venerdì 23 febbraio 2018

BRASILIA


Ammetto di aver iniziato iniziato la lettura di questo romanzo una notte, durante l'insonnia. Pochi minuti dopo ero già addormentata. Ero stanca, avevo avuto una di quelle giornate intensissime che mi sono tipiche, ma la cosa mi mise in allarme circa l'effettiva qualità dello scritto. Poi, nel seguente pomeriggio, ho continuato dal punto in cui l'insonnia aveva lasciato il passo alla vita, ed è solo quando Krauspenhaar asseriva: “Qualcosa di indicibile mi pungeva al petto, forse la consapevolezza che la vita era davvero altrove” come un grande scrittore sa fare, che cominciava ad avvincermi. Tuttavia la lettura deve arrivare alla fine del primo quarto di libro per conquistarmi definitivamente, quando spunta l'affermazione “Ero oppresso da un senso selvaggio di perdita, come se mi avessero rubato non solo l'identità, ma tutti gli anni della mia vita, dal primo all'ultimo. Ero raso al suolo, come nudo di fronte all'eternità.” È comunque tranquillamente possibile affermare che l'incipit non sia tra i più fulminanti che abbia mai letto (vedi L'ODORE DEL RISO di Angelo Ricci).

Vorrei fare una piccola introduzione sulla parola “distopìa s. f. [comp. di dis-2 e (u)topia]”. Tutte le parole col prefisso dis- (disistima, disarmonia, disabile, disfare, disadatto) possono esprimere sia valore contrario (es. abitato/disabitato), sia privativo (attivo/disattivo). Il dis- può esprimere, oltre al valore privativo come diserbare, anche quello reversativo (disincagliare, disabilitare); può poi avere valore oppositivo (come ad esempio in disapprovare, disobbedire). Nel caso di distopia equivale quindi a realizzazione negativa di un'utopia. Leggendo BRASILIA qualcuno come Matteo Fais ha parlato di distopia fantascientifica, ma non sono d'accordo. Cerco di motivare brevemente, senza fare un trattato di fantascienza, partendo dalla definizione che recita: “previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi. In aperta polemica con tendenze avvertite nel presente.” IN APERTA POLEMICA CON TENDENZE AVVERTITE NEL PRESENTE. Parlando di potere di stato come strumento di dominio, le parole chiave sono tre: POLEMICA, TENDENZE, PRESENTE. Krauspenhaar non ha voluto scrivere di fantascienza, perché ciò di cui racconta esiste già nel presente. Le sette sataniche sono presente. L'uso di droghe è presente. La coercizione delle menti è presente. Non polemizza con il potere, non riconosce una tendenza, non c'è un'utopia mal realizzata, parla di un futuro che in realtà è già presente. Potrei persino azzardare che forse, in fondo, pur soffrendone, gli piace, ci si trova a suo agio, ci sguazza, sia lui autore, che il suo personaggio (che è un po' se stesso). Si coglie anche dalla copertina, di un giallo malato perché abbastanza offuscata nei toni e acida, direi azzeccatissima.

Quando parlo di fantascienza distopica, essendo avvenuta la mia nascita letteraria nel cinema (fui sceneggiatrice a metà degli anni Novanta), emergono spontaneamente immagini di film come STATI DI ALLUCINAZIONEBLADE RUNNERBRAZILMINORITY REPORTTHE TRUMAN SHOW,  che hanno effettivamente alcuni elementi in comune con il BRASILIA del Krauspenhaar, come l'utlizzo di sostanze chimiche per la gestione delle menti e dei corpi, il controllo della Società da parte di poteri cogenti, la manipolazione di noi esseri comuni, ma in quei film esistono davvero utopie distortamente realizzate, nel libro no.
Quindi, ciò che più conta in BRASILIA è lo stile del Krauspenhaar, il sentire, il modo di comunicare disagio, ma anche gradevoli immagini di sollievo, come quando, descrivendo l'amplesso avuto con una donna sconosciuta, dice: “Il delizioso triangolo, sotto, coi peli radi. Come se vi entrassi con tutto me stesso, in un parto al contrario” un movimento di woodyalleniana memoria.

Ora che nel mio cuore un buco enorme si era formato, e che quel buco l'aveva fatto mio padre con la sua dipartita improvvisa, c'era come un ago e filo che suturavano continuamente quel foro nel mio cuore, mentre la ferita subito dopo si riformava, e così quell'ago e quel filo riprendevano a suturare: in tutto e per tutto, contro la mia volontà che voleva odiarlo, quella sutura era Alhazi.”

