giovedì 12 ottobre 2017

LA FIGLIA DEL PARTIGIANO O'CONNOR

Ormai sono abituata agli incipit di Michele Marziani, (altre recensioni relative a suoi romanzi qui, qui e qui) mai eclatanti, mai sopra le righe. Ogni suo romanzo inizia in una dimensione meditativa in sordina. Direi “quasi Irlanda”, come “quasi Irlanda” è la copertina, particolare di un landscape del pittore gallese H. A. Whittle (Henry Armstrong) XIX secolo. In questo caso, nelle trentatré tonalità di verde dell'Irlanda. Dedicandolo ad un certo Christy Moore*, che scoprirò essere un cantante irlandese di ballate, Marziani ci introduce di soppiatto nella vita di un'anziana vedova, Pablita O'Connor, irlandese da parte del padre Malachy, fin dalla nascita in Italia sul Lago D'Orta che, una volta libera dall'attività** del marito (cui pensa con il rammarico delle occasioni perdute “Quante cose non si erano mia detti nella vita passata insieme.”), prende a riscoprire le proprie origini, attraverso un viaggio induttivo che la porterà sulle impronte del papà. Il nome spagnolo e un dettaglio delle prime pagine che passa quasi inosservato, costituiranno due gradevoli colpi di scena, nella classica tradizione paradigmatica della narrativa.


... il vino fa effetto: la porta con sé nel mondo dei sogni. Ed è lì che si vede attorniata da corteggiatori, tutti con i baffi, ognuno con diverse divise, chi da carabiniere, chi da benzinaio ma con le mostrine da generale dei benzinai, chi da capitano dei veleggiatori che non si sa chi siano ma lei nel sogno sa che è quello lì e poi i miliziani fascisti col fez che parlano con quelli spagnoli e tutti si chiedono chi sia questo Occone e da dove venga e subito dopo averlo chiesto gli uni agli altri vanno da lei e la baciano e lei si lascia baciare mentre papà se ne sta seduto sul ponte di una nave e cerca invano di dire O'Connor ma la voce non gli esce, allora prende fiato e più prende fiato e più gli manca il respiro e non riesce. Prova ad urlare ma l'urlo gli si soffoca in gola finché alla fine esce strozzato ma esce: “O'Connor, O'Connor!” grida così forte che Pablita si sveglia e si ritrova seduta sul letto. Sudata. Forse il vino era troppo. O troppo buono.”

È un romanzo on the road che ci accompagna nel sud Italia, a Ventotene, dove il padre fu confinato cambiando cognome, poi a Barcellona, dove durante la guerra civile spagnola l'uomo combatté al fianco delle brigate contro il regime, poi in Irlanda, dove infine Pablita si conosce e riconosce. È la prima volta della sua vita che Pablita viaggia. Parte nonostante i timori della figlia Anna, che la sconsiglia. Parte nonostante le attenzioni speciali di un amico di sempre che vorrebbe baciarla. Parte nonostante non abbia mai preso un aereo. Parte nonostante non abbia mai viaggiato in barca. A Ventotene ci arriva in aereo, che visiterà in barca a vela. A Barcellona, altro aereo. Grazie alla statua di Cristoforo Colombo sulla Rambla mediterà sull'importanza del viaggiare: “Lei guarda ammirata perché la statua mostra la grandezza del viaggio.”
In questa città conoscerà Manuel, partner di una nuova amica, che le intriga, ricambiata. Emerge la sua civetteria, la sua voglia di rimettersi in gioco. Accetta un appuntamento: “E' ormai sotto la doccia cercando di rendersi presentabile. Userà due gocce di essenza di lampone. Chisseneimporta se sta meglio alle ragazze.”

Con la figlia intrattiene rapporti via e-mail, rari solo perché desidera che non si preoccupi. Vorrebbe spiegarle di più, ma capisce che non servirebbe: “Allora si siede davanti al terminale, chiede un caffè. Per la prima volta dopo un sacco di tempo ha veramente tantissime cose da fare. Da mettere in fila. Sorride e il suo sorriso sembra una smorfia, uno sberleffo. Sente in fondo alla pancia il dolore dell'assenza di Manuel ma quel dolore non le fa più male. Sta andando a casa. Non in paese. Ma nella casa dalla quale è uscito suo padre per scrivere la propria storia.”

Nei pub irlandesi si accorge dell'universalità dell'essere umano, in qualunque angolo della Terra si trovi: “Ecco, pensa, c'è una logica da Pro Loco universale, che vale sul lago d'Orta e nel centro di Dublino. Lo pensa e immagina un grande regista di spostamento delle persone alla ricerca di una socialità sempre più fasulla.”
Da questa affermazione in poi, per il tramite dei pensieri di Pablita, Marziani ci spiega la sua ottica nei confronti dell'attuale società. “E adesso si chiede che vorrà dire tutto questo mescolarsi di mondi, di donne, di nazioni. Poi pensa che le nazioni e le nazionalità a volte vengono come le malattie e ti portano via e comunque ti cambiano la vita senza che tu lo voglia.”
In questo via vai, Pablita farà una scoperta inaspettata: “Sei la benvenuta. A una condizione: neanche una parola su Malachy O'Connor, né su tuo padre né sul mio.”
Marziani conclude il rapporto Pablita/madre e Anna/figlia con un colpo di scena e una cartolina, che recita così: “Enjoy your life. It doesn't last. C'è scritto sulla cartolina che Anna sta leggendo. È arrivata dall'Irlanda. Sullo sfondo c'è il mare.”

Consigliato ai viaggiatori di conoscenza, a chi conosce l'Irlanda per riconoscerla, a chi non la conosce ancora per imparare ad amarla, a chi sente avvicinarsi la fine di una vita inutile per viverla meglio fino all'ultima goccia. Anche se sapesse di lampone.

*Christy Moore e LA QUINTA BRIGADA

**Una ferramenta alieutica: se non ne sappiamo il significato, Marziani ci lascia liberi di cercarlo sui nostri vocabolari.

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