Ammetto di aver iniziato iniziato la
lettura di questo romanzo una notte, durante l'insonnia. Pochi minuti
dopo ero già addormentata. Ero stanca, avevo avuto una di quelle
giornate intensissime che mi sono tipiche, ma la cosa mi mise in
allarme circa l'effettiva qualità dello scritto. Poi, nel seguente
pomeriggio, ho continuato dal punto in cui l'insonnia aveva lasciato
il passo alla vita, ed è solo quando Krauspenhaar asseriva:
“Qualcosa di indicibile mi pungeva al petto, forse la
consapevolezza che la vita era davvero altrove” come un grande
scrittore sa fare, che cominciava ad avvincermi. Tuttavia la lettura
deve arrivare alla fine del primo quarto di libro per conquistarmi
definitivamente, quando spunta l'affermazione “Ero oppresso da
un senso selvaggio di perdita, come se mi avessero rubato non solo
l'identità, ma tutti gli anni della mia vita, dal primo all'ultimo.
Ero raso al suolo, come nudo di fronte all'eternità.” È
comunque tranquillamente possibile affermare che l'incipit non sia
tra i più fulminanti che abbia mai letto (vedi L'ODORE DEL RISO di Angelo Ricci).
Vorrei fare una piccola introduzione
sulla parola “distopìa s. f. [comp. di dis-2 e (u)topia]”. Tutte
le parole col prefisso dis- (disistima, disarmonia, disabile,
disfare, disadatto) possono esprimere sia valore contrario (es.
abitato/disabitato), sia privativo (attivo/disattivo). Il dis- può
esprimere, oltre al valore privativo come diserbare, anche quello
reversativo (disincagliare, disabilitare); può poi avere valore
oppositivo (come ad esempio in disapprovare, disobbedire). Nel caso
di distopia equivale quindi a realizzazione negativa di un'utopia.
Leggendo BRASILIA qualcuno come Matteo Fais ha parlato di distopia
fantascientifica, ma non sono d'accordo. Cerco di motivare
brevemente, senza fare un trattato di fantascienza, partendo dalla
definizione che recita: “previsione, descrizione o rappresentazione
di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e
per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente,
si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e
tecnologici altamente negativi. In aperta polemica con tendenze
avvertite nel presente.” IN APERTA POLEMICA CON TENDENZE AVVERTITE
NEL PRESENTE. Parlando di potere di stato come strumento di dominio,
le parole chiave sono tre: POLEMICA, TENDENZE, PRESENTE. Krauspenhaar
non ha voluto scrivere di fantascienza, perché ciò di cui racconta
esiste già nel presente. Le sette sataniche sono presente. L'uso di
droghe è presente. La coercizione delle menti è presente. Non
polemizza con il potere, non riconosce una tendenza, non c'è
un'utopia mal realizzata, parla di un futuro che in realtà è già
presente. Potrei persino azzardare che forse, in fondo, pur
soffrendone, gli piace, ci si trova a suo agio, ci sguazza, sia lui
autore, che il suo personaggio (che è un po' se stesso). Si coglie
anche dalla copertina, di un giallo malato perché abbastanza
offuscata nei toni e acida, direi azzeccatissima.
Quando parlo di fantascienza distopica,
essendo avvenuta la mia nascita letteraria nel cinema (fui
sceneggiatrice a metà degli anni Novanta), emergono spontaneamente
immagini di film come STATI DI ALLUCINAZIONE, BLADE RUNNER, BRAZIL, MINORITY REPORT, THE TRUMAN SHOW, che hanno effettivamente alcuni
elementi in comune con il BRASILIA del Krauspenhaar, come l'utlizzo
di sostanze chimiche per la gestione delle menti e dei corpi, il
controllo della Società da parte di poteri cogenti, la manipolazione
di noi esseri comuni, ma in quei film esistono davvero utopie
distortamente realizzate, nel libro no.
Quindi, ciò che più conta in BRASILIA
è lo stile del Krauspenhaar, il sentire, il modo di comunicare
disagio, ma anche gradevoli immagini di sollievo, come quando,
descrivendo l'amplesso avuto con una donna sconosciuta, dice: “Il
delizioso triangolo, sotto, coi peli radi. Come se vi entrassi con
tutto me stesso, in un parto al contrario” un
movimento di woodyalleniana memoria.
“Ora che nel mio cuore un buco
enorme si era formato, e che quel buco l'aveva fatto mio padre con la
sua dipartita improvvisa, c'era come un ago e filo che suturavano
continuamente quel foro nel mio cuore, mentre la ferita subito dopo
si riformava, e così quell'ago e quel filo riprendevano a suturare:
in tutto e per tutto, contro la mia volontà che voleva odiarlo,
quella sutura era Alhazi.”
“Dove sono diretto? Chiede il mio
petto, che ha voce e mente propria. Attacca a parlare addirittura il
cuore, gonfiando il petto.”
“Era curioso: il cuore, sede di
ogni sentimento e centralina del corpo umano, se parlava diventava il
segno contrario di ogni genere di vita, la morte.”
Dicevo che, in definitiva, ciò che più
conta in BRASILIA è lo stile del Krauspenhaar, che prenderei
l'ardire di definire post- esistenzialista:
“A quanto pareva tutto tornava, la
vita era un viaggio che partiva da un inizio che diventava la fine,
un'ellissi del ritorno. Quando il sole apparì in tutta la sua
pesante crudezza, il suicidio mi tornò in mente come possibilità di
salvezza. Sarebbe diventato impossibile resistere, forse la salvezza
evitata poteva valere un gesto estremo che ridesse a tutta la mia
vita una dignità che stava perdendo” fino a chiudersi in uno
di quei finali bellissimi perché sospesi come la carta del Pendu dei
tarocchi marsigliesi, a conferma che è un bel finale a fare di un
libro la sua bellezza.
Consigliato agli amanti della
fantascienza distopica, agli esistenzialisti, a chi assume sostanze
stupefacenti per riconoscersi, ai figli che non hanno mai conosciuto
i rispettivi padri.
Il film https://altadefinizione.page/biografico/ dovrebbe disturbare lo spettatore come un sasso in uno stivale.
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