mercoledì 24 ottobre 2018

NOI VI AVREMO

NOI VI AVREMO di Luca Oggero, disponibile dal 5 novembre 2018 solo su Amazon, a conferma del suo stra potere a discapito delle piccole librerie di qualità come quelle di certi amici miei, Luca e Malvina di Torino, è un romanzo che definirei scritto su sfondo adolescenziale. “Stage one completed, non so perché lo facciamo, lo facciamo e basta.”: ai sette riottosi ragazzotti, l'Orrido, il Gufo, Scrotoman, Panzer, Lalaura, Dedè, Rico - la voce narrante - di età compresa tra i venti e i trent’anni, tutta la vita sembra un videogioco. ... Abbiamo dei genitori con cui ci è impossibile tentare di comunicare, tanta è la distanza della nostra visione del mondo dalla loro, fatta per lo più di doveri, convenzioni sociali a cui attenersi pensiero di seconda mano filtrato da ciò che dicono alla televisione.”
Hanno scelto di vivere ai margini della società torinese, anzi, in montagna, in una vera e propria comune collettiva, lontano dai parenti che, assuefatti dai demenziali programmi TV, non li capiscono e non si sforzano neppure per farlo. “... abbiamo dei genitori con cui ci è impossibile tentare di comunicare, tanta è la distanza della nostra visione del mondo dalla loro, fatta per lo più di doveri, convenzioni sociali a cui attenersi pensiero di seconda mano filtrato da ciò che dicono alla televisione.”

Tutto scorre liscio, anzi, d'un botto fino a circa un terzo, dove l'Oggero si spende in un ultra spiegone che rallenta la narrazione. Ma solo per arrivare al clou della narrazione, che velocizza l'azione fino al parossismo, tra poliziotti Digos venduti per coca, NO TAV e francesi che paiono usciti dal peggior pulp splatter marsigliese. Peggiore in senso buono. Conosco l'Oggero on-line da qualche tempo, ne leggo i divertenti racconti ironici su Facebook, difficilmente fa errori, o è molto accurato nelle revisioni di ciò che propone. Accuratezza che viene smentita soltanto in un paio di occasioni, quali: “Certo, anche questi sono brutti elementi. ma in fondo non mi hanno fatto del male… certo, se non ci fossimo preparati ad accoglierli, me ne avrebbero fatto. Ora, comunque, sarò io a doverne fare a loro…” Un certo di troppo, forse incertezza di Lalaura. O forse ancora incertezza dell'autore, visto che fa un'altra ripetizione, 'preda': “io mi sono svegliato alle dieci, dopo tre ore di sonno, preda di un incubo che mi ha fatto aprire gli occhi in preda al panico e mi ha impedito di girarmi dall’altra parte e rimettermi a dormire.” O forse la mancanza di editor? A sentir parlare l'Oggero del suo editore, che fa il mestiere per passione, propendo per quest'ultima ipotesi.

L'Oggero fino a poco tempo fa portava i dread locks come uno dei suoi protagonisti, era alcolista, ma da tanto si è disintossicato e conferisce la sua testimonianza di resurrezione nelle scuole, come un vero bodhisattva. In questo romanzo non smentisce il suo passato, anzi: ne è la sorgente, sempre con una forte dose di auto – ironia. Come in tutte le mie recensioni, odio spoilerare o anche solo vagamente anticipare la trama. Però i miei lettori la potranno dedurre dai brevi estratti proposti: “Lalaura, che in quanto ad anatomia sapeva il fatto suo, aveva accuratamente evitato di andare a toccare organi importanti – che da quelle parti abbondano – come fegato, reni o intestino, per concentrarsi sui muscoli. i muscoli sono il segno della virilità di un uomo. Si mostrano i muscoli per farsi vedere più forti. lei aveva lavorato perché quei due bastardi si strappassero i muscoli a vicenda.(...) È solo in quel momento che il viso di Lalaura perde la maschera della vendetta per far sì che tutti vi leggiamo un vago senso di sgomento. È lei stessa a buttarla lì, mentre quella domanda stagnava pesante nell’aria già dal nostro silenzioso rientro a casa, per quanto nessuno avesse avuto finora il coraggio di pronunciarla: «Secondo voi muoiono?»” Va detto che Lalaura è il solo personaggio che l'Oggero ha sviluppato in profondità.

