giovedì 28 gennaio 2021

OZZY - LA STORIA di Ken Paisli

È la prima volta che Gloss si trova a recensire l’opera di un autore il cui ego è (apparentemente) così poco ipertrofico da voler persino sparire. Circa l’ipertrofismo degli autori prima o poi Gloss sarà costretta a scrivere un libro, se è vero che l’esercizio dello scrivere è prima di tutto terapia. E Gloss è animata da un ego gigantesco che vorrebbe poter trasformare in qualcosa di buono come le caramelle da sconosciuti, ma senza dover per forza essere pedofila. Anzi, per fare del bene a chiunque. A prescindere. La Gloss dunque stima a prescindere questo Ken Paisli che sul risguardo della quarta di copertina non rinuncia a un selfie, anche se con maschera conigliesca DavidLynchiana. In posa pseudo minacciosa, con dito puntato verso il lettore, indica chiaramente la posizione del proprio stile letterario. Infatti, in quella che dovrebbe essere la biografia di un grande, alla fine risulta lui stesso il Grande (Narratore), confermando il Forforisma Pastorology: "la modestia è madre di ipocrisia", che, tuttavia, nel caso del Paisli, non risulta fastidiosa. Premessa faticosa per dire che l’autore è un fan sfegatato dell’Ozzy (Gloss, nella sua mania da #maestrinadellapenna rossa, indagherà sul motivo per cui un entusiasta debba esser s-fegatato, cioè apparentemente  senza fegato). Si scopre quanto il presunto satanismo dei Black Sabbath sia semplice operazione di marketing attuata dalla casa discografica, e anche quanto Ozzy fosse un sempliciotto che subì bullismo da adolescente. Più che una bio, è un’agiografia, una vera e propria santificazione del papà dell’Heavy Metal, peraltro motivata per una come Gloss che ha cresciuto i propri figli a latte e metallo (in particolare, i pezzi duri e martellati degli Iron Maiden). Ozzy ha attraversato mille peripezie in fatto di salute uscendone indenne da poter assurgere di diritto a esempio di resilienza (Gloss sa bene che è in corso l’abbattimento ideologico di questo termine, eppure è preciso e puntuale, altro parimenti efficace non c’è).

Insomma, più che un’agiografia musicale, trattasi di un’agiografia di vitale importanza per chiunque stia attraversando in questo momento una qualsiasi tra le tante calamità della salute di Ozzy, in larga parte dovute a bevute colossali e stordimenti di varie sostanze.

La scampa sempre, tanto da meritarsi l’appellativo di Highlander.

Consigliato a coloro che amano la musica in generale, il rock duro e puro, specie se metallico e graffiante. Ma anche a chi assume stupefacenti o beve alcool per stupefarsi: Ozzy è lì a dirgli «Stai all’occhio, che di Ozzy duro e imperituro, ce n’è uno solo.»


mercoledì 27 gennaio 2021

IL COMMISSARIO VEGA - indagine di sola andata - di Antonio Infuso

Nel recensire emergenti, raramente la Gloss si è imbattuta in letteratura così buona e pure con audace identificazione tra autore e protagonista. Forse l'opera di Lanzetta e il suo Warrior, anche se si è trovata su piani diversi. Se quella di Lanzetta è più un fantasy d'azione testoteronica, quello di Infuso è un giallo quasi noir, dove quel "quasi" rappresenta un rischio accuratamente evitato dall'Infuso: ovvero lo scadimento nelle macchiette tipiche del genere. IL COMMISSARIO VEGA è sull'impronta di un Fruttini&Lucentero nella DONNA DELLA DOMENICA per le ambientazioni torinesi - e qui è un massimo apprezzamento per Infuso, innamorati tutti e tre di Torino come dell'intrigo. Però "la Ditta" è votata anche all'invenzione stilistica, con personaggi delineati a tutto tondo fin dalle prime battute, mentre Infuso usa un lessico più alla portata del lettore medio, anch'egli dando ita a personaggi a tutto tondo fin dall'inizio, escluso il commissario (sarà sapientemente costruito un perché col passare delle pagine, il lettore curioso dovrà aspettare il finale). Meriti? Demeriti? Gloss non vuole giudicare, perché votata all'impronta stilistica del Vate - leggi D'Annunzio - che persino inventò la tecnica della "contaminatio" pur di prendere a esempio i Grandi della Letteratura, pur di usare il loro lessico aulico, pur di recuperare termini desueti e caduti in disuso, pur di sbalordire fino allo scandalo, ovvero "épater le bougeois" - direbbero altri decadenti, Baudelaire e Rimbaud. Tuttavia, è anche vero che la giallistica si rivolge a un pubblico medio, senza pretendere di istruirlo più di quanto già non lo sia e nemmeno di scandalizzarlo. E così facendo, Infuso vende. E questo è un ulteriore apprezzamento di Gloss. Infatti, la vera domanda è: a che serve scrivere, se il messaggio non raggiunge il lettore? 

Tornando al romanzo di Infuso, si legge in velocità, grazie alla rapida successione di eventi, quasi un colpo di scena dietro l'altro, non si rimane delusi dalla mancanza di azione come in altri noir, il lettore giallista soddisfa la voglia di intrigo, senza degenerare nel banale reiterato. Certa giallistica contemporanea ha abituato la Gloss, invece, alla riproduzione di stilemi che hanno avuto successo, forse nella convinzione che sia tecnica sufficiente per bissarne il favore da parte dei lettori. A Gloss resta solo una domanda: perché questo sottotitolo, indagine di sola andata, quando in realtà si presagisce nettamente una successiva puntata?

Consigliato ai lettori appassionati di gialli in cerca di novità investigative e di personaggi fuori dai soliti schemi come il commissario Vega. Ah, no, come Antonio Infuso.