Ormai sono abituata agli incipit di
Michele Marziani, (altre recensioni relative a suoi romanzi qui, qui e qui) mai eclatanti, mai sopra le righe. Ogni suo romanzo
inizia in una dimensione meditativa in sordina. Direi “quasi
Irlanda”, come “quasi Irlanda” è la
copertina, particolare di un landscape del pittore gallese H. A. Whittle (Henry
Armstrong) XIX secolo. In questo caso, nelle trentatré tonalità di verde
dell'Irlanda. Dedicandolo ad un certo Christy Moore*, che scoprirò
essere un cantante irlandese di ballate, Marziani ci introduce di
soppiatto nella vita di un'anziana vedova, Pablita O'Connor,
irlandese da parte del padre Malachy, fin dalla nascita in Italia sul
Lago D'Orta che, una volta libera dall'attività** del marito (cui
pensa con il rammarico delle occasioni perdute “Quante cose non
si erano mia detti nella vita passata insieme.”), prende a
riscoprire le proprie origini, attraverso un viaggio induttivo che la
porterà sulle impronte del papà. Il nome spagnolo e un dettaglio
delle prime pagine che passa quasi inosservato, costituiranno due
gradevoli colpi di scena, nella classica tradizione paradigmatica
della narrativa.
“... il vino fa effetto: la porta
con sé nel mondo dei sogni. Ed è lì che si vede attorniata da
corteggiatori, tutti con i baffi, ognuno con diverse divise, chi da
carabiniere, chi da benzinaio ma con le mostrine da generale dei
benzinai, chi da capitano dei veleggiatori che non si sa chi siano ma
lei nel sogno sa che è quello lì e poi i miliziani fascisti col fez
che parlano con quelli spagnoli e tutti si chiedono chi sia questo
Occone e da dove venga e subito dopo averlo chiesto gli uni agli
altri vanno da lei e la baciano e lei si lascia baciare mentre papà
se ne sta seduto sul ponte di una nave e cerca invano di dire
O'Connor ma la voce non gli esce, allora prende fiato e più prende
fiato e più gli manca il respiro e non riesce. Prova ad urlare ma
l'urlo gli si soffoca in gola finché alla fine esce strozzato ma
esce: “O'Connor, O'Connor!” grida così forte che Pablita si
sveglia e si ritrova seduta sul letto. Sudata. Forse il vino era
troppo. O troppo buono.”
È un romanzo on the road che ci
accompagna nel sud Italia, a Ventotene, dove il padre fu confinato
cambiando cognome, poi a Barcellona, dove durante la guerra civile
spagnola l'uomo combatté al fianco delle brigate contro il regime,
poi in Irlanda, dove infine Pablita si conosce e riconosce. È la prima
volta della sua vita che Pablita viaggia. Parte nonostante i timori
della figlia Anna, che la sconsiglia. Parte nonostante le attenzioni
speciali di un amico di sempre che vorrebbe baciarla. Parte
nonostante non abbia mai preso un aereo. Parte nonostante non abbia
mai viaggiato in barca. A Ventotene ci arriva in aereo, che visiterà
in barca a vela. A Barcellona, altro aereo. Grazie alla statua di
Cristoforo Colombo sulla Rambla mediterà sull'importanza del
viaggiare: “Lei guarda ammirata perché la statua mostra la
grandezza del viaggio.”
In questa città conoscerà Manuel,
partner di una nuova amica, che le intriga, ricambiata. Emerge la sua
civetteria, la sua voglia di rimettersi in gioco. Accetta un
appuntamento: “E' ormai sotto la doccia cercando di rendersi
presentabile. Userà due gocce di essenza di lampone. Chisseneimporta
se sta meglio alle ragazze.”
Con la figlia intrattiene rapporti via
e-mail, rari solo perché desidera che non si preoccupi. Vorrebbe
spiegarle di più, ma capisce che non servirebbe: “Allora si
siede davanti al terminale, chiede un caffè. Per la prima volta dopo
un sacco di tempo ha veramente tantissime cose da fare. Da mettere in
fila. Sorride e il suo sorriso sembra una smorfia, uno sberleffo.
Sente in fondo alla pancia il dolore dell'assenza di Manuel ma quel
dolore non le fa più male. Sta andando a casa. Non in paese. Ma
nella casa dalla quale è uscito suo padre per scrivere la propria
storia.”
Nei pub irlandesi si accorge
dell'universalità dell'essere umano, in qualunque angolo della Terra
si trovi: “Ecco, pensa, c'è una logica da Pro Loco universale,
che vale sul lago d'Orta e nel centro di Dublino. Lo pensa e immagina
un grande regista di spostamento delle persone alla ricerca di una
socialità sempre più fasulla.”
Da questa affermazione in poi, per il
tramite dei pensieri di Pablita, Marziani ci spiega la sua ottica nei
confronti dell'attuale società. “E adesso si chiede che vorrà
dire tutto questo mescolarsi di mondi, di donne, di nazioni. Poi
pensa che le nazioni e le nazionalità a volte vengono come le
malattie e ti portano via e comunque ti cambiano la vita senza che tu
lo voglia.”
In questo via vai, Pablita farà una
scoperta inaspettata: “Sei la benvenuta. A una condizione:
neanche una parola su Malachy O'Connor, né su tuo padre né sul
mio.”
Marziani conclude il rapporto
Pablita/madre e Anna/figlia con un colpo di scena e una cartolina,
che recita così: “Enjoy your life. It doesn't last. C'è
scritto sulla cartolina che Anna sta leggendo. È arrivata
dall'Irlanda. Sullo sfondo c'è il mare.”
Consigliato ai viaggiatori di
conoscenza, a chi conosce l'Irlanda per riconoscerla, a chi non la
conosce ancora per imparare ad amarla, a chi sente avvicinarsi la
fine di una vita inutile per viverla meglio fino all'ultima goccia.
Anche se sapesse di lampone.
*Christy Moore e LA QUINTA BRIGADA
**Una ferramenta
alieutica: se non ne sappiamo il significato, Marziani ci lascia liberi
di cercarlo sui nostri vocabolari.
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