Il gruppo dei protagonisti, che a questo punto noi lettori abbiamo imparato ad assumere come un unico blocco compatto, sono spaventati e si asserragliano armati nella comune, in attesa di rappresaglie. “Dalla cintura dei pantaloni gli pende un grosso coltellaccio da sopravvivenza. «Come stai?» «Eh, come sto… sembra di essere in guerra…» «Già. Probabilmente lo siamo» gli rispondo. «Credi ancora che verranno a cercarci? Ormai sono passati cinque giorni.»” e anche: “Ovviamente siamo spaventati, ma venderemo cara la pelle. loro saranno pure mafiosi, ma noi siamo in sette, come i nani di biancaneve ma anche come i samurai di Kurosawa, siamo armati come si deve e conosciamo bene il territorio. Forse se vedono che facciamo sul serio ci lasceranno stare. In fondo non gli abbiamo rubato niente, mentre avremmo potuto, eccome! È questa situazione indefinita a farmi sbroccare di più… L’idea che forse non arriveranno mai e noi staremo qui a diventare matti per un nemico che magari non si farà mai vivo! Sembriamo i soldati del Deserto dei Tartari di Buzzati.” I riferimenti cultural cinematografici mi confermano l'impressione che ho dell'Oggero e della sua cultura.

Una ben preparata, seppur imprevista virata di Lalaura verso il sadomasochismo e del gangster francese Serge Di Paola, risolve una situazione altrimenti troppo tesa per non produrre altri cadaveri. Un efficace colpo di scena sul finale mi permette di valutare positivamente l'opera dell'Oggero, che si avvale anche di una copertina azzecatissima, tra il faceto e il pulp. Cinque le famigerate stelline conquistate su GoodReads.
(...) E fu così che i quattro mafiosi vennero rilasciati, con Serge Di Paola distrutto in volto ma rinnovato nello spirito sorretto per un braccio da Gaetano mentre i quattro risalivano in macchina.”

Consigliato agli ormai unici lettori italiani, ovvero coloro che si dedicano agli intrighi polizieschi, ma sapientemente condito dall'Oggero di ironia,/auto – ironia, elementi splatter e pulp della miglior specie, 'sesso e carnazza', come direbbe un glorioso gruppo italiano che immagino nelle raccolte musicali dell'Oggero e dei suoi lettori.

lunedì 22 ottobre 2018

LA COMPAGNIA DEI VIAGGIATORI DEL TEMPO


In cerca di opportunità per crescere in senso letterario, esplorando nuovi generi in cui mai mi sono sperimentata come scrittrice  (giallo e fantascienza), leggendo autori emergenti, (se ne salva uno su dieci ad essere ottimisti - ma anche è vero che si impara soprattutto dagli errori, come scrivo nei Forforismi Pastorology), e scrivendone recensioni, il mio agente letterario ed io ci siamo recati a una manifestazione libresca fiorentina che ha inaugurato ‘un borsino degli inediti’. Auguro all’organizzazione di migliorare sempre più, idea fantastica da promuovere meglio, soprattutto fra gli editori stessi: presenti in numero di tre, occupavano un decimo degli scranni a disposizione. Nel tour degli stand, abbiamo scoperto che alcuni di loro manco erano stati avvisati dell’opportunità di scoprire il nuovo Walt Withman. Gli autori, no, da sempre animati dalla convinzione di essere pari a Shakespeare, alla ricerca di opportunità per essere riconosciuti tali, appena colgono un’informazione che li possa aiutare, vi ci si fiondano. Erano presenti in file ordinate quanto rassegnate davanti ai tre soli banchetti presidiati. Una nostra stima d’acchito ne ha contati tra i cinquanta e cento per ogni editore presente: infatti in Italia ci sono più scrittori che lettori.