Dove sono diretto? Chiede il mio petto, che ha voce e mente propria. Attacca a parlare addirittura il cuore, gonfiando il petto.”

Era curioso: il cuore, sede di ogni sentimento e centralina del corpo umano, se parlava diventava il segno contrario di ogni genere di vita, la morte.”

Dicevo che, in definitiva, ciò che più conta in BRASILIA è lo stile del Krauspenhaar, che prenderei l'ardire di definire post- esistenzialista:
A quanto pareva tutto tornava, la vita era un viaggio che partiva da un inizio che diventava la fine, un'ellissi del ritorno. Quando il sole apparì in tutta la sua pesante crudezza, il suicidio mi tornò in mente come possibilità di salvezza. Sarebbe diventato impossibile resistere, forse la salvezza evitata poteva valere un gesto estremo che ridesse a tutta la mia vita una dignità che stava perdendo” fino a chiudersi in uno di quei finali bellissimi perché sospesi come la carta del Pendu dei tarocchi marsigliesi, a conferma che è un bel finale a fare di un libro la sua bellezza.

Consigliato agli amanti della fantascienza distopica, agli esistenzialisti, a chi assume sostanze stupefacenti per riconoscersi, ai figli che non hanno mai conosciuto i rispettivi padri.

lunedì 5 febbraio 2018

ANTIMERDA POETICA

Se dovessi scegliere un verso simbolico e rappresentativo di questo autore Andrea Finottis, sarebbe: “Credo che il segreto / sia essere leggeri / senza essere vuoti.”


In questo senso il Finottis ci va pesante. Infatti, la sua è una poetica cerebrale, non si perde in arzigogolati manierismi e nemmeno dietro a scontate rime, andando contro ogni regola del poetare comunemente inteso. Tuttavia il primo componimento, si ispira a versi di petrarchesca reminescenza. In chiusa, io che su Facebook ho inaugurato un album fotografico dal titolo: “Non amo gli aforismi altrui, preferisco sbagliare da sola” in quanto il dover citare qualcos'altro che non sia farina del proprio sacco è deleterio ai fini della credibilità personale, mi sento gratificata dall'affermazione del Finottis: “Quelli che fanno sfoggio del loro acculturamento / palesando sovente il proprio erudimento / con citazioni continue dei libri letti / costoro sono esseri uguali a quelli che voglio combattere / cioè stronzi.” Sono sollevata con la sua approvazione, temo infatti che a trovarsi in opposte posizioni col Finottis ci sarebbe solo da perdere.


32 POLLICI IN TESTA
Un dito in culo e uno sul telecomando
è tutto quello di cui avete bisogno
per essere felici
nella democrazia del grattaevinci.
Girate col Suv in debito
fingendo di essere ricchi e deridendo i poveri.
(…)
La merda è con voi e con il vostro spirito.
Andate affanculo.
Amen.

La poesia IL LAVORO NOBILITA L'UOMO sarebbe da reintitolarsi IL LAVORO DEBILITA L'UOMO. In PIOVE SULL'AMORE il Finottis critica ferocemente un certo tipo d'amore: “Ve lo dico io ragazzi / è stato l'amore! / L'amore / per la beota stupidità / per l'adeguarsi agli altri / per il proprio esclusivo interesse / per la sessualità ipocrita.”

In PAROLE SPARSE  tutta l'amara missione delle parole del poeta, perché umile Cassandra inascoltata che parla di sé: “... forse utili / forse inutili / ma sempre con dentro qualcosa / di colui che le ha scritte.” che viene ripresa in FORSE, LA VITA: “Io, rido e canto / penso e spero / ma sono fermo, urlo più forte di tutti / nessuno ascolta, e se mi ascolta ha occhi strani / specchi della mente a distanze siderali.” CHE FARSENE DEI POETI mi conferma il sentire del Finottis, che anche se dileggiato, inascoltato, disprezzato “un poeta resta un poeta / per non essere un altro / qualsiasi qualunque.” e in CERVELLI OBLITERATI, con amara ironia, conclude: “Tristemente / la poesia succhia cazzi per campare.”.

