giovedì 13 dicembre 2018

IL SUONO DELLA SOLITUDINE Piccole storie da raccontare a te stesso


Un monologo interiore che qua e là produce brillanti piccolezze da far quasi pensare ad un testamento letterario. In IL SUONO DELLA SOLITUDINE Piccole storie da raccontare a te stesso di Michele Marziani si reperiscono tante pepite meditative che costruiscono un cammino spirituale. Ritengo sia questa la motivazione per la quale l'opera del Marziani sia stata inserita nella collana Piccola Filosofia di Viaggio di Ediciclo.

“Ti aiuta incredibilmente la lingua che ti ospita: solitude è la solitudine buona, quella su cui stai scrivendo; loneliness è quella cattiva, che non augureresti mai a nessuno.” In questa sentenza è racchiuso tutto il libro e il sentire dell'autore che ci parla di sé, in un immenso soliloquio che vorrebbe essere modesto, ma non lo è. La modestia è madre di ipocrisia, cit. Forforismi Pastorology. Infatti Marziani è tutto tranne che ipocrita.

“Allora fai quello che veramente hai pensato: prendi un vecchio cappello a falde tese, nero, infili nella fascia di raso una piuma azzurra che strappi dall’acchiappasogni appeso allo stipite della porta, lo metti in testa, sbirci di nuovo lo specchio, respiri forte e cominci a scrivere. Questo è uno dei tanti vantaggi della solitudine: non dover rendere conto a nessuno di cosa indossi.”, “Ragioni con la tua testa che è, appunto, l’unica che hai. E sei grato allora a quella ricerca che ti mette in piedi, anzi ti rimette al mondo, prima con un’anca in titanio e poi, molto più avanti, con un ginocchio dello stesso materiale. Suoni agli aeroporti. Ti aiuta a imparare le lingue: sai dire delle tue protesi in un’infinità di idiomi.” Anche il Marziani, come me, deve sapere che l'ironia salverà il mondo. Questo è un elemento nuovo nella sua letteratura, forse solo talvolta sfiorato nel suo melodrammatico UMBERTO DEI.

Del calcio “comprendi anche che a te di quel mondo non interessa nulla. Solo di una cosa ti innamori per sempre: di una scrittura che svetta beffarda e caparbia sulle altre, quella di Gianni Brera.” E qui salta all'occhio il risultato delle nostre epistole contemporanee: da tempo sto lavorando su cose di Gianni Brera per farle mie nel sentire e nello scrivere. Ringrazio Marziani per essersi avvicinato.

“Hai un curriculum fatto di lavori, intesi come mestieri, di cui di solito non ci si vanta: il manovale, lo spazzino, il boscaiolo, l’operaio; alcuni più creativi come il costruttore di borse di cuoio e orecchini in pietre dure, più altre cose talmente occasionali da non meritare citazioni. Devi chiantarti una notte in moto a centoquaranta all’ora per cominciare a vivere di scrittura. Tutti rotti si campa di poche altre cose.” Mi sono sempre chiesta quale tipo di lavori avesse fatto il Marziani prima di diventare scrittore a tempo pieno. Mi pare che qui abbia risposto, perfettamente allineato al personaggio che ha sapientemente costruito di sé.

“... senti il fiato sul collo degli aspiranti scrittori, degli amici, dei conoscenti, ognuno con un libro da leggere, un manoscritto imperdibile da valutare, la paura di essere dimenticati, la richiesta di performance letterarie impossibili. Hai imparato a obbligarti a fare con calma. È la tua disciplina. Poco importa se ormai il tempo di lettura di un libro sulla tua scrivania supera i sei mesi.” L'hai fatto anche con me, maldetto bastardo. Ma con affetto. Anche perché la tua casa editrice di allora accettò di mettermi sotto contratto per una raccolta di racconti contro l'uso improprio degli stereotipi (STEREOTIPI A BAGNOMARIA). Ora però in cerca di editore, perché il primo non pubblicherà nulla più per sopravvenute difficoltà.

“... tutto quel riempire gli armadi, non è poi molto lontano da quando gli indiani d’America si facevano irretire dagli europei con qualche specchietto e un po’ di perline colorate. C’è un mondo là fuori che ha a cuore solo di riempirti i cassetti, si chiama consumismo.”, “Ecco che impari una (...) cosa: che meno oggetti hai intorno, più c’è spazio per te. Che meno soldi ti servono, meno, forse, puoi lavorare. Non solo. Aumenta anche la qualità di quello che fai.” Una tematica proposta in tante opere del Marziani, condivisibile dai più.

“Ma tante cose sono difficili da amare nella malattia. E probabilmente anche nella vecchiaia. Anziani e malati stanno sempre più spesso nel popolo dei soli, non in quello dei solitari.” Ecco, sì, si direbbe proprio un testamento.

Il lago alpino “È incastonato nella bellezza del nulla e tu sei lì, da solo, a scrivere queste righe. A pensare alla vita che è l’unica cosa che hai.”, “Non sei avaro e neppure altezzoso, semplicemente coltivi e a volte difendi l’unica cosa che davvero possiedi: te stesso. Non hai altro. Nessuno ha altro. Tutto quel prodigarsi per il prossimo nasconde sempre un’insidia, un desiderio che renderebbe tutto più facile se venisse confessato. Sei buono perché vuoi il regno dei cieli? Perché ti gratifica vedere il sorriso nella persona che aiuti? Perché hai scoperto nell’altro lo specchio di te? Perché desideri un riconoscimento pubblico?”,“Sei seduto sui rami di un immenso cedro del libano, quando scrivi di Dio e dintorni. Non dici che sei attratto da sempre dalle solennità delle religioni e dalle regole monastiche. Nascondi che se dovessi mai convertirti lo faresti al druidismo. O al taoismo. Fai bene a non dirlo. Disegni un Budda, una casa sull’albero e san Brendano che naviga verso Ovest.” Una serie di sentire buddisti, fiera di averglieli trasmessi anch'io.

“Trovare un po’ di silenzio nel quale ricomporre le idee, riordinare il presente, immaginare il futuro. Un posto magico, specie se sei da solo.” Il futuro? Quale futuro, per un nichilismo cosmico come il suo? La contraddizione regna sovrana. Ma anche vero che... “... grazie alla solitudine sei stato sempre in fin troppa compagnia. Hai amici, non moltissimi, ma forti, intensi, veri, importanti.”,“ E sei felice, perché sei dentro a un’altra contraddizione, vorresti la solitudine delle tue giornate e la notorietà dei riflettori.” … che contraddirsi è segno di intelligenza. E il Marziani ne è ricolmo.

“«Ogni viaggio è il più bel viaggio del mondo. Non fanno il viaggio né la lunghezza né la durata,
né le così dette meraviglie, i capolavori che ci può permettere di vedere. Il viaggio è fatto in primo luogo di se stesso.” Il Marziani cita Giorgio Manganelli, ma a me par di sentire parlare il poeta greco di Itaca. Kostantinos Kavafis. “Sul taccuino quella frase di Lao Tzu che senti tanto tua: «Un buon viaggiatore non ha piani precisi e il suo scopo non è arrivare.»”

Lezioni grandi di vita piccola: “Nell’aver avuto in regalo dalla vita la capacità di guardarti da fuori. Di essere altro a te stesso. Un altro che sa prenderti in giro se serve, smascherarti se stai mentendo, rimarcare con un sospiro la gravità della situazione.”, “Pensi che ognuno debba trovare la propria strada e possa trovarla da solo. Proprio per questo stare appartati, acquattati, in silenzio, in disparte, aiuta a riflettere, a capire dove si vuole andare. Dove il tuo tempo ti chiama, qual è la tua inclinazione, il tuo desiderio, il motivo per cui stai al mondo. Tu stai qui per i libri. Per tutti quelli che leggi, che ogni giorno ti raccontano di te cose che non sai, ti portano nei mondi degli altri, ti fanno compagnia, ti permettono di capire la vita e quindi di affrontarla. Nulla come un romanzo ti consente di conoscere e di capire, di avventurarti nei meandri della realtà senza doverti mettere quella corazza di cinismo necessaria per affrontare l’attualità.”.

E anche grandi lezioni di letteratura, che soprendentemente fanno un ritratto:“Una grande manciata di lettori affezionati, vicini, persino indignati perché non vinci anche tu il Premio Strega. Sorridi felice a questa comunità temporanea che ti accompagna con affetto e ti sostiene. Da sempre credi che sia bello scrivere per loro perché loro sono i tuoi lettori. Non i compratori di libri, i lettori, quelli che ti raccontano che non sono riusciti a spegnere la luce prima della parola fine.” Fanno un ritratto. Il mio. DA SOLA.

“... leggere, camminare e cucinare sono i pilastri di una solitudine che incanta.” a parte, che già mi sembra una chiusura efficace, il finale sconfessa l'aria di testamento, ma non spoilero. Dovete leggerlo per commuovervi come è accaduto a me. Bravo, sempre più bravo il Marziani. Un vero miracolo della solitudine.

Le solite immancabili considerazioni sulla vendibilità dell'opera tramite la copertina da ex Art Director pubblicitaria della Milano da Bere: personalmente, da uno di quegli immensi bancali che popolano le librerie, l'avrei prelevato. Copertina che, curiosamente, pur essendo uno scrittore d'alta montagna, presenta il mare. Altra contraddizione. La quinta stellina su GoodReads è sua.

Consigliato ai sostenitori che via dalla pazza folla ma anche a quelli che non potrebbero resistere senza le loro smoggate città, ad aspiranti scrittori che nel percorso narrativo del Marziani (dal CAVIALE DEL PO alla FIGLIA DEL PARTIGIANO O'CONNOR, passando per FOTOGRAMMI IN 6X6 ) possono recuperare inenarrabili lezioni di scrittura – e di vita.

mercoledì 12 dicembre 2018

IL SOGNO DEL RAGNO


Il genere della cosidetta 'Fantascienza ucronica' mi ronza in testa da parecchio tempo, ma non ne avevo ancora trovato da leggere e da recensire a livello de LA SVASTICA SUL SOLE in cui Philip K. Dick si è chiesto cosa sarebbe succcesso se a vincere la II Guerra Mondiale non fossero stati gli alleati ma i nazisti. FirenzeLibroAperto è stata foriera di tante cose, tra cui anche il contatto di un contatto (vedi LA COMPAGNIA DEI VIAGGIATORI DEL TEMPO di Massimo Acciai Baggiani) che si è tradotto in un'opporunità per studiare tale genere. L'ucronìa si realizza quando, dato un personaggio o periodo storico noto ai più, l'autore ne utilizza le principali istanze, scavalcando a piè pari gli spiegoni, per poi sceglierne uno sviluppo alternativo, idealizzato e di fantasia. Per usare una definizione del Mezinger stesso: “... ciascuno di noi può modificare la Storia. Almeno in un racconto. L’ucronia è la Storia sognata da noi.”