A questo punto, abbiamo fatto il giro dei banchetti presenti per capire se le proposte editoriali degli unici tre fossero aderenti al mio sentire letterario. Ne abbiamo dedotto che forse sarebbe stato meglio girovagare tra gli stands, contattando direttamente gli editori più promettenti dal punto di vista qualitativo. Tra questi c’era un certo ABEditore di Milano. Provenendo da diciassette anni di esperienza nel mondo della grafica (svolto parallelamente al mio lavoro di scrittrice, perché in Italia la cultura appaga, ma non paga, altro mio forforisma), sono persuasa che, in una grossa libreria di quelle caratterizzate da enormi bancali zeppi di libri, saltano all’occhio solo i titoli più originali e le copertine meglio realizzate dal punto di vista della seduzione. Pertanto, sono stata piacevolmente sorpresa da quelle attuate da ABEditore, il cui grafico, presente, ha ricevuto le mie motivate felicitazioni. Il dr. Baldacchini, direttore editoriale della stessa, mi ha richiesto la recensione di un paio di libri a suo dire interessanti. Ho iniziato a leggere quello che sulle prime mi è sembrato più stuzzicante, almeno dal titolo, ed è LA COMPAGNIA DEI VIAGGIATORI DEL TEMPO, di Massimo Acciai Baggiani, una raccolta di racconti di fantascienza, strutturata sul meta racconto in cui un gruppo di giovani si trovano periodicamente per raccontarsi le loro novità in fatto di narrativa, ognuno con la sua voce (ottimo pretesto narrativo per dare continuità alla successione dei racconti). Ma senza infarcirlo di teorie pseudo-scientifiche, di simil-tecnologia, che, dopo aver letto tutto l'insuperabile Asimov, sono le componenti più noiose in chi cerca di imitarlo, non riuscendoci. Questo libro non ne ha, pur essendo scritto con cognizione di causa. Evviva. A mero esempio nel Il primo racconto di Gianmaria LA VITA DI UN UOMO: “Era un torrido pomeriggio d'Agosto in città. Maurizio percorreva viale Ariosto a velocità sostenuta, sicuramente superiore al limite, quando perse il controllo della motocicletta su cui andava essenza neanche il tempo di accorgersene si ritrovò sull'asfalto. Un forte dolore alla tempia e poi il buio”.
È un incipit che inizia quasi in sordina - il Baggiani ci abitua subito a questo approccio - motivandoci il successivo sfasamento temporale con un banale incidente in moto del protagonista. Progressivamente, dal suo risveglio, assiste al fenomeno di asincronicità crescente tra lui e le persone che gli parlano, fino ad arrivare ad una disparità generazionale o di perfino di eoni temporali. Cerco di approcciare un testo senza preconcetti, solo in un secondo tempo, aggiungendo l'autore  agli amici di Facebook, scopro che è autore consumato con tanta bibliografia alle spalle. Non è un emergente.

