mercoledì 27 settembre 2017

MICA VAN GOGH

Con la silloge poetica MICA VAN GOGH inauguro una nuova stagione letteraria, in realtà recuperata dalla metà degli anni '90, che in senso poetico non furono esattamente scintillanti. In quell'epoca mi occupavo soprattutto di sceneggiature cinematografiche, che mi gratificavano dal punto di vista meritocratico, non da quello economico. Fui ghost writer per uno sceneggiatore che aveva fatto la storia del cinema italiano, da RISO AMARO, ai vari IL VIZIETTO, alla serie AMICI MIEI, alla saga FANTOZZI, nonché di Carlo Verdone. Mie le battute del più becero maschilismo verdoniano.


Solo nel luglio 2015 ripresi a scrivere poesia, avendo d'ispirazione Ungaretti, Merini, Benni, grazie ad un amore che mi dedicò una canzone dell'immenso Caparezza, CHINA TOWN. Da un'altra canzone sua, il titolo della silloge.

Non ne fu facile la compilazione fin dalla sua genesi. Essendo più volta ad affrontare temi sociali, la poesia mi dà le ali per allontanarmi dalle brutture del reale. Da cui non voglio scappare, ma solo prendere talvolta una pausa, attraverso piccole note sulla vita emozionale, che partono da minuti dettagli del quotidiano, dall'amicizia, dai viaggi, dall'amore, da incontri casuali, dall'erotismo.

Riporto qui una recensione scritta dalla giornalista Maria Teresa Vivino, prima fra tutte.

“Poiché sono già sazia d’Arte, non ceno”; in questo verso si riassume, probabilmente, la poetica tagliente di Stefania Pastori. Una poetica a tratti claustrofobica, ma solo in apparenza, perché non è in cerca di “problemi”, ma al contrario di soluzioni.

“Lasciate un messaggio, non sono infinita”, un grido folle ma chiaro, si scrive per lasciare qualcosa di sé, una piccola riflessione su cui porre le basi di nuovi sguardi. Poesie violente, crude, che ricordano a tratti i poeti Alda Merini e Stefano Benni.

“Ma adesso me ne vado a passeggiare/ A farmi spettegolare dietro dagli altri” … “Ho mantenuto gli occhi bassi/ Torno non ascoltando i miei passi”.

Scrivere è, in fondo, rielaborare, accettando di lasciare andare a qualcosa, un pensiero, un giudizio, la rabbia e persino la gioia.

“la gente la gente la gente dove va va va”, frasi, parole spasmodiche a ripetizione continua, quasi inquietante a tratti, come se nell’eco, qualcuno possa davvero dare risposte. Registri alti e bassi si alternano, come a voler arrivare a tutti, per forza; ma in fondo, in un vorticoso girare, non arrivare in fondo, mai, davvero.

“Un bicchiere di vino condiviso/Alimenta l’amicizia di una sera./ Cosa resta?//”.

IMPRESSIONI POETICHE DI
Maria Teresa Vivino

Seconda recensione, quella di una professoressa di italiano che si diletta a leggere e scrivere poesie, Rosalinda Osano: "Ho letto metà delle tue poesie. Bravissima. Complimenti. Molto belle e molto amare come la terraamara cantata da Domenico Modugno. Profonde e vere purtroppo in molte parti. Ahimé."
Ho apprezzato con cuore sincero le parole della prof.ssa Osano, perché aderiscono ai sentimenti che mi dettarono queste poesie. Nel cercare Modugno, ho trovato la versionedi Ermal Meta, più emozionante e toccante nel profondo, perché ne dà un'interpretazione allargata.

