giovedì 21 maggio 2020

UNA CENERENTOLA A MANHATTAN di Felicia Kingsley

In perenne ricerca del meglio da cui apprendere l’Arte dello Scrivere, pericolosa e impegnativa perché richiede un altissimo senso della responsabilità verso lettori - i veri giudici influencers in assoluto - ed editori - prioritariamente imprenditori che considerano i libri meri prodotti da cui
ricavare guadagno - la Gloss approda a questo romanzo di facile lettura e dal successo inappellabile, quarto all’attivo di Felicia Kingsley. Appartenente al genere Chick lit di produzione anglofona, affermatosi più o meno a partire dagli inizi del III Millennio, dove chick è sinonimo informale per "ragazza" (chicken "pollastrella") e lit è accorciamento di literature ("letteratura"), si rivolge prevalentemente a un pubblico di donne giovani, single e in carriera. Quindi non alla Gloss, che si stanca immediatamente di queste vicende stereotipate. Eppure, così come nel romanzo di Jil Santopolo vi sono contenuti tutti gli ingredienti necessari al successo: scrittura lucida e brillante e piatta, unita a “giovanilismo alla Peter Pan” di un giovane rampollo della società bene, tanto intrigante e “spettinato pirata” quanto elegante e forbito, che si trasforma immantinente in impegnato in amore se si presenta nella vita una “Principessa con le palle”; a una ragazza orfana costantemente ammorbata da matrigna e sorellastre, povera derelitta, belloccia e pure intelligente; male abbigliata perché incurante della propria femminilità, ma che in occasione di una stratosferica festa si trasfigura in una figa galattica, che può solo indossare Louboutin e portare biondi capelli lunghi; all’amico modaiolo e gayo, suo chaperon; in definitiva, quando li percepisce così smaccatamente utilizzati, alla Gloss, (esperta in stereotipi di genere - vedi RINASCITE RIBELLI)  viene da rabbrividire e il romanzo per lei risulta repellente. Ma capisce che lettori ed editori vogliono proprio queste cose, perché gli uni vi si riconoscono e gli altri vendono. Prima o poi, se vorrà successo di lettori, anche la Gloss dovrà ripiegare su questi stilemi.
Consigliato a lettori dalle sinapsi semplici.

lunedì 18 maggio 2020

UOMINI CHE ODIANO LE DONNE di Stieg Larsson

Finché recensiva emergenti, la recensora manteneva un profilo incoraggiante, sebbene attento alle esigenze di editori (che sono imprenditori, quindi considerano i libri come meri prodotti da vendere)
e di lettori (che sono i primi giudici e che decretano il successo – o l'insuccesso – di un romanzo), ma da quando è tornata a recensire quei grandi tra i grandi – o presunti tali – selezionati per aver visto una propria opera trasformarsi in fiction, ha cestinato l'incoraggiamento e innalzato il livello di critica, prediligendo l'acidità da zitella incallita che le fu propria negli anni precedenti il 2018, anno in cui la vita finalmente si decise a farle conoscere le infinitesimali sfumature dell'Amore Vero. Così si spiega il suo rimandare da anni la lettura di questo romanzo facente parte della trilogia poliziesca Millenium di Larsson, decretata a livello internazionale caso editoriale di culto, avendo venduto milioni di copie. Di UOMINI CHE ODIANO LE DONNE addirittura fu realizzato un film. Ebbene, oggi che l'ha letto ha capito il motivo di tanto ritardo: forse perché esperto di organizzazioni di estrema destra e neonaziste, Larsson ha scritto contro le donne più di 600 pagine diluendo il plot con pedisseque descrizioni tecnicamente non indispensabili. La recensora non entra in merito alla qualità delle idee poliziesche, che hanno del genio, e nemmeno quelle nazifemministe, che meriterebbero una trattazione a parte, ma provenendo dall'esperienza cinematografica, nota che i due terzi del romanzo farebbero parte, fossimo nel mondo del cinema, della cosiddetta “bibbia dei personaggi” che mai appare nelle azioni se non di riflesso, per la scelte comportamentali e di linguaggio dei personaggi e che mai nessuno sceneggiatore riporterebbe in sceneggiatura. Insomma, la recensora si fa punto di onore l'aver finito un romanzo tutto sommato noioso, sebbene Daniel Pennac prescriva il diritto di recesso alla lettura da parte del lettore. Che Larsson avrebbe ampiamente meritato.
Nemmeno consigliato a quei lettori che prediligono addormentarsi a letto leggendo un libro, perché in questo caso, data la corposità dell'oggetto, l'unico beneficio sarebbe una perfetta frattura di setto nasale.

venerdì 1 maggio 2020

LE SVENTURE DELLA VIRTÙ (Justine) di Donatien Alphonse François De Sade

Nelle sue innumerevoli e tendenti all’infinito scorribande per le rigogliose lande della Letteratura, la recensora Stefi Pastori Gloss aveva volutamente sorvolato il Divin Marchese De Sade, per pudore, inimicizia, per eccentricità, non si sa. O forse un insieme dei tre sentimenti. Temeva non vi fossero contenuti altri da “quei libri da leggere con una mano sola”. In tempi di pandemia, invece, è arrivata a voler intendere di tutto pur di far trascorrere il tempo, così da scoprire l’alto tasso filosofico del romanzo in questione. Filosofia cinica e atea, principalmente. Quasi persino vi sia un redivivo Antico Testamento a far da suggeritore. Quasi a far da mentore ai vari Kafka, Nietzsche, Dostoevskij, Sacher Masoch, Mirbeau, Baudelaire, Lamartine. Quel temuto contenuto pornografico è tradotto in realtà con leggiadre allusioni ad alto tasso di erotismo, stemperato peraltro da filosofia oscura e avvilente, dove a guidare la mente del Lettore o della Lettrice è la sua stessa fantasia. Per il Divin Marchese, il suo stesso libro, attraversando le plurime sfortunate e umilianti peripezie di Justine, è pretesto e strumento di sfogo delle proprie pulsioni, sadiche per l’appunto e per giustificare la presenza di una Provvidenza Divina, seppur più e più volte smentita. 
Consigliato a lettori accaniti di “libri da leggere con una mano sola” convinti come la recensora  che l’unico vero organo erotico sia il cervello.