venerdì 1 maggio 2020

LE SVENTURE DELLA VIRTÙ (Justine) di Donatien Alphonse François De Sade

Nelle sue innumerevoli e tendenti all’infinito scorribande per le rigogliose lande della Letteratura, la recensora Stefi Pastori Gloss aveva volutamente sorvolato il Divin Marchese De Sade, per pudore, inimicizia, per eccentricità, non si sa. O forse un insieme dei tre sentimenti. Temeva non vi fossero contenuti altri da “quei libri da leggere con una mano sola”. In tempi di pandemia, invece, è arrivata a voler intendere di tutto pur di far trascorrere il tempo, così da scoprire l’alto tasso filosofico del romanzo in questione. Filosofia cinica e atea, principalmente. Quasi persino vi sia un redivivo Antico Testamento a far da suggeritore. Quasi a far da mentore ai vari Kafka, Nietzsche, Dostoevskij, Sacher Masoch, Mirbeau, Baudelaire, Lamartine. Quel temuto contenuto pornografico è tradotto in realtà con leggiadre allusioni ad alto tasso di erotismo, stemperato peraltro da filosofia oscura e avvilente, dove a guidare la mente del Lettore o della Lettrice è la sua stessa fantasia. Per il Divin Marchese, il suo stesso libro, attraversando le plurime sfortunate e umilianti peripezie di Justine, è pretesto e strumento di sfogo delle proprie pulsioni, sadiche per l’appunto e per giustificare la presenza di una Provvidenza Divina, seppur più e più volte smentita. 
Consigliato a lettori accaniti di “libri da leggere con una mano sola” convinti come la recensora  che l’unico vero organo erotico sia il cervello.

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