IL SOGNO DEL RAGNO di Carlo Menzinger di Preussenthal, facente parte della serie VIA DA SPARTA, è uno del crogiuolo di romanzi che ha come base il sistema distopico di Sparta, dove: “... i vestiti erano un ostacolo a questo diritto (di prendere gli schiavi a proprio piacimento e soddisfazione sessuale - ndr) e quindi un’offesa a Sparta oltre che un segno di mollezza. (…) Ogni bella ragazza sapeva che difficilmente di sera avrebbe potuto percorrere una via per intero senza dover cedere ad almeno un rapporto sessuale. Era diritto di ogni uomo o ragazzo prendere ogni donna volesse, purche fosse un’ilota.” Dove 'Riti della Catarsi' al cinquantacinquesimo anno di vita ogni uomo o donna spartiate impediscono l'invecchiamento della popolazione, severamente suddivisa tra uomini e donne, perché, in una delirante stereotipata ripartizione di ruoli - delirante se non fosse attualissima - “gli uomini sono forti e coraggiosi, le donne sono deboli e codarde; gli uomini capiscono le cose essenziali della vita, le donne si perdono in frivolezze; gli uomini sono fatti per combattere, le donne per allevare bambini; gli uomini parlano poco e dicono cose importanti, le donne si perdono in chiacchiere inutili; gli uomini amano la natura e le cose vere, le donne amano i ninnoli e i trucchi e sono ingannatrici. Gli uomini disdegnano il lavoro e amano la guerra, anche se e grazie a questa che spesso muoiono, le donne perdono tempo in lavori inutili e odiano la guerra, anche se e grazie a questa che vivono. ”

Aracne, ilota incinta, e Lucius, vitelliano* che si occupa di storia e ci permette di approfondire il 'sistema Sparta', vi si ribellano. Infatti a più riprese in diversi dialoghi, Lucius ne spiega a Aracne (e a noi) vantaggi e svantaggi: “«Pensi fosse cosi male la vita comune? Ti sembra che qui uomini e donne si scannino a vicenda?» «Non saprei, Aracne. Per Sparta è male, perché gli sparitati pensano che la vicinanza della donna renda l’uomo fiacco e meno coraggioso. Se ha una moglie da cui tornare o dei figli da proteggere, diviene meno disposto a combattere e a rischiare la propria vita. Se deve combattere per tutte le donne e per tutti i bambini di Sparta, la cosa è diversa. La sua vita è meno importante e può anche rischiarla. Se muore, non lascia vedove e orfani. Contano l’onore, il desiderio di mostrare il proprio coraggio, l’amore per Sparta, la difesa dei compagni. Un guerriero spartiate non si ritira mai davanti al nemico, a costo della morte. Nessuno soffrirà per la sua scomparsa. Donne e bambini saranno nelle mani di Sparta. Che un marito o un padre muoia non sarà mai una tragedia per le mogli o i figli. Sparta non tollera il matrimonio per gli iloti, ma per un altro motivo. Teme che questo aumenti la quantità dei figli, mentre il numero degli iloti è sempre tenuto sotto controllo. Le donne poi devono essere sempre a disposizione di tutti gli uomini, affinché non perdano tempo con corteggiamenti, un’usanza orientale assai deprecata. Le ilote e gli iloti devono essere sempre a disposizione dei desideri sessuali degli spartiati. I maschi sono subito fatti entrare nell’esercito, in modo che, inseriti in una gerarchia rigida, non pensino a ribellarsi. (…) Anche noi (iloti) in fondo, beneficiamo di un mondo più ricco. In città ci sono strade lastricate, ordine assicurato dai militari, medicine per curare ogni malattia, ospedali, cibi che un tempo non esistevano, in parte creati con l’ingegneria genetica, in parte provenienti da terre lontane. Sparta ha assicurato pace e tranquillità al mondo intero e benessere ai suoi sudditi… anche a noi, sì, nonostante le caccie agli iloti, nonostante si lavori per loro, nonostante abbiano cancellato le memorie degli altri popoli dai loro libri… (…) Con il matrimonio si crea un sodalizio tra una donna e un uomo. L’uomo s’impegna a combattere per Sparta e Sparta lo premia affidando alla sua donna, finché vive, terre e averi. La donna s’impegna ad amministrare le ricchezze cedute dall’Impero, facendone fonte di sostentamento per se stessa, per lui e per i figli e facendole crescere e fruttare in modo che quando Sparta ne riprenderà possesso valgano di più. Da quelle ricchezze il militare prendeva le risorse per acquistare armi e mezzi per combattere e perpetuare l’arricchimento proprio, della propria famiglia e di Sparta, cui tutto appartiene e cui tutto torna. Questo volevano le donne dai loro uomini. Cos’altro? Le donne però, oltre ad amministrare le terre, potevano fare altri mestieri. Alcune erano ingegnere, altri guaritrici, altre consulenti, altre imprenditrici, traduttrici, interpreti, insegnanti… Gli uomini no. Gli uomini giovani erano guerrieri. Solo da vecchi, i pochi che riuscivano a superare i cinquant’anni, negli anni che gli restavano prima dei Riti della Catarsi, potevano diventare politici o affiancare le loro donne nella gestione del patrimonio. Era un meccanismo grazie al quale, passo dopo passo, secolo dopo secolo, Sparta si era trovata a dominare il mondo, ma nel quale gli uomini non avevano scelta. Il loro destino era segnato sin dalla nascita: combattere!»” In un siffatto regime, non avevano posto disabili e inetti, solo destino loro riservato era il Monte Taigeto, l'equivalente della romana rupe Tarpea.

Eppure “L’uomo non può togliere la vita a un altro uomo, neppure se ritiene che questi abbia una vita che sia indegna di essere vissuta.” Ecco un'istanza nuova: è quella di Isacco, e con lui tutti i Gesuisti**. Il suo socio Samuele alla domanda: “«E non li portate al gineceo e al ginnasio per farli educare?» «Educare alle atrocità di Sparta? No di certo. Studiano con noi il Tanakh, il resto della Bibbia e gli insegnamenti di Gesù. L’agoghé non fa per loro. Non li educhiamo alla guerra.» (…) «Gesù ci ha insegnato ad amarci l’un l’altro» ” (…) “È l’uomo l’animale più infido. Siamo noi ad aver costruito il nostro mondo sulla menzogna e il complotto. Siamo noi a uccidere senza motivo, per gioco o malvagità.” Trattasi di una sorta di anteposizione di Homo hominis lupus di Thomas Hobbes. “L’uomo regna con la debolezza, aggiogando quella altrui alla propria, rendendo debole il suo avversario per dominarlo.”

Il Mezinger attualizza ulteriormente la sua opera con alcune affermazioni auliche, ad esempio: “La cultura e la conoscenza sono un pericolo per il potere.” oppure parlando di “sovrani giustiziati per colpe che un normale spartiate avrebbe espiato con l’esilio o anche solo la carcerazione” ci ricorda ironicamente un nostro sovrano contemporaneo, il quale fu giustiziato “... appena il popolo si rese conto che controllava la circolazione delle informazioni e voleva porsi persino al di sopra gli efori***” Il nome attribuitogli è preclaro esempio di satira.

In APPENDICE trovo le risposte a tutte le mie curiosità e la conferma alla cultura classicista del Menzinger, più alcune sue invenzioni, per sua stessa ammissione, come: “Nel romanzo, inoltre, ho inventato la figura del Gran Polemarco, posto a capo della Gran Mora, ovvero di 6 Mora, cioe 2.400 uomini e del Polemarco Generale (detto anche Generale), che era a capo dell’Esercito, ovvero di 10 Gran More, cioe 24.000 uomini.” e ancora: “L’Impero di Sparta, come da antica tradizione e comandato da due re, ma ho immaginato che, col tempo, il ruolo sia evoluto e che, in considerazione della vastità dell’impero, ciascun re abbia assunto competenze territoriali, abbiamo così un Re d’Oriente e un Re d’Occidente, a capo il primo di Asia e America e il secondo di Europa e Africa. L’Australia è invece interamente controllata da Nippon-Koku, che controlla anche gran parte dell’Asia e parti di Africa e America. Africa e Europa hanno mantenuto i loro nomi ma gli altri continenti nel romanzo sono definiti con termini diversi (Asia: Chitrinodermia, Americhe: Eurotrodermia, Australia: Arrernte).”

Ma anche di neologismi, non senza la ormai nota dose di ironia che salverà il mondo e che fa grande un'opera letteraria, tra i quali ritrovo alcuni appuntati in attesa di mia ricerca. Ne riporto solo una parte, quella più ad alto tasso di divertimento:

Biobarca: barca trainata da delfini mutanti
Brutia: Abruzzi
Cemo (cellulosa modificata): una sorta di plastica ricavata dalla cellulosa geneticamente modificata
Centiode o Periodo Centesimo: periodo di tempo in cui è diviso il giorno, pari a un centesimo del tempo tra un’alba e la successiva
Coge: codificazione genetica, sistema di codificazione delle informazioni mediante il CO.GE., sostitutivo dell’informatica.
Discensore: ascensore, in quanto la città di Sparta in questa ucronìa è costruita sottoterra
Euantropogenetica: studi di genetica volti al miglioramento dell’uomo
Galloceltici: francesi
Jenisseia: Siberia, dal nome degli jenisseiani, antichi abitanti della regione.
Lacedemone: la città di Sparta, capitale dell’Impero
Lacentiode: centiode lacedemone, calcolato dall’alba della capitale dell’Impero
Lamilliode: milliode lacedemone, calcolato dall’alba della capitale dell’Impero
Luciferai: addetti all’accensione dei lampioni stradali.
Maestro di memorie: storico, insegnante di storia.
Megarpie: gigantesche cavalcature alate, simili a aquile, prodotte dalla genetica nipponica
Menta catsica: latte di capra alla menta
Mutante: guerriero spartano nato tramite manipolazione genetica
Omogamici: uomini che si sposano tra loro
Periodatore a polvere: orologio a polvere di marmo, simile a una clessidra
Persianata: cosa frivola ed effeminata, da Persiano.
Portocalada: spremuta d’arancio aromatizzata
Poteria: bar, locale per bere
Psicosofe: filosofe che si occupano di psicologia, ovvero di Psicosofia, studio dei ragionamenti della mente umana
Saltadune: velocissimo e altissimo cammello mutante.
Scuri o Sudati: abitanti del sud, termine dispregiativo usato dagli scandinavi nei confronti di migranti venuti dal sud
Thalassiano: Mutante anfibio
Thule: territorio comprendente Groenlandia, Canada Settentrionale e Alaska. Il nome deriva da un’antica popolazione di quei luoghi e dalla città omonima della Groenlandia
Vladina: stampante a caratteri mobili.