In generale, gli incipit si suddividono essenzialmente in due tipologie: una, quella in cui l'autore accosta lentamente il lettore al cuore della narrazione, promettendogli un futuro narrativo attrattivo, facendo una scommessa con il suo interesse. L'altra, quella in cui invece l'autore catapulta il lettore nell'azione, catturandolo e tenendolo inchiodato alle pagine del suo libro. (Vedi leggolibrifacciocose AMORE OBLIQUO di Maria Teresa Casella). Questa raccolta di racconti appartiene alla prima tipologia, l'Acciai Baggiani creando un climax costruttivo a piccoli avvicinamenti graduali, disparati di per sé, però unendoli tutti in un flusso univoco con quel pretesto narrativo di cui sopra. Il Baggiani, pur dichiarando di aver cercato di distinguere lo stile narrativo di un narratore dall’altro, non ci riesce. Si avverte lo stesso stile (e la stessa filosofia di fondo, il buddismo) che attraversano  come una corrente sommersa tutti i racconti. Fattori che si rivelano subito in uno dei primi, ovvero Il primo racconto di Annetta FIRENZE NEL XXII SECOLO: “Un bel giorno fui trasportata nel futuro, oltre i miei anni, fino all'inizio del XXII secolo. Non so bene come ci arrivai...” (qui ricevo ulteriore conferma che al Baggiani non piace scimmiottare chi prima di lui ha fatto meglio, lo stimo già per questo)
“«Tu sei la zia Rosalba.» mi disse, come a trovare conferma di quanto già sapeva.
«Tu sei Emilio.» gli feci eco «Sono molto contenta di vederti. Come va?»
«Tutto bene, e tu? Che ci fai qui? Sei morta già da...»
«Non dire nulla» lo bloccai appena in tempo «non voglio saperlo.»
Lui rimase pensieroso per un po', domandandosi cosa avesse detto di male, poi ci arrivò e si scusò. «Neanch'io vorrei sapere la data della mia morte, anche se suppongo dal tuo punto di vista sia solo uno degli infiniti futuri possibili.»
«Già. Dal mio punto di vista il futuro non esiste ancora se non come possibilità molteplice.»
«Non sei mai stata una determinista.»
«No, non lo sono mai stata. Il tempo è un grande mistero, un'immensa equazione dalle infinite variabili che neanche un dio, seppur esistesse, potrebbe risolvere.» Dio minuscolo, in aderenza alle idee buddiste, fondamentalmente atee, in quanto il Budda fu un essere umano qualunque che non volle mai essere divinizzato.
«Non sei mai stata neanche una credente» mi disse a mo' di rimprovero.
«Al contrario, ho creduto a molte cose fino ai miei attuali trentotto anni, ma certamente mai a una divinità. Sono anche buddista, sai? Il buddismo richiede fede, così come credere che la vita abbia un senso.»” Ecco, il buddismo richiede fede, ma non nel senso delle religioni monoteiste che siamo abituati a riconoscere noi occidentali, riposta in un essere superiore - o inferiore - che ci giudica e ci spedisce in Paradiso o all’Inferno a seconda dei nostri meriti/demeriti. Ma fede in se stessi, nel senso di fiducia in senso lato: non solo di autostima, in cui è forte la componente dell’ego, ma di accettazione anche dei difetti per poterli mettere al servizio del bene dell’intera umanità.

Riprendendo l’effetto di asincronicità crescente de Il primo racconto di Gianmaria LA VITA DI UN UOMO, il Baggiani ci spiega meglio come avviene: “Siccome il fenomeno di sfasamento temporale cresceva di giorno in giorno, di ora in ora, di minuto in minuto a ritmo esponenziale, ben presto non sarebbe stato più in grado di sostenere una conversazione, di comunicare con nessuno. Si sarebbe ritrovato solo. (...) Maurizio da molti anni si è ritirato a vivere in solitudine, in un luogo sconosciuto. (…) Chissà cosa vede adesso, o tanti anni, se vede qualcosa. La morte di questo pianeta? La fine del Cosmo? Una passeggiata di qualche divinità tra le stelle?
Già, le stelle... non le vediamo forse anche noi, comuni mortali, in modo ‘asincronico’, ma nel passato? La luce che vediamo, non è quella di migliaia, milioni, miliardi di anni fa? La vita di un uomo, che vive in un angolino di una delle molte galassie, non abbraccia forse con la vista e con la mente tutto il Tempo?”. Il Baggiani conferma la sua sapiente tecnica narrativa con finali svelati in modo crescente e sorprendente.
Il racconto in cui gli riesce meglio tale tecnica è Il primo racconto di Chiara MARTE, il cui sorprendete incipit suona così: “Quando gli astronauti tornarono sulla Terra fu chiaro a tutte che essi non avessero la minima idea della situazione che avrebbero trovato a casa. (...) La gioia per essere tornati incolumi sulla Terra gli si leggeva in faccia, ma a me parve che ci fosse qualcos'altro. Ormai dovevano essere stati informati di aver rimesso piede su un pianeta cui quattro miliardi di abitanti era composto esclusivamente da donne.”
Per una femminista come me, (CORPIRIBELLI, resilienza tra maltrattamenti e stalking) è un espediente straordinario, foriero di situazioni inaspettate, come il mutamento di modi dire: “Il corteo d'auto procedeva a passo lento – prima si diceva a passo d'uomo e c'è chi lo dice ancora, ma è un modo di dire che sta ormai scomparendo –”.
Un virus terribile annienta la popolazione maschile “C'era stato l'ECL (...) nel giro di un paio di mesi non era rimasto un solo uomo vivo sulla Terra.” Nemmeno la clonazione di cellule maschili può garantirne la ricomparsa, perché nei tessuti si conservava il virus, annichilendo qualsiasi speranza di “rivedere un uomo”. Poi il colpo di scena dell’attentato, “all'improvviso una donna, scavalcata la recinzione, era corsa verso gli astronauti. Era giovane, praticamente una ragazzina, non più di vent'anni in ogni caso a giudicare dalle immagini, capelli neri legati in una coda, pelle abbronzata, vita snella, molto carina secondo i canoni maschili (...) Con una freddezza incredibile aveva piantato una lama da quindici centimetri nel cuore di Moroboshi. L'uomo era morto sul colpo. Mentre stava affondando il coltello ebbe il tempo di pronunciare due parole, udite distintamente anche dai compagni (...) “‘bastardi maschilisti’ ”, una definizione di cui si era persa memoria. L’inopinato finale è magistralmente costruito dalla seguente affermazione, ma non ve lo spoilero: “Per capire i nostri battibecchi, bisogna sapere che già da tempo frullava nella testa di mia sorella di adottare una figlia o, se non fosse stato possibile, almeno di farsi clonare.”