Consigliato a chi cerca il senso del viaggio di conoscenza della vita nelle amicizie, negli incontri casuali, nell'amore filiale e in quello per i genitori, nell'erotismo, nella filosofia.



giovedì 21 settembre 2017

IL CLITORIDE CATARO

Prima di accingermi alla scrittura della recensione de IL CLITORIDE CATARO di Leda Gheriglio, ne controllo il significato sul vocabolario, in quanto ricordavo i catari fosse una setta medievale di eretici. Infatti:
càtaro s. m. e agg. [dal lat. mediev. catharus, gr. καϑαρός «puro»]. – Appartenente alla setta dei catari, nome col quale sono comunem. indicati gli eretici dualisti medievali (detti anche albigesi, manichei, publicani o pauliciani, ariani, bulgari, bogomili, ecc. e, in Italia, patarini), diffusi soprattutto nella Francia settentr. e merid. nel sec. 13°, i quali, in polemica con la Chiesa, predicavano un rinnovamento morale fondato sull’antitesi tra bene e male, spirito e materia, e su un esasperato ascetismo (condanna del matrimonio, della procreazione, della proprietà privata, della guerra, ecc.). Come agg., dei catari, relativo ai catari: l’eresia catara.

Non avevo torto: dal titolo, mi aspettavo di leggere una dotta porcellata tra eretici. Tutt'altro, si parla di “purezza” come dall'etimologia greca, ma in antitesi perfetta. Un ossimoro sessual letterario. Contrariamente a come procedo di norma, restando ignara di ciò che sto per leggere, stavolta sapevo dall'editore stesso, Daniele Aiolfi, che avrei letto di incesto, masturbazione, lesbismo, BDSM, meretricio, parafilie, umiliazione, fedifraghi. Parole che soltanto a fine lettura, ho scoperto quanto fossero vuote di significato, prima. L'autrice tratta con tale familiarità temi quanto meno insoliti (non giudico, il giudizio appartiene solo a dio – ammesso che esista) a tal punto da ingenerare nel lettore il sospetto che li abbia vissuti in prima persona.

La narrazione è nettamente suddivisa in due parti. La seconda inizia con il titolo ANDREA ed è meno forte della prima. La prima incarna tutto ciò che i benpensanti marchierebbero come qualcosa più di “anomalo, blasfemo, irriverente, fetish, anormale, disumano, condannabile, infernale” che possa accadere in una coppia di sorelline, Diana 7 anni, Enrica, neonata. Pur prendendone le distanze, l'ho messo tra virgolette perché non lo penso io, ma ho provato a mettermi nei panni della cultura più comunemente accetta nello stato come che ospita il Vaticano. Linguaggio e costruzioni lessicali sono dotte, mantengono la promessa del titolo. Non anticipo altro, per non rovinare l'effetto sorpresa ai lettori.

Consigliato a esploratori di sesso insolito, a casalinghe annoiate che credono ancora nel Principe Azzurro, ai Principi Azzurri che credono ancora nelle Cenerentole e Belle Addormentate. La vita vera è ben altro.

giovedì 14 settembre 2017

700 GIORNI

Vengo a conoscere Floriana Naso grazie alla pagina Facebook PENSIERO PLURALE mirabilmente gestita dal FreeLance Editor Antonio Di Bartolomeo, in occasione di una rubrica che aveva intenzione di realizzare circa l'argomento della violenza sulle donne, a me così caro . Scopro solo in seguito che è anche autrice fiction e le manifesto la mia gratitudine proponendole di recensire questo suo romanzo, 700 GIORNI, di cui in partenza appositamente nulla so, perché amo farmi sorprendere dalle narrazioni.

Avevo di fatto già scritta la recensione, ma ad un'ultima lettura mi accorgo dell'immane ruffianata compiuta: era un mero riassunto, tutto uno spoiler, cosa che non faccio mai. Mi ero auto-censurata impedendomi inconsapevolmente qualsiasi critica in nome della gratitudine che provo verso questa nobile signora.

Tuttavia, se voglio essere credibile come recensora, devo utilizzare in pieno quell'onestà intellettuale che tante volte mi ha vista rimuovere dalle amicizie di Facebook. Non è questione qui di essere saggi, è questione di credibilità personale e di scrittrice. Perciò, l'ho riscritta da capo.