A parte qualche imprecisione di stile di stampa (mi riferisco all'apposito manuale edito da ogni casa editrice alle cui regole tutti gli autori debbono sottostare,  vedi DALL'INTERNO DELLA SPECIE di Andrea De Alberti, come il tipo di virgolette da usare per un discorso diretto, il tutto scorre abbastanza liscio. Se ne deduce che la casa editrice è fornita o di apposito Editor, o di grafici che sanno fare il loro mestiere. O semplicemente, che il Menzinger è un ottimo scrittore che non teme il congiuntivo. Data la qualità dello scritto e degli studi storici che lo sottendono, propenderei per l'ultima ipotesi.

Essendo stata per tanti anni Art Director nella Milano da bere, non posso esimermi dal commentare anche la copertina, che per cromatismi complementari è azzeccata, ma per efficacia comunicativa, no. Una stellina in meno su GoodReads.

Consigliato a storiografi per la precisione delle ricerche, a fantascientifici ucronici per la fantasia, alle attuali femministe per farle arrabbiare un po' (se non fossi stata costretta ad abbracciare anche l'altra metà del cielo con STANDING OVULATION le donne sono superiori agli uomini - anche nella violenza, sarei una di quelle), ai maschilisti per gratificarli.

*Italiano
** Seguaci di Gesù
*** Giudici

venerdì 7 dicembre 2018

BLU NOTTE di Luisa Martucci


Ettore Giussardi padre, il morto. Marcello Giussardi figlio, scapestrato scultore, il sospettato. Adele Giussardi, la drogata vagabonda, l'altra figlia sospettata. La madre Manuela, MILF per usare un a cronimo ben poco elegante, ma efficace, un'altra sospettata ancora. In mezzo i due milioni di euro di un'assicurazione sulla vita. Tra balordi, drogati e spacciatori. E Fulvio Rangoni, detective privato amico di Marcello.

E ancora improbabili Girasole, inconsapevoli star del porno, guru pedofili, grossolani gangster tatuati, albanesi disadattati. Un mix esplosivo per un giallo nella tradizione Scerbanenco. Molto bene, per questo BLU NOTTE di Luisa Martucci.

“Al centro della pista gruppi di ragazzi e ragazze si dimenavano furiosamente, mentre negli angoli oscuri altri si dedicavano ad attività disparate. Vidi coppie avvinghiate in effusioni spinte e dei singoli stravaccati, persi nel sonno o in un altro tipo di incoscienza.”

“«Non lo so. Era al centro di disintossicazione con lei, quando andai a trovarla e poi li ho incontrati insieme alle Gru, una domenica pomeriggio prima di Natale scorso. Sembrava che si conoscessero bene... - un po' di sale e qualche briciola le era rimasta impigliata nei baffi - sai, no? Lui le teneva il braccio intorno alle spalle, ridevano…»” Se non si è di Torino, non si sa cosa siano le Gru, anche perché la Martucci difetta di spiegazioni.

“Al banco della reception, mi presentai alla bionda ossigenata dall'aria un po' annoiata dicendo nome e cognome e «mi manda Manuela Giussardi.» «La responsabile la riceverà tra un minuto», mi disse, valutando con lo sguardo il mio giubbotto, il resto dell'abbigliamento e infine la mia faccia.” Se fosse una fiction (e alla Martucci le auguro che lo diventi) si percepisce nettamente il movimento di Macchina (da presa). Fui sceneggiatrice a metà dei Novanta, da qui il riferimento morettiano del nome di questo blog.

“Era un tipico pomeriggio d'inverno padano: freddo, brumoso, crepuscolare e deprimente in mezzo alla campagna brulla e secca e inospitale che pareva dovesse restare così per sempre e mai più risvegliarsi a primavera. Persino le cascine apparivano morte o addormentate, …” Molto bella e poetica descrizione della Martucci, che conferma la sua perizia narrativa.

“«Lo sai che il fumo rovina la salute», mi ammonì. «Tanto non è la mia unica vita.»” C'è del buddismo qua e là.

“Mi accompagnò alle camionette e puntò una torcia elettrica sui visi di un capannello di persone. Arrabbiati, abbattuti, insonnoliti, fumati, fatti, occhi sbarrati, occhi cerchiati, pallidi, scarmigliati, alcuni addormentati. Lo Smilzo non c'era.” Brava nel descrivere un altro tipico movimento di Macchina: qui saremmo in presenza della cosiddetta carrellata.

“E lo feci, e lei sospirò compiaciuta. Agii subito e agii in fretta, per fortuna, perché ben presto mi accorsi che le sue carni non erano sode ed elastiche al tatto come quelle di Monica e nemmeno come quelle dell'ispettore Tedeschi o delle altre ragazze che mi era capitato di palpeggiare, ma assai più flosce e costellate di rigonfiamenti e inaspettate cunette. Vigliaccamente, alla fine, le negai la consolazione dei baci e delle coccole e finsi di ricadere in un sonno profondo. Non me la sentivo di simulare una passione che non provavo e temevo che la mia delusione per un mito infranto sarebbe trapelata. Per fortuna, quando lei si convinse che stavo dormendo, si alzò di soppiatto e tornò nella sua stanza.” Una vera e propria Ms. Robinson, che riappare poco più avanti, questa volta impietosamente descritta: “Questa mattina indossava la pelliccia di visone, che la invecchiava, era truccata, ben pettinata e portava i tacchi alti, ma il trucco non nascondeva le rughe intorno agli occhi, le pieghe profonde che scendevano dal naso alla bocca e gli accenni di bargigli che pendevano ai lati del mento: il pedaggio di quel periodo difficile era stato pesante. Pur sentendomi uno stronzo, sperai che non si fosse fatta viva con l'intento di ripetere il fuggevole rapporto intercorso la notte del ritorno di Adele. L'atto era stato tanto breve e fugace da poter essere scambiato per un episodio di sonnambulismo e avrei mostrato di non conservarne memoria.” E ancora qui, in versione meno Milf, per questo più reale: “«Ciao, Fulvio». Manuela era in vestaglia e aveva i capelli avvolti in bigodini di spugna e la faccia ancora unta di crema, una mise che credevo fosse riservata alle protagoniste dei cartoni animati. Ai piedi aveva un paio di pianelle vezzose con i tacchetti e i pon pon.” Fa quasi tenerezza.

“Davanti a un piatto di ravioli del plin commentammo gli avvenimenti della giornata e la parte migliore per me fu che riuscii in parte a liberarmi, sublimandoli, dei vaffanculo e dei figlio di mignotta che avevo represso per tutto il giorno in presenza dell'ispettore Doriani e avevano formato una specie di grumo di collera alla base del gargarozzo.” Ironia nella efficace descrizione del cosiddetto 'nodo alla gola'. Come amo parafrasare qualcuno più grande di me, che dice: la bellezza salverà il mondo, io dico che sarà l'ironia a farlo.

A parte una virgola fuori posto, e un “E Manuela Giussrdi ti ha incaricato di cercare Adele” mancante di una A, alla Martucci non è sfuggito nulla. Poi arriva un: “uma pianta di pungitopo e un abete.” Uma? Ma comunque, tutta la prima parte è scevra da errori di qualsivoglia natura. Purtroppo, tutta la seconda invece incappa in una rutilante serie di, chiamiamoli, 'refusi', per essere accondiscendenti: “«Comunque sia, capirai anche tu che il tuo affitto ridicolo non mi ripaga di tutto questo trambusto di giornalisti e bloggisti»”. Bloggisti? Blogger, mi risulta, essendola io stessa. Ma magari mi sbaglio. “Il risultato del sopraluogo eseguito” Sopralluogo, qui non c'è verso, la seconda L manca. “Si strinse nelle spalle per farmi capire che era mia la scelta e continuò a fumare con le sopracciglia socchiuse.” O forse ciglia? “Penso che, in definitiva, a salvarmi la pelle, in senso metaforico, fu soprattutto l'amicizia di vecchia data tra il commissario Tarditi e il mio ex datore di lavoro e forse, ma soltanto forse, il fatto che, in definitiva, avevo offerto loro la soluzione del caso su un piatto d‟argento.” Tarditi appare per la prima volta, ma in una frase che ci lascia intuire fosse già stato precedentemente introdotto. Si tratterà forse del Turati in versione trasformista? Insomma, dopo una inizialmente accurata correzione, l'Editor o chi per ess*, doveva essersi stancat*.

“Come tutti sappiamo, il Dhamma indica la via di mezzo come la strada per uscire dalla sofferenza, la via maestra della perfezione, ma purtroppo su questa terra imperfetta raramente si riesce ad imboccarla.” Dhamma o Dharma, eccolo il buddismo, di nuovo. Non so bene perché, ma apprezzo che se ne parli.

“«No! – gridò Clitennestra – I miei figli non sanno nulla.» (...) «Assassina!» gridò Adele.” Clitennestra, Mezeri, dall'arabo, e la citazione di un certo Edward Cullen, vampiresco personaggio di stranota saga, mi confermano la cultura di questa autrice, trapelata fin dalle prime righe.

“Io fui messo sotto torchio per diversi giorni e di nuovo rischiai di perdere la licenza perché avevo indagato per conto mio, avevo fatto di testa mia, avevo rischiato la pelle mia, ma anche quella di Adele, senza avvisare la polizia, arrivando al punto di travestirmi e complottare con un assassino mettendo a repentaglio anche la sicurezza del fisico nucleare al mio soldo (ma non legalmente a libro).” Un passaggio che ho diligentemente ricopiato per imparare.

“Quanto poi ai maneggi di Marina per diventare qualcosa di diverso da una segretaria, e alla mia intenzione o meno di accontentarla, racconterò un'altra volta.” Una chiusa che lascia intravvedere la possibilità che l'efficace protagonista diventi un personaggio seriale.

Le mie consuete considerazioni sulla copertina, sulla vendibilità del libro a causa sua, mi fanno propedere per un bel sì. Mi sento molto maionchi, quando sfoggio le mie competenze da Art Director Pubblicitaria.

Consigliato agli estimatori di Scerbanenco in versione torinese, ai giallisti hard boiled, agli amanti di Torino, città molto presente nella narrazione che non ha niente di meno della Milano Noir.

ORME DI LUNA


Un incipit curioso: “«Eccole di nuovo!» Amir si chinò per osservare meglio. Sulla sabbia umida erano impresse le orme dei piedi piccoli e magri di una ragazza o di un bambino. Si intersecavano con quelle degli scarsi villeggianti, che avevano scelto quella mattina per una passeggiata in riva al mare. Fra tutte risaltavano per una particolarità: si aprivano in un ventaglietto di sei dita. Sei dita il piede destro, sei dita il sinistro… e poi daccapo.”