Un altro sconcertante racconto è Il secondo racconto di Ademio IMMORTALITÀ che ci anticipa i progressi della clonazione. L’incipit è contenuto in un paio di pagine, non ci svela subito chi sia Pitagora. “Pitagora era il miglior amico di Sebastiano, il mio bisnipote. Passavano la maggior parte del giorno insieme, giocando a rincorrersi nei giardini e nei corridoi della mia villa a Pantelleria durante le vacanze estive. Il lungo e delicato autunno della mia vita era stato allietato dalle risate fresche e infantili del mio nipotino, che udivo dal mio letto di infermo nelle ore solitarie in cui – tra un sonnellino e l'altro – stavo seduto in mezzo ai cuscini (...) spingeva la mia carrozzella sul balcone, felice di quel nuovo gioco, e guardavamo insieme il mare che ripeteva il suo saggio monito da molti eoni: vivi! La vita è un ciclo senza fine!” (ancora il buddismo e le sue rinascite). Dopo due pagine scopriremo chi è mai Pitagora. Per chi conosce la teoria della metempsicosi sviluppata dal famoso matematico dell'antichità, già il nome, sembrerebbe una telefonata che anticipa il finale a sorpresa. Pitagora fu clonato alla sua morte, apposta per restituire la felicità al bisnipote, e questo è il primo colpo di scena. Ma è quello finale che ci lascia basiti - e che non svelerò per non spoilerare - , se non riportando la frase conclusiva, che prende pieno significato solo da una lettura integrale del racconto: “Guardo il mio bisnipote e so che non è proprio il mio bisnipote, anche se lui non lo sa. E mentre lo guardo ripenso a quando, quasi diciassette anni fa, ebbi quel colloquio confidenziale con il direttore del centro sperimentale di ricerche genetiche, e ho le stesse perplessità di allora.”

L'Acciai Baggiani realizza un buon prodotto editoriale, senza quegli errori acerrimi nemici di un autore in cerca di qualità (e dell’editore! Vedi leggolibrifacciocose MENO DUE di Delia Deliu). Bravo. La copertina purtroppo gli fa perdere una delle stelline GoodReads meritorie in caso di efficacia: pur apprezzando la scelta cromatica* attinente all’invecchiamento della carta, la deprime a tal punto da impedire la cattura dello sguardo. Personalmente, non mi sarei lasciata tentare dall’acquisto d’impulso.

Consigliato a quei lettori che non amano la fantascienza fantasy rutilante in stile Guerre Stellari e a quelli con una discreta dose di conoscenze scientifiche, bisognosi di tornare a fare fungere le sinapsi.