Alla fine del primo terzo del libro, ci propone un racconto VASCHE BIOLOGICHE SEMOVENTI in cui il Finottis parla dei personaggi plasticati che attraversano la vita come meri transiti di cibo, («Ecco alcuni che non altramente che transito di cibo, e aumentatori di sterco e riempitori di destri [=cessi] chiamarsi debono, perchè per loro non altro nel mondo apare, alcuna virtù in opera si mette, perchè di loro altro che pieni destri non resta» per dirla alla Leonardo Da Vinci), attribuendo loro l'appellativo del titolo, forse fin troppo gentile. È un tema che torna spesso in questa raccolta poetica contro la merda del vivere alienato cittadino, con “mariti fuchi”, “figli imbottiti” e suv, donne imbellettate dall'hair stylist di turno, città piena di gente “dalla faccia tesa”, chiusa dentro un “videogioco ossessivo”, le narici “piene di polvere” (chissà quale? Sapendo che a Milano la coca è lo stupefacente più venduto, la mia è ironia) “si sentono liberi quando sniffano”, ecco appunto. Temi che tornano come proiettili in VOLARE VIA: “Volete sposarvi in chiesa / e poi farvi sodomizzare dai trans brasiliani?”

Andrea Finottis si fa portavoce dei padri (e dei genitori in assoluto), quando ci scrive delle disattese aspettative da parte dei figli, con quella lucida disillusione che riconosce i propri errori. È talmente efficace, questa poesia, che merita di essere riportata nella sua interezza, anche perché avendo io figli, mi ha toccato le corde più vibranti:
SPERMA DELUDENTE
Speri nello sperma
che cresca meglio di te
e invece un giorno
ti ritrovi davanti uno ancora più stronzo
con le magliette che fanno pubblicità a marchi noti
che pensa solo a comprarsi oggetti come hanno gli altri
che si atteggia e parla aderendo alla moda del momento
un vero cretino
e quel cretino è tutto quel che lasci su questo pianeta.
Credevi di fare un figlio
e invece hai cagato l'ennesimo stronzone
e la cosa più agghiacciante
è che la sua stronzaggine deriva dalla tua
è cresciuta proliferando
tutte le volte che non hai reagito
facendo come facevano gli altri
non spegnendo la televisione davanti all'idiozia
ridendo ebete alle battute razziste
considerand con superiorità chi stava peggio.
Concentrandoti solo sulla materialità
hai trasmesso stupidità.
Chi segue solo se stesso
ribellandosi
affermando quello che pensa
non lasciandosi trasportare dalla corrente
ma andando controcorrente
subendone gli svantaggi
solo lui
trasmetterà qualcosa di valido
e può sperare in qualcosa di migliore.

... uomini, donne, vecchi, bambini. / Tutti uguali nella sorte, / la morte è democratica / e la mitragliatrice la consegna / con spedizione ultraveloce di piombo.” dove la mitragliatrice è lo strumento in mano al poeta che usa le parole in guisa di proiettili (la morte sarà democratica, ma l'arte no) per “Mangiamerda galoppano scarrozzando liberi / lungo le praterie dei centri commerciali (…) Ma se sei scemo / sei felice anche quando muori.” , “noto che creano minivicoli tra pochi sparuti alberi. / Questa civiltà è una palese presa per il culo.”“non mi guarderebbero sempre male / stocazzo.” è una chiusa fulminante, non solo antimerda, ma anche antipoetica.

Ma l'applauso mi scatta quando accenna al sentimento. Se al Finottis capita di amare, è amore mai sdolcinato, ma severo e perspicace: “e solo col tempo capirai / leggerai chi sono / e finalmente lo capirò anch'io (…) senza farci sfuggire tra le dita.” “Ora invece stiamo dentro ai monitor / anche quando ci baciamo. / Però l'altra notte / il sapore della tua figa che leccavo / mi ha fatto ritrovare la vita / per quasi un'ora / ma l'ho ripersa / quando mi hai chiesto / dove andiamo domenica prossima.”: il Finottis mi fa riflettere su quanta amara delusione ci sia nel vivere se mancano ideali che vadano al di là dell'amore.

Quasi in chiusura della raccolta, colgo il motivo per cui ho amato da subito la poesia di Finottis: ritrovo qua e là immagini, parole, luci, colori a me cari quando, anni fa, durante la mia tarda adolescenza, avevo raccolto pensieri sparsi in poesie. Con questo non voglio affermare che ANTIMERDA POETICA sia tardoadolescenziale, ma semplicemente ritrovare la ragione per la quale certe cose ci piacciono e certe no e anche per non perdere l'occasione di essere autoreferenziale. Sono autocritica e autoironica. Praticamente un'auto. A lettura finita, come di conseuto mi sono interessata dell'autore: mi sorprende sapere che siamo praticamente coetanei (va be' io un po' più vecchia). In fondo, in un angolo recondito del cervello, mi si era creata davvero l'immagine di trovarmi al cospetto di uno spirito adolescenziale.

Consigliato a chi ama la poesia di contrasto, chi vorrebbe utilizzare la poesia contro la società, a chi vorrebbe una società più partecipata e meno imbottita di suv.