ORME DI LUNA di Angela Chirone è una bella favola moderna, con due protagonisti, Amir, giovanotto migrante, e un'anziana vedova, sulle prime trasandata come la sua vita, Lucia. In alcune settimane la loro amicizia, “semplice e discreta, continuava ogni giorno all'ora di pranzo.” Ma arrivano tempi di Servizi Sociali e di controlli migrazione. Che però, stavolta non mettono i bastoni tra le ruote, grazie alla saggezza di Lucia. Non voglio anticipare nulla per non togliere la sorpresa.

“«Io mi chiamo Amir e tu?» «Luna…» «Bello! Per i tuoi capelli come fili di luna?»”, “«La chiameremo Aria,» continuò Amir «perché l'aria è libera, va dove vuole e nessuna frontiera la può fermare.»” brevi tratti di leggiadra poesia in prosa. Brava la Chirone.

“«Se il nonno li scopre, li ammazza con le sue mani! Già ci è passato con la figlia… Per di più questo è nero! Beh, marrone, comunque troppo scuro! Minorenne pure lei, se no che gusto ci sarebbe? E poi strana strana! Ma forse, se non fosse un po' strana, non si sarebbero piaciuti…»” Da questo e altri passaggi trapela l'imbarazzo per una xenofobia razzista nemmeno tanto celata. Altri sottolineano il razzismo ancora latente nella nostra sedicente 'avanzata' società contemporanea, dal pestaggio di tre bulli alle parole del nonno di Luna: “«Allora quel tipo le vuole bene! E vuole il bambino! È vero: è scuro, ma neanche tantissimo…»” Purtroppo, o per fortuna, il ragazzo mette incinta la ragazza: “Luna sbottò: «Esattamente come mia madre! Dev'essere un tratto genetico!» A questo punto non sapeva più se ridere o piangere.” Dicesi Karma. O anche stupidità, leggerezza, incosienza, irresponsabilità. Ma senza quella, non avremmo più bambini.

“... vi esorto a percorrere ogni strada e a produrre al più presto domande e documenti in modo da avviare le procedure, perché possa restare in Italia alla luce del sole o come rifugiato o adottato o sposato o come lavoratore con regolare permesso. (…) Mi raccomando, lavora e bada alla famiglia, che di gente te ne sei accollata! In una botta sola madre, moglie, figlio e nonno!” (...) “... il Brigadiere osservava in lontananza il mare azzurro, che si univa al cielo, e pensava a quanto fosse stato fortunato a nascere sulla sponda giusta del Mediterraneo.” Qualche volta le FFOO riscattano la loro pessima immagine di castigatori dei costumi sociali, interpretando con compassione i reali bisogni degli individui reali.



“«Sì, ne sono sicura… i piedini della bimba hanno sei dita!» Amir e Luna tirarono un sospiro di sollievo. Poi Amir cercò di spiegare: «È il segno del clan!» Luna intervenne: «Vuol dire che è il nostro marchio di famiglia!» Dopo tolse un piede da sotto il lenzuolo e ridendo lo fece vedere all’operatrice: «La nostra piccolina è fortunata! Nessuno la potrà scambiare con un’altra bambina e non avrà mai dubbi su chi è la sua mamma!»”

Il finale è  lieto, dove tutti vissero felici e contenti, come il lettore si aspetta da una bella fiaba. Dal canto mio, ne avrei rpeferito uno più sofferto, più contrastato. Ma è solo il mio sentire.
Se un libro ti insegna qualcosa, allora è un “buon libro”: fino a ieri non sapevo cosa fossero le teredini, ora lo so grazie a Madre Wiki. Ve ne affido la ricerca.

Copertina sobria ed elegante, direi persino sullo stile della Einaudi, quasi la Chirone voglia alimentare la giusta speranza. Ebbene, la incoraggio ad approfondire un tantino il plot, senza allungarlo come si fa con il brodo, ma a ispessirlo, forse a renderlo più melodrammatico: perché così facendo potrebbe essere accettabile per la grande casa editrice.

Consigliato a persone anziane senza più speranza per capire che invece ce n'è sempre una per vivere, a giovani migranti africani che trovano in Italia un buon futuro grazie alla compassione e alle ragazze madri, per capire che si può essere ancora mamme in una sociatà bistrattata come la nostra.

LE AVVENTURE DEL TOPOLINO SAM


Federica Bertone è la seconda scrittrice del Circolo degli Autori della Libreria IL CAMMELLO della prima cintura torinese che si affida a me e le sono grata. E' una maestra elementare, il suo target di lettori sono i bimbi. Infatti, trattasi di raccolta di mini-racconti moraleggianti rivolti ai ragazzini tra i sei e i dieci anni, ma anche per le loro mamme e i loro papà. Infatti, il primo, Topolino Giramondo, ci insegna che è certamente possibile scoprire il Mondo attraverso il linguaggio e di conseguenza la lettura di libri, sperimentando di volta in volta, usci, costumi e tradizioni dei Paesi, a partire dall'Italia, senza nemmeno uscire dalla biblioteca, “vivendo con la fantasia e la creatività l'emozione di viaggiare con la mente. Che splendida avventura la lettura!!!”

Topolino Sam e lo spazio
“... con l'aiuto di Anna, scotch, colla, colori e qualche pezzo di carta d'alluminio presto Sam presentò al mondo intero il… GROVIERATTHLE!!!” Un film cult recita che “i sogni son desideri”, ebbene il Topolino Sam di Federica Bertone ce lo dimostra, viaggiando questa volta nello spazio, alla scoperta dei pianeti del Sistema Solare. “A volte i sogni ci portano lontano, così lontano da farci vivere fantastiche avventure. Per questo non dobbiamo mai smettere di “SOGNARE”!”

Sam e il mare
Sempre la fantasia a farla da padrone: il nostro topolino (eh sì, nostro perché la Bertone è brava a farcelo amare), approfitta della piscina vuota del papà della sua piccola amica Anna per realizzare un sogno: decorarla come fosse un mare, pur sapendo che l'indomani, con il riempimento della vasca, tutto sarebbe andato perduto. Ma il papà ha la luminosa idea di acquistare grandi lastre dalla vicina vetreria, per rivestire pareti e fondale, preservando così il lavoro ingengnoso del topolino Sam. “A volte da piccole idee nascono GRANDI cose !”

Pasticci con amore
La mamma della piccola Anna preparava manicaretti specialissimi ogni Natale, purtoppo quella tradizione si era persa con lei (l'autrice ci lascia solo indovinare che cosa le sia accaduto). Allora il topolino Sam si incarica di ricreare la sua magia natalizia, ritrovando il suo antico libro di ricette. Non svelo che accade, ma riporto solo la frase moraleggiante conclusiva: “Così finisce questo racconto incantato di Natale. Ricordate bambini, la notte della vigilia dormite profondamente e lasciate che la magia entri nelle vostre case, non sappiamo se anche per noi è in arrivo un piccolo aiutante speciale.”

L'arrivo di un amico speciale
Anna, compagna di giochi e maestra di Sam, si accorge che il topolino è triste e solo. Cerca di procuragli un amico o amica che sia, però del sua stessa specie. Quando lo trova, Sam a sua volta riesce a trasmettere al suo nuovo amico gli stessi insegnamenti di Anna. “Sam capì che l’amicizia, quella vera, è fondamentale. Senza di essa nella vita non si può essere completamente felici, perché la felicità è vera solo quando è condivisa. (…) L’amico vero è quello che fa parte della tua vita come una Ciurma fa parte della Nave”

Prima o poi si cresce
L'ultimo racconto si direbbe sia quello meno accurato dal punto di vista e della forma e della grammatica, peccato. Fino a qui, la Bertone si era dimostrata capace.
Qualche refuso – accenti non corretti, maiuscole mancanti, virgolette ribaltate, in generale piccolezze trascurabili (suppongo dovuto a problemi di conversione file, visto che la grammatica in generale è corretta), a parte un “emozionantissima” con una N di troppo o “Paolo rispose con uno splendido sorriso che le girava tutta la faccia” che forse, essendo uomo, avrebbe chiamato un GLI al posto di LE o anche “l’ho protetta, cresciuta e amata nel modo migliore che potevo farlo” forse sarebbe stato più opportuno scrivere FARE anziché FARLO, conclude con una bella massima condivisibile da tutti: “la famiglia così come l’aveva lei è il bene più prezioso al mondo e l’avrebbe difesa per sempre.”

Illustrato a mano dai suoi stessi allievi, internamente come pure la copertina, devo ammettere che la scelta è felice e vende facilmente. Brava la Bertone!

Consigliato ai genitori stufi di fiabe stereotipate di genere che vogliono crescere ragazzi consapevoli dei loro altissimi potenziali.

IL GIOCO DEL RE


Tramite una compagna di fede, ho ricevuto alcuni contatti utili allo scopo di sviluppare la mia attività per Kosen Rufu*, che, nella fattispecie, si propone di incrementare e favorire l'avvicinamento alla Cultura in modo democratico e open mind. Dopo alcuni mesi di intenso lavorìo, finalmente ricevo risposta dalla Libreria IL CAMMELLO sita nella periferia torinese, che ha il merito di aver avviato il Club degli Autori. Il quale organizza eventi letterari, invitando scrittori noti sull'intero territorio italiano, ma dà anche spazio ai cosiddetti “autori a Km 0”. Tra questi, vi è Flavio Passi, non solo scrittore, ma anche editore. È il primo a farsi avanti nel recepire una mia rece. Voi che mi seguite da ormai quasi due anni, sapete quanto sia pistina nel recensire, badando persino a piccolezze come la punteggiatura. Nonché al contenuto, allo sviluppo del plot e all'approfondimento dei personaggi, cercando di vestire i panni di un editore che è, prima di ogni altra cosa, imprenditore e guarda al libro come mero prodotto per guadagnare. Colgo infatti subito fin dalle prime pagine del suo IL GIOCO DEL RE il valore tecnico e letterario del Passi, che mi cattura alla lettura, risuonandomi nell'interiorità con passaggi che ricordano opere mie, come il seguente: “Un’altra estate è andata, pensai. Un altro anno è passato e non mi è rimasto niente: serate con amici, feste, avventure, donne… E poi? Cosa è rimasto?” Questo in particolare mi rimanda ad una delle mie POESIE SPOLLICIATE, in cerca di editore, scritta in quel di Bologna, in occasione di un workshop di Editoria ai tempi del Digitale, che della temporanea amicizia tra quattro donne aspiranti scrittrici, recita così:
“Ma Valentina la osserva e la incalza/con domande (giuste? Non sapremo)/Ed io la snobbo. Roberta si fa i suoi./Un bicchiere di vino condiviso/Alimenta l'amicizia di una sera./Cosa resta?”