Sulle prime, sembra un romanzo nella banale scia delle coppie Lui/Lei, secondo la miglior tradizione dei rosa. Poi la coppia si disfa per volere della protagonista assoluta, Chloe, una volitiva trentenne torinese, figlia viziatella di papà gioielliere, e che, in quanto tale, beneficia di una vita agiata. La ragazza sente il rapporto con l'uomo “stretto”, perché vorrebbe provare nuove esperienze piccanti con donne. Incapace d'amore o anche di semplice affetto, lo rivela sia nel lasciare il ragazzo cui è stata legata tanti mesi con un semplice sms, che nel rapporto lesbico con un'avvenente signora, sia nel legame online con un ragazzo, che per quasi due anni, a causa di mero capriccio, non vuole incontrare. Otterrà la relazione saffica tanto desiderata, ma purtroppo sfocerà in una serie di episodi di stalking, che la Naso esplora ed espone con cognizione di causa e perizia non usuale.

La Naso non è molto efficace nella narrazione delle dinamiche che si sviluppano nelle relazioni amorose, e nella descrizione delle scene di sesso lesbico avrebbe potuto andare più in peccaminosa profondità. Il suo registro forse funziona meglio nei momenti di tensione tra i personaggi, tuttavia alterna momenti altamente drammatici a pure e semplici descrizioni che, se non fossero d'impronta balzachiana, infastidirebbero alquanto, interrompendo il climax.

Ad esempio, quando il papà di Chloe viene a sapere della saffica relazione della figlia e degli episodi di stalking cui è sottoposta, in famiglia esplodono i contrasti peggiori, con liti ignominiose tra padre e figlia, tra moglie e marito. Il climax di una di queste scena è particolarmente teso, come anche di altre, ma la Naso lo ammorbidisce con rappresentazioni che, forse, sono superflue, perché smorzano e non vanno in direzione alcuna. Eccone una su tutte, al termine di una furibonda lite dove tutti sono straziati e allo stremo delle forze, coinvolte la protagonista, sua madre e suo padre. Nella scena a chiusa del litigio sono presenti mamma (Caterina), figlia (Chloe), zia (Rosanna) e governante (Ada):

Poi (Caterina) si mise a piangere tra le braccia della figlia (Chloe), sconsolata. Rosanna assisteva a tutta la situazione soffrendo molto, soprattutto perché sapeva che indietro non si poteva tornare ormai.
Vi preparo un tè” disse Ada con tono dolce.
Le quattro donne si sedettero attorno al grande tavolo intarsiato della sala da pranzo. Caterina tirò fuori un servizio di porcellana inglese di fine '700 color avorio con decorazioni floreali rosa.”

Non è l'unica, l'intera narrazione ne è costellata, quasi a volersi interrompere da sola. Ci importa davvero sapere che il tavolo fosse intarsiato o che le decorazioni della porcellana fossero rosa, o che il copriletto fosse porpora, che il letto a baldacchino fosse intagliato, che le pesanti tende di velluto color ocra operato, o che la stufa per la legna splendida, e che un divano grigio accompagnato da un comunissimo tavolino, oppure vorremmo conoscere meglio la dinamica delle relazioni? Forse all'inizio, sì, perché caratterizza l'ambiente vissuto dai personaggi e, quindi, i personaggi stessi, ma dalla seconda metà del libro in poi, ne possiamo fare anche a meno.

Anche le scene d'amore lesbo, per quanto raffinate e delicate, stuzzicanti e mai volgari, svelano più l'intenzione di solleticare l'immaginario morboso del lettore italiano medio che non un vero e proprio intendimento narrativo. Non portano da nessuna parte, non incrementano il plot, non creano tensione, se non nelle parti basse degli uomini, almeno suppongo.
Il finale che lascia l'amaro in bocca tuttavia conferma la perizia della Naso, non volendo scegliere situazioni scontate. Risiede qui l'unico vero merito del romanzo breve.


Consigliato a chi cerca nelle esperienze saffiche la soddisfazione della propria pruderie sessuale e a chi non sa che le donne sono più capaci degli uomini in fatto di persecuzioni psicologiche.