* fui Art Director nella Milano anni Ottanta/Novanta

mercoledì 17 ottobre 2018

MAIALATE


Reperisco questa operetta di Eusebio Gnirro sul banco dello stand di uno degli editori partecipanti a FirenzeLibroAperto: Fefè Editore - Roma. Mi catturano le agili dimensioni (poco più che uno smartphone - vedi post su leggolibrifacciocose LA CARTOMANTE), il titolo ben promettente “Sommario semiesauriente delle MAIALATE con pratiche sessuali inusitate” e la copertina: se avete presente quel capolavoro contemporaneo che è QUARTO STATO di Giuseppe Pellizza da Volpedo, perchè dia perfetta corrispondenza al titolo, traducetelo in fattezze suine. In quanto ghost writer di Patrizia Panajia, la @ninfoavvocata diTwitter, (su Facebook, la Fan Page, Diario Porcello di  Un'Avvocata Ninfomane, andate a piaciarla, per favore), da oltre cinque anni mi interesso di sessualità.

E anche il componimento poetico che lo introduce conferma e supporta la scelta: trattasi di un ode all'ano di tale Cosimo Lupo. Sul primo risguardo della copertina, è riportata la genesi dello pseudonimo: pare che il nome dottamente scaturisca da un connubio di parole che, prese singolarmente, hanno un significato a sé stante, ma assieme ne compongono uno nuovo, tra pio, venerare, bene. Il cognome invece sia qualcosa di nettamente triviale, onomatopeicamente discendente dallo strillo del roseo quadrupede in procinto di entrare nello scannatoio. Un nome, un programma. La prefazione mi avvisa che non sarà un libro da sorreggere con una mano sola (vi lascio intuire perché), ma che “questo libro non vuole significare nulla”.
Però una sua utilità intrinseca c'è: il divertimento per una filologa come me. Lo Gnirro diverte se stesso (e il lettore come me, abituato al peggio) recuperando antichi lemmi desueti, arricchendo il suo e il nostro vocabolario, ma anche inventandone di nuovi, questi ultimi legati a presunte parafilie sessuali (che forse tanto presunte non sono).

Tuttavia, il finale mi lascia basita: lo Gnirro rinfaccia al lettore di essersi occupato di sesso solo leggendone, quindi perdendo tempo necessario alla pratica: “la principale sottoclasse della mania appena descritta consiste nel ricavare piacere dal leggere di sesso in vece che dal praticarlo”.

Esercito immantinente uno dei dogmi di Pennac, abbandonando il libro al suo infame destino. Ops è già finito!

Consigliato ai filologi della parola, a chi trae diletto da una sessualità mediata e meditata, ai cosiddetti sapiosessuali, che a dire il vero, potrebbe essere benissimo una categoria contemplata da questo gustosissimo libriccino dello Gnirro.

venerdì 12 ottobre 2018

MENO DUE di Delia Deliu


Max Castellani è un chirurgo che decide di ritirarsi a vivere in montagna. La sua vita professionale l'ha così impegnato da non poter nemmeno dedicarsi all'acquisto di uno chalet. Deve conferirne
l'incarico ad un agente immobiliare. A cena con lui fa un incontro, così strano da sembrargli un'allucinazione (per due ben giustificati motivi, uno dei quali non ve lo si può svelare, se non nella sezione in calce Spoilerata). Scopriremo in seguito che è Greta con il suo inseparabile cagnolone bernese, che si chiama, non a caso, come il protagonista. È figlioccia del titolare del rifugio alpino, Mario. Greta è una creatura eterea come il suo colore dominate, l'albino.

«La mia professione mi ha dato tanto: fama, denaro, soddisfazioni, però anche poco tempo per
me stesso. Adesso, tutto è diverso.» Al mattino dipinge, finalmente il cavalletto e i colori a olio sono arrivati.” A lettura ultimata, mi accorgo che fin dal titolo si annida il segreto di Max, ma la brava Delia Deliu riesce a nasconderlo mirabilmente, pur ammiccandovi. Lodevole tecnica narrativa per  lettori investigativi.