“«Se c’è un problema, esiste la soluzione» diceva. «E se non esiste soluzione, allora non può esserci alcun problema.»” Circa l'ottimismo sempre, un mio Forforisma Pastorology afferma che “i problemi sono fatti per essere risolti”.  Senza ottimismo, non si va da nessuna parte. Evidentemente, il Passi lo sa bene. Deve aver sofferto molto nella vita, ma soprattutto essersene arricchito. Si chiama resilienza.

“«... ci tengo a mettere in chiaro che con me bisogna esser cauti. Non ho problemi a conoscere uomini, anzi direi che mi piace, ma preferisco il loro cervello al loro cazzo.»” E qui il Passi mirabilmente introduce al tema principale, ovvero l'erotismo, il cui principale organo è il cervello. Ovviamente profferito da una donna., che viene definita ninfomane. In realtà, è solo un'allegra porcellona, in quanto la ninfomania non lascia possibilità di scelta, è una malattia gravissima, mentre la protagonista femminile sceglie oculatamente i suoi amanti. Molti sono i passaggi letterari che si riferiscono al cervello come organo erotico, sempre con eleganza e mai volgari, tra questi: “Davanti al mio sguardo una mano si muoveva sinuosa in cerca di profondità, l’altra sfiorava veloce il pistillo di quel magnifico fiore che sembrava esplodere per quanto era grande. Non resistevo, provavo ad avvicinarmi con la bocca per assaporare quello spettacolo che si apriva davanti ai miei occhi, ma non ci riuscivo. (…) Era terribile ed eccitante allo stesso tempo.”,“Una donna capace di trascinarti negli inferi dell’anima, nel baratro della perdizione, in quel luogo in cui ogni emozione risultava amplificata, moltiplicata all’infinito. (…) Era un’avventura pericolosa, è vero, ma sarei stato disposto a qualsiasi conseguenza pur di non rinunciare a quel brivido.”,“Sapevo cosa avrei visto varcando quella soglia (…) Barbara era da sola sul letto, vestita soltanto di lingerie provocante, che si muoveva sinuosa come una pantera davanti agli spettatori increduli. Il grande materasso era circondato da sbarre, e Barbara aveva lasciato tutti fuori dalla gabbia. Non potevano toccarla, non potevano fare niente se non guardarla e provare ad avvicinarsi sperando di essere sbranati.”,“«Cambio molti uomini, ma lui è l’unico che resiste. (…) Ecco chi è il Re. Ma con te mi è successa una cosa strana: per la prima volta ho trovato una persona che lo ha messo in discussione»”,“Quell’abbandono, così violento e inaspettato, era stato come una terapia per me: poco alla volta, superare un dolore del genere, mi aveva fatto capire che, nonostante tutto, si sopravvive. E si vive.”

“«Un sottofondo musicale è quello che ci vuole» Pensai. E quella era la serata giusta: non potevo che mettere “The dark side of the moon”. Poi, dopo essermi seduto a fianco a lei, le offrii da
bere.” La musica attraversa anche l'opera del Passi, a conferma della necessità di trovarvi ispirazione. Conosco autori e poeti che, per raggiungere l'ispirazione, si fanno di erba, di crack, di sesso, di coca, di pere. Io mi faccio di musica. Ogni cosa che scrivo, sia essa prosa, poesia o saggistica, è dopata da una qualche sonorità musicale. Evidentemente, anche il Passi ne avverte il bisogno.

“«E… Qual è il gioco che più ti dà adrenalina?» Chiesi curioso. «Quello dove è più facile vincere.» Rispose ridacchiando. «E tu vivendo a Sanremo dovresti saperlo: chi gioca al casinò, se è intelligente, può giocare soltanto alla roulette, l’unico gioco più o meno onesto. Ma probabilmente non frequenti l’ambiente.»” In realtà, da amici sanremesi addetti ai tavoli da gioco, so per loro stessa ammissione che anche la roulette è giostrata sapientemente dalle loro stesse mani e da appositi congegni che pilotano le vincite.

“Mi vedevo per un attimo felice ma subito dopo pensavo alla mia condizione di infelicità: un’esistenza banale, senza amore e con pochi affetti. Una vita alla deriva, senza una meta, senza un obiettivo. Ma in fondo, mi chiedevo, la vita ha davvero un obiettivo?”,“Già, perché è così che funziona: viviamo cercando la felicità ma quando la troviamo non sappiamo riconoscerla e, dopo troppo tempo, alcuni posti, profumi, visioni ci ricordano momenti felici. E allora ci troviamo increduli a constatare come la felicità ci sia stata, ormai lontana e inutile, mimetizzata nella vita.”,“Fabio, sai qual è la triste verità? Che esistono persone con una vita talmente noiosa e monotona, che per sopravvivere hanno bisogno di vivere la vita altrui.”, ma anche: “«... quando il sipario sarà sceso su di noi, allora non ci sarà davvero più tempo, questo devi ricordarlo. Non buttare via la cosa più preziosa per la paura della fine. Ed è proprio per questo, perché il tempo corre troppo, che non devi sprecarlo. Quando arriverà il tuo momento non dovrai avere rimpianti, (…) nulla è eterno.»”,“Piansi. Guardai verso il cielo e piansi senza freni, senza controllo. Non era un pianto isterico, ma nemmeno un pianto di dolore o gioia. Era un pianto di trascendenza, un pianto che mi fece sentire una piccola parte del cosmo.”, “... l’innamoramento dovrebbe essere altruismo, ma in realtà è puro egoismo. (…) Difficilmente ci innamoriamo di chi ha bisogno di noi e, soprattutto, se stiamo con qualcuno e percepiamo che questa persona dipende da noi, cosa facciamo? Solitamente lo scarichiamo, perché non vogliamo accanto persone che dipendono da noi, vogliamo persone forti, utili a noi e a quello che cerchiamo, non vogliamo essere noi a soddisfare i bisogni altrui.” L'aspetto fisico del protagonista è un po' troppo 'reaganian godfereccio' per produrre simili pensieri. Mi verrebe allora da attribuirli direttamente al Passi, che deve essere un filosofo della vita.

A proposito di edonismo reaganiano, lo ritroviamo simboleggiato da auto di lusso: “Avrei potuto prendere la Smart, (…) ma qualcosa mi spinse verso le chiavi dell’Ammiraglia: così avevo ribattezzato la mia nuova Mercedes SL 500.”, da ristoranti di lusso: “Oltrepassammo il confine con la Svizzera e mi diede indicazioni per il ristorante, sul lago di Lugano.”, aperitivi di lusso: “«Oggi sono euforico e ho voglia di divertirmi! Ci vediamo alle sette qui sotto per l’aperitivo. Pensi tu ad avvisare gli altri?» «Okay, ci penso io. Alle sette al Sottovento.» Il Sottovento era proprio sotto casa mia, in Piazza Bresca, l’antica piazza in cui un tempo vivevano i pescatori di Sanremo perché situata proprio a ridosso del porto.”, abitazioni di lusso: “La piazza (Bresca) era diventata, col tempo, il ritrovo della movida sanremese. (…) Era una fortuna abitare lì.” ma anche: “Quando Barbara, dall’esterno, schiacciò un pulsante (...) restai a bocca aperta. Quella casa sembrava un’astronave galleggiante nel buio. All’interno si aveva la sensazione di volare: era stata costruita sul bordo della strada, verso valle e, avvicinandosi a una delle vetrate perimetrali, sembrava di essere divorati dalla gola di rocce che inghiottiva la vallata.”, night club un po' più alla mano, ma con ragazze di lusso,: “Quel giovedì si era deciso che saremmo andati al Porky’s (…) dove le ragazze si esibivano in spettacoli di lap dance e striptease. Un posto divertente e goliardico (…) senza per questo essere alleggeriti nel portafogli, come accadeva nei comuni night-club.”, tanti casinò, il lusso per antonomasia: “Le emozioni della sera prima mi avevano fatto ritornare ragazzo, al periodo in cui i miei amici e io avevamo iniziato a frequentare i vari Casinò della Costa Azzurra.” e club privé in Costiera: “Da quando Barbara mi aveva prospettato l’idea di andare in un club privé della Costa Azzurra ero diventato un’anima in pena.”.

“Al ristorante – lo stesso della volta precedente, come vuole la cabala – sentii che era arrivato il momento di dirle la verità.”,“Il Re è nudo.”: Cabala e determinati riferimenti fiabeschi svelano la raffinata formazione del Passi, ma anche il gioco della Regina, che, senza svelarvi niente, è un improvviso ribaltamento di ruoli. In linguaggio sessual erotico potremmo definire switch.

Del Passi, mi sorprendo a ricopiarne interi passaggi, perché ritengo da sempre che una buona scrittura meriti di insegnarmi qualcosa. Bravo. Ma in fondo, proprio il Passi (ed io con lui) ha scoperto la capacità terapeutica dello scrivere: “Ricordo ancora il mio sorriso quando premetti il tasto Invia: i pensieri negativi svanirono, Monica divenne uno sbiadito ricordo, e una curiosa ondata di benessere mi prese la schiena.” Evidentemente, è confermata la prima impressione ricevuta circa la sua resilienza.

Le consuete considerazioni sull'efficacia di vendita copertina, da Art Drector Pubblicitaria attiva negli Anni della Milano da Bere, mi portano a valutare ancora meglio l'opera del Passi: giocata su te colori, bianco, nero e rosso, che simboleggiano essenzialità e erotismo, mette in scena un Re (rosso, quindi dominante sessaulmente parlando) e un alfiere (bianco, neutro). L'ombra della pedina del Re però si diparte da entrambi.

Consigliato agli amanti del genere erotico che, da una punta di giallo, può solo trarre beneficio.

*https://www.sgi-italia.org/la-realizzazione-della-pace-kosen-rufu/
Poiché, secondo la visione buddista, la Legge mistica è la Legge della vita che permette alle persone di diventare felici consentendo di manifestare il loro più grande potenziale, la Buddità, ed è quindi il motore del progresso degli esseri umani e della società, agire per realizzare kosen-rufu significa impegnarsi nella costruzione di una società pacifica e felice.


martedì 27 novembre 2018

RICAH LE ORIGINI di Marina Galatioto

Approccio anche quest’opera letteraria, RICAH LE ORIGINI, senza saperne nulla, nemmeno della scrittrice Marina Galatioto, per conservare la mia assoluta verginità di recensora. Non amo farmi condizionare le mie facoltà di giudizio da fama o da quantità di libri scritti.


