pavese
che tratterà di sangue materno e parto.
Infatti, la Montanari reitera il tema in LA SPECIE, ESPULSIONI “Ho un vago sentore di madre” ARIETE I, ARIETE IICOLOSTRO, GESTAZIONE: “Il DNA è un doppio laccio/che si fa cappio/dopo una sequenza di orgasmi”, parlano di concepimenti, vissuti come costrizioni, maternità e nascite.

SEZIONE IV
Promesse del miocardio «Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna, il cuore ha più stanze di un bordello.»
Gabriel Garcia Marquez
Probabilmente più che promesse del miocardio, sarebbero da intonarsi come promesse da marinaio. Il cuore innamorato è un marinaio, secondo Marquez ma forse anche secondo la Montanari, sublimando le voglie nei suoi personaggi. Lo dimostrano l'apparizione di una felliniana Gradisca che si fa portavoce di capodanni perduti in PLASMA, e altri bohemiens musicati da Eric Satie in CAVITÀ ABITATIVE con una forte suggestione genitale, disseminando qua e là, tra versi eleganti, anche coleotteri (cerambici), opercoli, gavotte e Goldrake vari. E mancanze di fiato per Sindrome di Stendhal, come in BULBO SICULO, per la rarefatta bellezza sincopata e misterica dell'uso linguistico. “Un sistema di trucioli al latte di fico, sei./In bocca sai di pomeriggi a caccia di cerambici./Nella dimensione dei cartoni nipponici/le nostre infanzie si sono forse corteggiate./Le dita che conoscono scorciatoie di padre/mi svezzano alla maestrìa d’uomo./Benedico il panico, fisso i tizzoni/di tabacco e d’occhio vivo,/mentre il Mediterraneo s’affaccia a noi/spalancati di sabbie, grida di moka e fiati.

In questa poesia, io che sono tanto sensibile alle tematiche della violenza in famiglia (CORPI RIBELLI resilienza tra maltrattamenti e stalking), avverto contenuta la violazione del corpo in senso edipico, ma sbaglierò per deformazione professionale.
In CRISTALLINO E CARATI la Montanari mi ricorda che l'amore sopravvive a tutto solo se entrambi gli elementi della coppia se ne curano: “Siamo fatti di clima e sviste./Duriamo solo se concimati.” La Montanari però resta in bilico tra saggezza condivisa o bisogno di presunta priorità attenzioniale, come in PIASTRINE IN CROSTA “Possiedimi se sai contare fino a dopo./O guarda con me un documentario sull’estinzione del dodo.”

Sezione V
Organi sensuali «Di fatto noi facciamo l’amore con gli organi escrementizi.»
Charles Baudelaire
Il riferimento spleen rappresenta per la Montanari la fase del disinnamoramento dell'amore. In ARTI A DUE CORSIE l'amore in questo caso sa di rabbia repressa e rivendicazione. “All’imbocco delle tue gambe autostradali/si annidano colombe d’oro/equilibrate di giallo, regine dei sorpassi./Non sono peli ma ginestre/gli steli offerti dalle tue cosce/alla mia bussola olfattiva./Prendo muffe per eccesso di staticità./Sai di sole sfacciato. Di tedesche in riviera.”

Fino a FACEBODY (parafrasando il nome di un Social) leggo poesia meno accattivante, meno pensata, meno desiderata, meno rappresentante di sé, in senso scarsamente autobiografico. Ma è con “o una spuntatura di cielo non visualizzato” che la Montanari torna a vincere per originalità.

Sezione VI
De corpore «Le malattie che sfuggono al cuore divorano il corpo.»
Ippocrate di Coo
Sezione dove anche la poesia diventa atossicante.
INTOSSICAZIONE ELEMENTARE (figura retorica che sostituisce, come nel titolo della silloge)

La Montanari si interroga sulla funzione della poesia (come già in sezioni precedenti con RAIRADIOGRAFIE “… Il giorno in cui la penna/non saprà che farsene del mio permesso.”) da MUTAZIONI “Sfama di più una poesia o un ragù verace?” a PLANTARI AGRITURISTICI “Scrivere non ha più lo stesso sapore,/i greci, i latini ci hanno tolto la bellezza di bocca.” fino a FUNZIONI FISIOLOGICHE “... invece Poesia è scegliere la mela guasta,/preferire il gusto al rossetto.”, quasi conferendo un senso estetizzante al dolore del vivere, allo spleen di baudelairiana memoria.

Sezione VII
Lobi equatoriali.
«Gli africani selvaggi adorano il serpente perché l’intero suo corpo tocca la terra, e cosí ne conosce tutti i segreti. Li conosce con il ventre, la coda, i genitali, la testa. È in contatto con la Madre, si mescola con essa.»
Nikos Kazantzakis
La Montanari deve aver vissuto un certo periodo della vita in centro Africa. Lo si deduce dai continui riferimenti neri, in LESOTHAN abitante del Lesotho o assonanza con un farmaco che potrebbe dare assuefazione, come l'Africa, con camerieri neri, tessuti di batik, manghi, moschee, latti di cocco, Togo voodoo e gri-gri, baobab e scimmie, quasi abbia il mal d'Africa. “L’assuefazione è una balia/che non ti nega mai il petto.”

“... covo di anatomie comperate coi risparmi” è il verso che finalmente ci spiega il titolo, non come la citata figura retorica, bensì come qualcosa di comperato veramente. Appartiene all'unico componimento non intitolato.

I Mozart, i Ligabue, i Bach sparsi confermano che la poesia si fa musica, matematica, ritmo e dalla musica trae il vantaggio dell'ispirazione.

Manca una stellina su GoodReads perchè, da brava ex Art Director della Milano da Bere, dico solo che semplicemente non è attrattiva, non venderebbe il libro, confuso in una catasta da libreria di massa.

Consigliato agli intenditori di Poesia Maiuscola, colloquiale, dotta da istruire, pensata che fa pensare.

*dottità: preferisco coniare un neologismo all'impiego di saggezza (s.f.), senno (s.f.), assennatezza (s.f.), sapienza (s.f.), buonsenso (s.f.), raziocinio (s.f.), giudizio (s.f.), criterio (s.f.), equilibrio (s.f.), attenzione (s.f.), prudenza (s.f.), accortezza (s.f.), avvedutezza (s.f.), discernimento (s.f.), oculatezza (s.f.). Dottità le contiene tutte, con quella piccola dose di necessaria ironia, per renderla credibile (pensiamo ad uno dei nomi dei sette nani).