Il sentiero stretto della montagna viene accompagnato da abeti e larici, il rumore delle ali di qualche uccello spaventato rompe il silenzio. Una piccola lucertola attraversa veloce il sentiero, lontano si vede la pelliccia di una volpe che, nascosta, li guarda.” Il che, contornato dagli improvvidi passaggi dei caprioli, fa pensare ad un poco verosimile paesaggio montano: io ci vivo da tre anni, e mai ho visto tanta fauna nelle mie passeggiate alpine. La Deliu si fa un po' prendere la mano nelle descrizioni idilliache, tuttavia penso sia un espediente per creare contrappunto letterario all'imminente dolore.

Helen preferisce sempre fare le cose giuste, a differenza di Betty per la quale l’unica cosa che conta è raggiungere i suoi scopi. Per quanto diverse queste due donne sono molto amiche.” Questo passaggio mi è pretesto per presentare i cinque studiosi inglesi, Helen, Elizabeth, Robert, Daniel Michael, (botanici e faunisti) che insidiano lo sbocciare della relazione tra Greta e Max.

Una piccola raccolta di imprecisioni di natura grammaticale/linguistica mi fa ricordare che la Deliu non è italiana, ma il suo editor sì: “Un sorriso furbetto dà allegria al volto di Elizabeth, che sposta le mani incrociate in avanti e alzando il piede destro sulla punta, imprime un lieve movimento al bacino, come una bambina che sta pendolando. Le tecniche ammalianti della seduttiva ricercatrice inglese giocano a nascondino con imprecisioni linguistiche, che amerei fossero neologismi, come pendolando. “Lui si intende poco e Greta...” Meglio forse lui se ne intende? “...ha notato oggi in paese: tante pattuglie di carabinieri. È molto strano, gli abitanti della valle si conoscono tra loro e hanno stretto delle vere amicizie durante gli anni. Qualcosa è successo, altrimenti non posso spiegare tutta la polizia in giro per il paese. E come mai facevano tutte quelle domande alla gente? Mah… più tardi farò un salto in paese. Se ci sono delle notizie, le devo sapere.” Troppi paese. “È come una bambina in un negozio di giocattoli, non sa dove guardare per prima.” Nulla segue dopo il prima. La Deliu avrà voluto scrivere per prima cosa?“«Quindi risotto al mirtillo e Teroldego, e costine affumicate di maiale con crauti?» «Va benissimo» risponde Anita per entrambi, regalando un sorriso a Mario.” Ma avrebbe dovuto essere “«Pappardelle al ragù di selvaggina e tagliata di cervo al mirtillo rosso...” come precedentemente proposto. “... commessure labiali” Un po' troppo medico scientifico per un romanzo di genere rosa.“«Sei molto talentuoso, è un dono che Dio ti ha dato.” Talentoso, lo dice anche l'Accademia della Crusca che, individuando la forma nei vari dizionari, afferma di esserci “unanimità, comunque, nell’indicare come forma prevalente talentoso.”
Non ha senso di raccontare che” In italiano funzionerebbe meglio senza il di.“... la prende per le spalle, la stringi forte” Forse era meglio coniugato alla terza persona singolare, stringe. “Lei mi parla di una cura, però come fa a saperlo? Max vuole dire qualcosa, però è bloccato.” Ci sono due però troppo vicini per essere eleganti. A piccoli tratti, il testo si riduce di corpo come pure l'interlinea e la spaziatura*, un difetto di stile, la cui correzione avrebbe potuto competere, nell'ordine, alla casa editrice, al suo editor, o in ultima analisi al grafico, come tutti i precedenti, per i quali uso l'elegante definizione di refusi. Sono certa che se lo rileggessi all'indietro, ne troverei altri. Caro signor Presidente della casa editrice Bre', le consiglio di investire in un buon editor, specie nei casi come quello della Deliu se vogliamo davvero fare un salto di qualità.