Questo romanzo è ben scritto, capisco dalla capacità linguistica che l’autrice è consumata.  Tuttavia, rimango perplessa circa la sua reale attitudine, in quanto non c’è storia. O, per spiegarmi meglio, vero è che la protagonista evolve, da persona qualunque diventa vampira, il che è già una grande rivolgimento di una vita. Ma poi tutte le trecento e passa pagine trascorrono nella calma piatta della mente di una poco più che ragazzina che si dilania solo psichicamente tra amori presunti, fratelli/cugini presunti, stupratori presunti, padri presunti, nemici presunti, creature presunte, senza agire.  Almeno succhiasse il collo a qualcuno. Almeno ingaggiasse le tanto paventate lotte con le creature. Almeno spiegasse davvero chi sono tali creature. Invece niente, calma piatta totale. Ci vengono promesse profezie millenarie, segreti antichi come il mondo, ma niente di tutto ciò viene concesso di sapere.

L’incipit è tutt’altro che d’effetto, come mi auguro sempre che sia, si perde nella pedissequa ripetizione, cioè che imitano se stesse, di frasi declinate in diverso modo, ma che esprimono i medesimi concetti. Una noia mortale mi assale. Almeno mi avesse aggredito un vampiro… Il proseguo della storia (ma c’è una storia?) è sulla stessa falsariga dell’incipit: tediosità totale. Mi ero ripromessa di non pubblicare più recensioni negative, solo girandole agli autori in via privata, per rispetto alla loro privacy, ma poi sembra che legga solo libri accattivanti. Ebbene, questo RICAH LE ORIGINI di Marina Galatioto non cattura, pur essendo ben scritto, con proprietà di linguaggio, nemmeno ha un finale da capogiro. Niente, il nulla più nero. Ma il nero a volte si stempera in malinconia, in tristezza avvincente. Invece no. Leggo poi le note biografiche e resto basita. La Galatioto è una scrittrice di comprovata capacità, giornalista pubblicista, collaboratrice di plurimi periodici, web journalist, blogger, titolare di agenzia, impegnata in una ONLUS e, come se non bastasse, pure plurilaureata. Tutte queste credenziali le hanno guadagnato una copertina splendida, azzeccatissima, costruita appositamente per il suo romanzo, il che ne risolleva un po’ le sorti, che le farebbe guadagnare una stellina in più, se solo decidessi di pubblicare la recensione anche  su GoodReads. Ma le stelline restano inesorabilmente due. Evidentemente, la laurea non basta: forse per essere uno scrittore di successo sì, ma non per catturare il lettore. Temo di non dare la solita rilevanza Social che ricevono le mie recensioni,, forse solo su Google+ che non ha troppo seguito, tantomeno su UOVA FRESCHE, il mio podcast in cui riporto le letture preferite. 

Consigliato agli sviscerati amanti del genere vampiresco, che potrebbero persino perdonare alla Galatioto la mancanza di azione.

lunedì 19 novembre 2018

NEL PEGGIORE DEI MODI - le inchieste del commissario Cavallo


Si intuisce fin dalle prime parole che si tratterà di un giallo, non come certi sedicenti scrittori (vedi leggolibrifacciocose... no no, non voglio dare loro ulteriore visibilità. Se volete, li cercate da soli). Primo merito di questa opera NEL PEGGIORE DEI MODI - le inchieste del commissario Cavallo di Flavio Villani, è consentire al lettore di capire cosa andrà a leggere. Trama abilmente preannunciata dalle ispirazioni di Fruttero & Lucentini e Ivan Sergeevič Turgenev. Cosa non scontata, ma da gran maestro della penna. La storia si dipana sottile tra orchi, senatori, amici, affaristi, droga, mafiosi, prostituzione, pedofilia. nei meandri del mè Milan, cui sono ancora affezionata, nonostante abbia viaggiato nel mondo e ora abiti su vette alpine.

La chiave di comprensione sta quasi alla fine, tutta contenuta nel titolo di un film uscito il 20 settembre 1990, proprio l'anno in cui sospettavo si ambientasse la narrazione: QUEI BRAVI RAGAZZI. Un commissario, Cavallo, protagonista che a mio sentire tornerà nei romanzi futuri del Villani, dice infatti: “... il titolo, non so, mi dice qualcosa... ripensavo agli amici» fece Cavallo, quasi più a se stesso che all’ispettore, «bravi ragazzi non lo erano di sicuro...» «Cosa dice, commissario?» «Scusa, pensavo... i nomi: Claudia Sala, e ora questa Giusy... Oreste e Giacomo, Fabrizio... Paola... tutti amici, tutti bravi ragazzi. In fondo è tutto molto più semplice del previsto» disse il commissario, voltandosi a guardare Milano che gli sfilava accanto, sfocata nella foschia notturna.”

Non pensavo potesse essere così totale. È terribile pensare che questo nostro corpo, il corpo che è il centro di tutto per ognuno di noi, sia un involucro di così poco valore. Può disintegrarsi, e alla fine si riduce a un nulla che non ha niente a che vedere con la persona che stava là dentro, che lo abitava. In quel corpo massacrato non c’era mio marito. Un simulacro, nulla di più. Per questo non sono svenuta».” Un'altra abilità del Villani sta nel depistare.

Si erano sedute a un tavolino distante dal banco, sul fondo del locale, isolate dal vociare dei clienti che entravano per un caffè al volo, trascinandosi l’umidità dall’esterno come una coda di acqua vaporizzata e gelida.

Gelida gelida gelida, torna spesso la parola gelida. Ne ho contate le volte: nove. Troppe, per passare inosservata. Capisco solo ora la poesia introduttiva, di cui riporto un paio di passaggi essenziali:
“Novembre
Novembre è il mese dei morti.(...)/«L’è el dì di Mort, alegher!» – A Milano, in fondo,/novembre è un mese come tutti gli altri.”

Come c'è quella di romanzo rosa, romanzo giallo, romanzo noir, conierei allora per Villani la definizione di romanzo glaciale, confermata da diversi passaggi descrittivi, dei quali scelgo i più significativi per il canto intrinseco: “L’auto con a bordo Montano e Tonduti viaggiava veloce su una strada angusta e dissestata, in direzione Milano. Strette banchine di sterrato la delimitavano da entrambi i lati, poi un fosso, un filare di pioppi scheletriti e i campi, che più che vedersi si potevano immaginare, inghiottiti com’erano dalla fitta nebbia padana che non accennava a sollevarsi neppure a mattina inoltrata e con un’ipotesi di sole.”

Nel cortile un uomo correva verso l’ingresso, poco più di un’ombra nella foschia e nella ormai scarsa luce del pomeriggio, irriconoscibile.”

Nuovi giorni di nebbia sarebbero arrivati, poi la pioggia, il grigio compatto di Milano per altre settimane. Ci si doveva passare per raggiungere la primavera, quella vera. Non c’era nulla da fare al proposito, solo attendere.”

«Ti ammazzo» disse solamente, senza alzare la voce, gelido, come chi davvero voglia portare
a compimento il suo proposito.” Un altro gelido, a confermare la nascita di un nuovo genere letterario. “Lo svegliarono dopo meno di cinque minuti con dell’acqua gelata spruzzata
sulla faccia; poi lo trascinarono in auto, in direzione della Questura. La notte per lui iniziò allora.” E un nuovo gelata, casomai non fosse ancora chiaro.

Ma lì c’era l’odore dell’oceano, così diverso da quello del mare di casa sua. Aveva il ricordo di un mare incredibilmente calmo e dell’imbarcazione che fendeva l’acqua grigia e quasi stagnante, circondata da altre barche la cui esistenza si poteva solo intuire in quel mare di nebbia, per il rombo cupo dei motori e l’ululato delle sirene. Per un attimo gli si strinse il petto, poi pensò che qualcosa aveva preso a muoversi, e che presto quella maledetta nebbia si sarebbe diradata, restituendo alle cose la propria forma sensibile, come in Bretagna, quando la costa, dissoltasi la nebbia, era riapparsa all’improvviso sotto i loro occhi, appena delineata nel diafano chiarore del sole del Nord.” In mezzo a tanto gelo, il Villani ci regala descrizioni che lasciano il lettore senza fiato.

Ora però vedo molto poco, e non riesco più ad apprezzare i miei quadri come prima. Senza l’integrità fisica la vita intellettuale ed estetica diventa drammaticamente meno attraente» proseguì Landolfi”. Landolfi è un senatore, a conferma che la politica c'entra sempre, nel bene o nel male. Anche in questo romanzo, nel male. Mi devo fermare qui. Però amo osservare che il Villani riporta in questo passaggio l'unico mio terrore per la vecchiaia.

La perfezione annoia, come dico nei miei forforismi (piaciatene cortesemente la pagina, Pastorology). Per fortuna il Villani lo sa, così arriva finalmente un'imperfezione, con una descrizione del cattivo capro espiatorio troppo lombrosiana per essere ammissibile.

La chiusa del romanzo è tutto sommato prevedibile, non vi sono colpi di scena finali, forse un tantino deludente lo spiegone, pleonastico. Divertente invece la citazione finale, conseguente al titolo, che curiosamente appare in chiusura: Nel peggiore dei modi
Ma di qual reato o di qual colpa, argomentò fra sé, ufficialmente, la potevano punire?”
Carlo Emilio Gadda

Ops, due pagine bianche, poi mi accorgo che non è il finale. Ed ecco il colpo di scena conclusivo. E non è l'unico. Il Villani si conferma grande orchestratore di personaggi e parole. Ammirevole la sua audacia narrativa nel preparare il lettore a tutto e al suo contrario. Scoprirò solo in seguito che è un neurolo e che, in quanto tale, deve essere abituato ai ribaltamenti.

Tutto sembrava immobile, e il mondo gli parve stranamente benevolo. La luce intensa e il cielo terso gli aprirono i sensi, intorpiditi da settimane di nebbia; il commissario avrebbe voluto salire in alto, sul Duomo magari o sulla torre di Landolfi per guardarsi intorno, e vedere, finalmente, la città semiaddormentata e splendente nell’aria cristallina, con le montagne innevate a corona. Vivendo in basso, a continuo contatto con il suolo, ci si dimenticava che il mondo si sviluppa anche in altezza, e che in alto l’aria è rarefatta, leggera.” Romanticamente innamorato della sua Milano il Villani. E anch'io, per il suo fascino discreto.

La meraviglia degli occhi di un bambino sarebbe il dono più bello che un Creatore potrebbe fare alla sua creatura. Se l’amasse.” Le amare considerazioni ad alta voce di Paola Innocenti, moglie del primo assassinato, specialista in alcolici, ma anche in autoindulgenza. “Quando si odia, e non si ha coraggio, l’aggressione non può che essere contro se stessi” disillusioni preannunciate fin dall'inizio, quando, rivolgendosi al commissario, diceva: “«È straziante di come cambi il nostro corpo, mentre tutto il resto rimane uguale. Non lo pensa anche lei, commissario?»

