sabato 20 giugno 2020

HANNIBAL di Thomas Harris

La recensora lo lesse subito nel 1999, ricavandone una notte insonne per finirlo da tanto era appassionante (e agghiacciante). Da quel giorno, lesse altri thriller splatter, ma tutti di caratura nettamente inferiore a questo nuovo capitolo della vita di Hannibal Lecter, tranne forse  il primo romanzo di Donato Carrisi, IL SUGGERITORE, soprattutto per originalità di plot. Nel frattempo, l’anima della Gloss sia di lettrice che di donna si è rafforzata; dalla seconda lettura di HANNIBAL non è rimasta sgomenta, ma piacevolmente stupita da quanto il romanzo abbia conservato in vent'anni il premio più alto per conoscenza di Fbi e dei suoi sistemi, per svisceramento delle meccaniche relazioni interne alle grandi istituzioni investigative USA, profondità di ricerca organolettica di persone e gastronomia, per raffinata ermeticità nelle descrizioni paesaggistiche e situazionali, per disanima ed espletamento della psicologia di singoli personaggi;  e non da ultimo, per esaltazione dell’italianità, in senso storico e artistico, binomio indissolubile quando si parla del Bel Paese, che Dan Brown tentò (inutilmente, per quanto gradevole) di bissare con Angeli e Demoni. Questo romanzo di Thomas Harris è un perfetto bilanciamento tra stile e idee, infinita diatriba nella critica letteraria. Le consuete due parole sulla copertina. La Gloss ha scelto quella che riporta la tipica protezione dei giocatori di Hockey, applicata sul viso del cannibale nella realizzazione del primo film immediatamente riconoscibile da chiunque avesse visto IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI, nei toni del rosso sangue. Vendette subito e bene. Per un Art Director della Milano da Bere che fu, molto efficace nella vendita.
Consigliato a lettori appassionati del genere thriller splatter, ma raffinato, e non solo: anche agli aspiranti scrittori, che credano finalmente di poter imparare dai libri altrui qualcosa di utile alla loro scrittura.

lunedì 15 giugno 2020

QUALCOSA DI BUONO di Sveva Casati Modignani


La recensora non l’ha mai amata particolarmente, Sveva Casati Modignani, perché forse appartenente al mainstream cultural politico italiano. Tuttavia, a maturità raggiunta (o forse no, non si smette mai di imparare) ne affronta la lettura, ricavandone l’impressione che l’autrice ambisca a imitare Isabelle Allende, soprattutto nella narrazione di grandi saghe familiari a lieto fine, non riuscendoci del tutto. Forse perché l’Italia delle grandi famiglie non è popolana, tanto quanto la cilena. Tuttavia, resta valida l’ingegnosa trovata che dà l’incipit all’intera vicenda e che la Gloss non può rivelare per non spoilerare. Tuttavia, vi reperisce l’espediente di intitolare ogni capitolo con una ricetta, eseguita puntualmente nella descrizione delle azioni cui prelude o che accompagna, o che conclude, sempre in tema consolatorio, come se il cibo mitighi le angherie che si susseguono nella vita. Uno stratagemma letterario, come nella vita, che funziona molto bene.
La copertina, nei toni del rosso, riporta infatti un bricco, una tazza, un dolce: forse poco appariscente, ma in tema col titolo e il leitmotiv del romanzo.
Consigliato ai curiosi di ciò che accade nelle famiglie, nobili o meno nobili, e ai giovani scrittori la conferma che non si va da nessuna parte senza opportuni calci nelle parti posteriori.