La vita ci insegna spesso che non sono le distanze che separano le persone, ma le persone stesse.” , “possiamo scoprire un amico nel nostro nemico e capire che talvolta il volto bello di una persona nasconde la sua malvagità.” , “La morte di un nostro caro porta sempre via con sé una parte di noi lasciando un vuoto dentro l’anima, come un buco nero che risucchia il dolore, la sofferenza, senza far trapassare la luce della gioia o il buio dell’oblio.” , “La forza dei pensieri a volte muove le montagne, imprese impossibili diventano realtà quando l’essere umano vuole con intensità. Volere è potere.” e infine anche Fare l’amore con l’uomo che ami non è un semplice scambio di umori come con uno sconosciuto, è un atto di complicità, affetto, passione. Ancora di più adesso che l’unione dei loro corpi è accesa dalle emozioni che entrambi provano; lui sogna un matrimonio, lei un volo negli Stati Uniti. La Deliu ci dona qua e là perle della sua saggezza di vita vera.

Mario, il padrino di Greta, è spesso occasione per la Deliu di regalarci un po' di ironia: “Cupido ha trovato la strada verso la mia baita. Devo stare attento, altrimenti mi trovo a baciare il bernese.

A parte qualche porca troia di troppo, La Deliu ha seguito i precedenti consigli di evitare volgarità durante le scene d'amore. Cito da leggolibrifacciocose: Tutta la narrazione è disseminata da organi genitali nella loro forma parlata più scurrile, senza fantasia, parafrasi, costruzione cerebrale. Sboccataggine a parte, nulla è più erotico di un cervello usato bene. Ma quando Delia Deliu scrive C e F (che non amo scrivere per esteso), per interpretare non serve il cervello, col rischio che quest'ultimo giaccia inutile appendice. 

Però a volte sono un fottuto egoista e per questo motivo ho scopato Elizabeth. Mi sentivo un figo, l’ego era in orbita. Dannato il giorno nel quale ho voluto solo avere un orgasmo! Amare invece significa regalare e io cosa ho da regalarti, Greta? Tanto amore, ma ...” devo fermarmi a questo ma avversativo, per non spoilerare.

«Come aver perso la mia identità, a volte non so più chi sono. E non dovrei, ho una figlia da amare. Sai quante volte ho pensato di togliermi la vita? Tante, e non è la mancanza di coraggio che mi impedisce di farlo, ma l’amore per Speranza e il senso di colpa all’idea di abbandonarla anch’io.»quanta sofferenza nel cuore della protagonista (e forse dell'autrice, che qui inserisce qualcosa di autobiografico).

*Negli anni della Milano da bere, fui Art Director free lance per svariate agenzie pubblicitarie.

Il finale non è lieto, come ci si potrebbe aspettare in un romanzo rosa, anzi: si avverte l'occorrenza da parte della Deliu di essere corretta, di non truffare i lettori, di non mentire a se stessa, che nella vita svolge una professione deontologicamente accurata, e che per privacy, non svelo.
Insomma, la Deliu conferma le sue capacità di narratrice: si avverte la sua urgenza di farlo, quasi la necessità, come fosse l'ultimo dei suoi giorni. Brava! Spero per lei che riesca ad ottenere più dedizione da parte dell'editore, allo scopo di eliminare quelle poche imprecisioni sintattiche e di senso, che le potrebbero guadagnare premi letterari italiani, pur essendo straniera.

Consigliato a chi necessita coniugare il colore rosa dell'amore, al giallo del mistero, divertendosi con qualche tocco di pepe.



Spoilerata
Hai un glioblastoma a farfalla»”(...) “«Vita di merda! Cosa ho fatto di male?» Parole estirpate dal profondo della gola.” (…) «È operabile?» Con lo sguardo implora Michele di dargli almeno una speranza. «Non lo so, però il glioblastoma interessa entrambi i lobi cerebrali coinvolgendo il corpo calloso.» «Quindi non è possibile la resezione del tumore.» Abbassa la testa e la incassa tra le spalle, incrocia le braccia, il volto tradisce lo stato d'animo: è sconfitto. «Però puoi fare la radioterapia e la chemioterapia allo scopo di ridurre la massa tumorale e far cessare o almeno ridurre le convulsioni.» «Per prolungare il mio calvario? Non ci penso neanche» grida Max.”