Devo fare di tutto perché la sua vita non finisca nel peggiore dei modi, come la mia. Come la nostra. Il sogno che avevamo quando eravamo ancora puri.” Sempre la Paola. Nel peggiore dei modi. Nel peggiore dei modi.

L’oceano è blu scuro. Il cielo azzurro, senza una nuvola. La sabbia bianca e morbida. La brezza è lieve sulla pelle nuda. La vita è così bella. Cos’è un istante in una vita intera? Nulla... Nulla.” Parole dolenti come l'animo tormentato ma sentimentale del Villani, chiudono la vicenda nel migliore dei modi, proprio come il lettore vorrebbe.

L'immancabile mia considerazione sulla copertina: da Art Director quale fui negli anni della Milano da Bere, mi porta a conferire al Villani le famigerate cinque stelle sul Social per lettori GoodReads, nel rispetto della glacialità del romanzo.

Consigliato a lettori di gialli amanti del fascino discreto di Milano, del suo gelido apparire, ma percorso da violente correnti sotterranee, consigliato anche a chi crede che ormai nella letteratura si sia scritto tutto, per rimanere sorpresi da un nuovo genere, il romanzo glaciale.

mercoledì 24 ottobre 2018

NOI VI AVREMO

NOI VI AVREMO di Luca Oggero, disponibile dal 5 novembre 2018 solo su Amazon, a conferma del suo stra potere a discapito delle piccole librerie di qualità come quelle di certi amici miei, Luca e Malvina di Torino, è un romanzo che definirei scritto su sfondo adolescenziale. “Stage one completed, non so perché lo facciamo, lo facciamo e basta.”: ai sette riottosi ragazzotti, l'Orrido, il Gufo, Scrotoman, Panzer, Lalaura, Dedè, Rico - la voce narrante - di età compresa tra i venti e i trent’anni, tutta la vita sembra un videogioco. ... Abbiamo dei genitori con cui ci è impossibile tentare di comunicare, tanta è la distanza della nostra visione del mondo dalla loro, fatta per lo più di doveri, convenzioni sociali a cui attenersi pensiero di seconda mano filtrato da ciò che dicono alla televisione.”
Hanno scelto di vivere ai margini della società torinese, anzi, in montagna, in una vera e propria comune collettiva, lontano dai parenti che, assuefatti dai demenziali programmi TV, non li capiscono e non si sforzano neppure per farlo. “... abbiamo dei genitori con cui ci è impossibile tentare di comunicare, tanta è la distanza della nostra visione del mondo dalla loro, fatta per lo più di doveri, convenzioni sociali a cui attenersi pensiero di seconda mano filtrato da ciò che dicono alla televisione.”

Tutto scorre liscio, anzi, d'un botto fino a circa un terzo, dove l'Oggero si spende in un ultra spiegone che rallenta la narrazione. Ma solo per arrivare al clou della narrazione, che velocizza l'azione fino al parossismo, tra poliziotti Digos venduti per coca, NO TAV e francesi che paiono usciti dal peggior pulp splatter marsigliese. Peggiore in senso buono. Conosco l'Oggero on-line da qualche tempo, ne leggo i divertenti racconti ironici su Facebook, difficilmente fa errori, o è molto accurato nelle revisioni di ciò che propone. Accuratezza che viene smentita soltanto in un paio di occasioni, quali: “Certo, anche questi sono brutti elementi. ma in fondo non mi hanno fatto del male… certo, se non ci fossimo preparati ad accoglierli, me ne avrebbero fatto. Ora, comunque, sarò io a doverne fare a loro…” Un certo di troppo, forse incertezza di Lalaura. O forse ancora incertezza dell'autore, visto che fa un'altra ripetizione, 'preda': “io mi sono svegliato alle dieci, dopo tre ore di sonno, preda di un incubo che mi ha fatto aprire gli occhi in preda al panico e mi ha impedito di girarmi dall’altra parte e rimettermi a dormire.” O forse la mancanza di editor? A sentir parlare l'Oggero del suo editore, che fa il mestiere per passione, propendo per quest'ultima ipotesi.

L'Oggero fino a poco tempo fa portava i dread locks come uno dei suoi protagonisti, era alcolista, ma da tanto si è disintossicato e conferisce la sua testimonianza di resurrezione nelle scuole, come un vero bodhisattva. In questo romanzo non smentisce il suo passato, anzi: ne è la sorgente, sempre con una forte dose di auto – ironia. Come in tutte le mie recensioni, odio spoilerare o anche solo vagamente anticipare la trama. Però i miei lettori la potranno dedurre dai brevi estratti proposti: “Lalaura, che in quanto ad anatomia sapeva il fatto suo, aveva accuratamente evitato di andare a toccare organi importanti – che da quelle parti abbondano – come fegato, reni o intestino, per concentrarsi sui muscoli. i muscoli sono il segno della virilità di un uomo. Si mostrano i muscoli per farsi vedere più forti. lei aveva lavorato perché quei due bastardi si strappassero i muscoli a vicenda.(...) È solo in quel momento che il viso di Lalaura perde la maschera della vendetta per far sì che tutti vi leggiamo un vago senso di sgomento. È lei stessa a buttarla lì, mentre quella domanda stagnava pesante nell’aria già dal nostro silenzioso rientro a casa, per quanto nessuno avesse avuto finora il coraggio di pronunciarla: «Secondo voi muoiono?»” Va detto che Lalaura è il solo personaggio che l'Oggero ha sviluppato in profondità.

Il gruppo dei protagonisti, che a questo punto noi lettori abbiamo imparato ad assumere come un unico blocco compatto, sono spaventati e si asserragliano armati nella comune, in attesa di rappresaglie. “Dalla cintura dei pantaloni gli pende un grosso coltellaccio da sopravvivenza. «Come stai?» «Eh, come sto… sembra di essere in guerra…» «Già. Probabilmente lo siamo» gli rispondo. «Credi ancora che verranno a cercarci? Ormai sono passati cinque giorni.»” e anche: “Ovviamente siamo spaventati, ma venderemo cara la pelle. loro saranno pure mafiosi, ma noi siamo in sette, come i nani di biancaneve ma anche come i samurai di Kurosawa, siamo armati come si deve e conosciamo bene il territorio. Forse se vedono che facciamo sul serio ci lasceranno stare. In fondo non gli abbiamo rubato niente, mentre avremmo potuto, eccome! È questa situazione indefinita a farmi sbroccare di più… L’idea che forse non arriveranno mai e noi staremo qui a diventare matti per un nemico che magari non si farà mai vivo! Sembriamo i soldati del Deserto dei Tartari di Buzzati.” I riferimenti cultural cinematografici mi confermano l'impressione che ho dell'Oggero e della sua cultura.

Una ben preparata, seppur imprevista virata di Lalaura verso il sadomasochismo e del gangster francese Serge Di Paola, risolve una situazione altrimenti troppo tesa per non produrre altri cadaveri. Un efficace colpo di scena sul finale mi permette di valutare positivamente l'opera dell'Oggero, che si avvale anche di una copertina azzecatissima, tra il faceto e il pulp. Cinque le famigerate stelline conquistate su GoodReads.
(...) E fu così che i quattro mafiosi vennero rilasciati, con Serge Di Paola distrutto in volto ma rinnovato nello spirito sorretto per un braccio da Gaetano mentre i quattro risalivano in macchina.”

Consigliato agli ormai unici lettori italiani, ovvero coloro che si dedicano agli intrighi polizieschi, ma sapientemente condito dall'Oggero di ironia,/auto – ironia, elementi splatter e pulp della miglior specie, 'sesso e carnazza', come direbbe un glorioso gruppo italiano che immagino nelle raccolte musicali dell'Oggero e dei suoi lettori.

lunedì 22 ottobre 2018

LA COMPAGNIA DEI VIAGGIATORI DEL TEMPO


In cerca di opportunità per crescere in senso letterario, esplorando nuovi generi in cui mai mi sono sperimentata come scrittrice  (giallo e fantascienza), leggendo autori emergenti, (se ne salva uno su dieci ad essere ottimisti - ma anche è vero che si impara soprattutto dagli errori, come scrivo nei Forforismi Pastorology), e scrivendone recensioni, il mio agente letterario ed io ci siamo recati a una manifestazione libresca fiorentina che ha inaugurato ‘un borsino degli inediti’. Auguro all’organizzazione di migliorare sempre più, idea fantastica da promuovere meglio, soprattutto fra gli editori stessi: presenti in numero di tre, occupavano un decimo degli scranni a disposizione. Nel tour degli stand, abbiamo scoperto che alcuni di loro manco erano stati avvisati dell’opportunità di scoprire il nuovo Walt Withman. Gli autori, no, da sempre animati dalla convinzione di essere pari a Shakespeare, alla ricerca di opportunità per essere riconosciuti tali, appena colgono un’informazione che li possa aiutare, vi ci si fiondano. Erano presenti in file ordinate quanto rassegnate davanti ai tre soli banchetti presidiati. Una nostra stima d’acchito ne ha contati tra i cinquanta e cento per ogni editore presente: infatti in Italia ci sono più scrittori che lettori.

A questo punto, abbiamo fatto il giro dei banchetti presenti per capire se le proposte editoriali degli unici tre fossero aderenti al mio sentire letterario. Ne abbiamo dedotto che forse sarebbe stato meglio girovagare tra gli stands, contattando direttamente gli editori più promettenti dal punto di vista qualitativo. Tra questi c’era un certo ABEditore di Milano. Provenendo da diciassette anni di esperienza nel mondo della grafica (svolto parallelamente al mio lavoro di scrittrice, perché in Italia la cultura appaga, ma non paga, altro mio forforisma), sono persuasa che, in una grossa libreria di quelle caratterizzate da enormi bancali zeppi di libri, saltano all’occhio solo i titoli più originali e le copertine meglio realizzate dal punto di vista della seduzione. Pertanto, sono stata piacevolmente sorpresa da quelle attuate da ABEditore, il cui grafico, presente, ha ricevuto le mie motivate felicitazioni. Il dr. Baldacchini, direttore editoriale della stessa, mi ha richiesto la recensione di un paio di libri a suo dire interessanti. Ho iniziato a leggere quello che sulle prime mi è sembrato più stuzzicante, almeno dal titolo, ed è LA COMPAGNIA DEI VIAGGIATORI DEL TEMPO, di Massimo Acciai Baggiani, una raccolta di racconti di fantascienza, strutturata sul meta racconto in cui un gruppo di giovani si trovano periodicamente per raccontarsi le loro novità in fatto di narrativa, ognuno con la sua voce (ottimo pretesto narrativo per dare continuità alla successione dei racconti). Ma senza infarcirlo di teorie pseudo-scientifiche, di simil-tecnologia, che, dopo aver letto tutto l'insuperabile Asimov, sono le componenti più noiose in chi cerca di imitarlo, non riuscendoci. Questo libro non ne ha, pur essendo scritto con cognizione di causa. Evviva. A mero esempio nel Il primo racconto di Gianmaria LA VITA DI UN UOMO: “Era un torrido pomeriggio d'Agosto in città. Maurizio percorreva viale Ariosto a velocità sostenuta, sicuramente superiore al limite, quando perse il controllo della motocicletta su cui andava essenza neanche il tempo di accorgersene si ritrovò sull'asfalto. Un forte dolore alla tempia e poi il buio”.
È un incipit che inizia quasi in sordina - il Baggiani ci abitua subito a questo approccio - motivandoci il successivo sfasamento temporale con un banale incidente in moto del protagonista. Progressivamente, dal suo risveglio, assiste al fenomeno di asincronicità crescente tra lui e le persone che gli parlano, fino ad arrivare ad una disparità generazionale o di perfino di eoni temporali. Cerco di approcciare un testo senza preconcetti, solo in un secondo tempo, aggiungendo l'autore  agli amici di Facebook, scopro che è autore consumato con tanta bibliografia alle spalle. Non è un emergente.

In generale, gli incipit si suddividono essenzialmente in due tipologie: una, quella in cui l'autore accosta lentamente il lettore al cuore della narrazione, promettendogli un futuro narrativo attrattivo, facendo una scommessa con il suo interesse. L'altra, quella in cui invece l'autore catapulta il lettore nell'azione, catturandolo e tenendolo inchiodato alle pagine del suo libro. (Vedi leggolibrifacciocose AMORE OBLIQUO di Maria Teresa Casella). Questa raccolta di racconti appartiene alla prima tipologia, l'Acciai Baggiani creando un climax costruttivo a piccoli avvicinamenti graduali, disparati di per sé, però unendoli tutti in un flusso univoco con quel pretesto narrativo di cui sopra. Il Baggiani, pur dichiarando di aver cercato di distinguere lo stile narrativo di un narratore dall’altro, non ci riesce. Si avverte lo stesso stile (e la stessa filosofia di fondo, il buddismo) che attraversano  come una corrente sommersa tutti i racconti. Fattori che si rivelano subito in uno dei primi, ovvero Il primo racconto di Annetta FIRENZE NEL XXII SECOLO: “Un bel giorno fui trasportata nel futuro, oltre i miei anni, fino all'inizio del XXII secolo. Non so bene come ci arrivai...” (qui ricevo ulteriore conferma che al Baggiani non piace scimmiottare chi prima di lui ha fatto meglio, lo stimo già per questo)
“«Tu sei la zia Rosalba.» mi disse, come a trovare conferma di quanto già sapeva.
«Tu sei Emilio.» gli feci eco «Sono molto contenta di vederti. Come va?»
«Tutto bene, e tu? Che ci fai qui? Sei morta già da...»
«Non dire nulla» lo bloccai appena in tempo «non voglio saperlo.»
Lui rimase pensieroso per un po', domandandosi cosa avesse detto di male, poi ci arrivò e si scusò. «Neanch'io vorrei sapere la data della mia morte, anche se suppongo dal tuo punto di vista sia solo uno degli infiniti futuri possibili.»
«Già. Dal mio punto di vista il futuro non esiste ancora se non come possibilità molteplice.»
«Non sei mai stata una determinista.»
«No, non lo sono mai stata. Il tempo è un grande mistero, un'immensa equazione dalle infinite variabili che neanche un dio, seppur esistesse, potrebbe risolvere.» Dio minuscolo, in aderenza alle idee buddiste, fondamentalmente atee, in quanto il Budda fu un essere umano qualunque che non volle mai essere divinizzato.
«Non sei mai stata neanche una credente» mi disse a mo' di rimprovero.
«Al contrario, ho creduto a molte cose fino ai miei attuali trentotto anni, ma certamente mai a una divinità. Sono anche buddista, sai? Il buddismo richiede fede, così come credere che la vita abbia un senso.»” Ecco, il buddismo richiede fede, ma non nel senso delle religioni monoteiste che siamo abituati a riconoscere noi occidentali, riposta in un essere superiore - o inferiore - che ci giudica e ci spedisce in Paradiso o all’Inferno a seconda dei nostri meriti/demeriti. Ma fede in se stessi, nel senso di fiducia in senso lato: non solo di autostima, in cui è forte la componente dell’ego, ma di accettazione anche dei difetti per poterli mettere al servizio del bene dell’intera umanità.

Riprendendo l’effetto di asincronicità crescente de Il primo racconto di Gianmaria LA VITA DI UN UOMO, il Baggiani ci spiega meglio come avviene: “Siccome il fenomeno di sfasamento temporale cresceva di giorno in giorno, di ora in ora, di minuto in minuto a ritmo esponenziale, ben presto non sarebbe stato più in grado di sostenere una conversazione, di comunicare con nessuno. Si sarebbe ritrovato solo. (...) Maurizio da molti anni si è ritirato a vivere in solitudine, in un luogo sconosciuto. (…) Chissà cosa vede adesso, o tanti anni, se vede qualcosa. La morte di questo pianeta? La fine del Cosmo? Una passeggiata di qualche divinità tra le stelle?
Già, le stelle... non le vediamo forse anche noi, comuni mortali, in modo ‘asincronico’, ma nel passato? La luce che vediamo, non è quella di migliaia, milioni, miliardi di anni fa? La vita di un uomo, che vive in un angolino di una delle molte galassie, non abbraccia forse con la vista e con la mente tutto il Tempo?”. Il Baggiani conferma la sua sapiente tecnica narrativa con finali svelati in modo crescente e sorprendente.
Il racconto in cui gli riesce meglio tale tecnica è Il primo racconto di Chiara MARTE, il cui sorprendete incipit suona così: “Quando gli astronauti tornarono sulla Terra fu chiaro a tutte che essi non avessero la minima idea della situazione che avrebbero trovato a casa. (...) La gioia per essere tornati incolumi sulla Terra gli si leggeva in faccia, ma a me parve che ci fosse qualcos'altro. Ormai dovevano essere stati informati di aver rimesso piede su un pianeta cui quattro miliardi di abitanti era composto esclusivamente da donne.”
Per una femminista come me, (CORPIRIBELLI, resilienza tra maltrattamenti e stalking) è un espediente straordinario, foriero di situazioni inaspettate, come il mutamento di modi dire: “Il corteo d'auto procedeva a passo lento – prima si diceva a passo d'uomo e c'è chi lo dice ancora, ma è un modo di dire che sta ormai scomparendo –”.
Un virus terribile annienta la popolazione maschile “C'era stato l'ECL (...) nel giro di un paio di mesi non era rimasto un solo uomo vivo sulla Terra.” Nemmeno la clonazione di cellule maschili può garantirne la ricomparsa, perché nei tessuti si conservava il virus, annichilendo qualsiasi speranza di “rivedere un uomo”. Poi il colpo di scena dell’attentato, “all'improvviso una donna, scavalcata la recinzione, era corsa verso gli astronauti. Era giovane, praticamente una ragazzina, non più di vent'anni in ogni caso a giudicare dalle immagini, capelli neri legati in una coda, pelle abbronzata, vita snella, molto carina secondo i canoni maschili (...) Con una freddezza incredibile aveva piantato una lama da quindici centimetri nel cuore di Moroboshi. L'uomo era morto sul colpo. Mentre stava affondando il coltello ebbe il tempo di pronunciare due parole, udite distintamente anche dai compagni (...) “‘bastardi maschilisti’ ”, una definizione di cui si era persa memoria. L’inopinato finale è magistralmente costruito dalla seguente affermazione, ma non ve lo spoilero: “Per capire i nostri battibecchi, bisogna sapere che già da tempo frullava nella testa di mia sorella di adottare una figlia o, se non fosse stato possibile, almeno di farsi clonare.”

Un altro sconcertante racconto è Il secondo racconto di Ademio IMMORTALITÀ che ci anticipa i progressi della clonazione. L’incipit è contenuto in un paio di pagine, non ci svela subito chi sia Pitagora. “Pitagora era il miglior amico di Sebastiano, il mio bisnipote. Passavano la maggior parte del giorno insieme, giocando a rincorrersi nei giardini e nei corridoi della mia villa a Pantelleria durante le vacanze estive. Il lungo e delicato autunno della mia vita era stato allietato dalle risate fresche e infantili del mio nipotino, che udivo dal mio letto di infermo nelle ore solitarie in cui – tra un sonnellino e l'altro – stavo seduto in mezzo ai cuscini (...) spingeva la mia carrozzella sul balcone, felice di quel nuovo gioco, e guardavamo insieme il mare che ripeteva il suo saggio monito da molti eoni: vivi! La vita è un ciclo senza fine!” (ancora il buddismo e le sue rinascite). Dopo due pagine scopriremo chi è mai Pitagora. Per chi conosce la teoria della metempsicosi sviluppata dal famoso matematico dell'antichità, già il nome, sembrerebbe una telefonata che anticipa il finale a sorpresa. Pitagora fu clonato alla sua morte, apposta per restituire la felicità al bisnipote, e questo è il primo colpo di scena. Ma è quello finale che ci lascia basiti - e che non svelerò per non spoilerare - , se non riportando la frase conclusiva, che prende pieno significato solo da una lettura integrale del racconto: “Guardo il mio bisnipote e so che non è proprio il mio bisnipote, anche se lui non lo sa. E mentre lo guardo ripenso a quando, quasi diciassette anni fa, ebbi quel colloquio confidenziale con il direttore del centro sperimentale di ricerche genetiche, e ho le stesse perplessità di allora.”

L'Acciai Baggiani realizza un buon prodotto editoriale, senza quegli errori acerrimi nemici di un autore in cerca di qualità (e dell’editore! Vedi leggolibrifacciocose MENO DUE di Delia Deliu). Bravo. La copertina purtroppo gli fa perdere una delle stelline GoodReads meritorie in caso di efficacia: pur apprezzando la scelta cromatica* attinente all’invecchiamento della carta, la deprime a tal punto da impedire la cattura dello sguardo. Personalmente, non mi sarei lasciata tentare dall’acquisto d’impulso.

Consigliato a quei lettori che non amano la fantascienza fantasy rutilante in stile Guerre Stellari e a quelli con una discreta dose di conoscenze scientifiche, bisognosi di tornare a fare fungere le sinapsi.

* fui Art Director nella Milano anni Ottanta/Novanta