lunedì 29 gennaio 2018

LAMPI D'ABISSO

Approccio questa silloge come sempre senza aspettative né preconcetti: non conosco l'autore, né la sua biobibliografia. La copertina mi lascia una impressione bipolare. Mi piace/Non mi piace. No no, non mi piace. Però... Sono sincera: fosse dipesa la mia scelta dalla copertina, non avrei comprato questo libro. Eppure, quel tuffo di schiena in un'acqua non acqua, il vortice, la discesa agli inferi. No. I colori grigiastri, la carta brutta, il lettering che più che old style, è brutto, il titolo troppo in alto, nel punto meno leggibile, almeno secondo i canoni della comunicazione. Il logotipo e il marchio della casa editrice, pur essendo equilibrati e correttamente proporzionati rispetto gli altri elementi della copertina, è del tutto indecifrabile: un errore madornale anche per il fruitore più disattento, figuriamoci per una ex grafica come me. Mi decido di non decidere, se non dopo la lettura del contenuto.

Fin dalle prime battute, avverto forte l'ispirazione dannunziana, densa di parole appartenenti a piani sensoriali diversi, “preghiere d'oro”, “prati blu di spirito”, “voce di una rosa”, “vento d'oro”, “idrogeno d'oro”, “il verde esploso negli occhi”, “in bionde cascate”, figure retoriche che fanno il verso alla sinestesia. La conferma del dannunziano mi arriva con la poesia CANCELLO SEGRETO, in cui il Galluccio sembrerebbe citare LA PIOGGIA NEL PINETO “l'iride è disciolta in piogge nere nei pineti.”

Qua e là, anche ispirazioni ermetiche, “Basta seguire i selciati di San Tommaso”, “illuminando verità / che senza sapere già so”, “SOLLIEVO / Piogge d'oro! / furioso forzai / la verginità della luce.”, “RICICLO / Freddo d'invero / Arsi le illusioni / tra spazi d'ombra.”, “ISTANTE / Il futuro lancia i cenci nella cesta del presente / L'indosso in corsa su un treno d'immagini / Sono vestito per la vita.”, fino ad arrivare a Marinetti e il suo futurismo (che riporto integralmente, cercando di imitarne la speciale composizione spaziata e cadenzata, mi perdoni l'autore se non riesco a riprodurla fedelmente. Tuttavia lascio volutamente le minuscole dove sarebbero necessarie le maiuscole, perché suppongo l'autore le abbia scritte così):

L'OROLOGIO GLOBALE AD PERSONAM
FLASHBACK PROGRESSIVO
{
FLASHFORWARD >> Evoluzione inconscia
FLASHBACK
>> Vedi sopra
CLICK!CLICK!
L'orologio martire e obbligato sul polso
dell'uomo
funambolo relativo su fili dimensionali
Smaterializza l'ora già segnata
l'ora da assegnare
a verbi come rondinelle d'aura sospese
a migrare confuse e nidificare sul bello
Ed è tutto certo! all'uomo collezionista di micro-gioie
come coscienza empirica
Ed è tutto certo! all'uomo sul baric'ENTRO smate-
rializzandosi-in-dosi(eco)
nel vuoto incerto generatore DENTRO.
}

A parte qualche incertezza di battitura (un'eco considerata come fosse maschile, un né e un così senza accento) dove non addirittura un Editor, ma anche solo un modesto grafico avrebbe potuto intervenire, da quando ho ricevuto il “manuale di stile” della casa editrice che forse stamperà la mia prossima raccolta di racconti contro un uso scorretto degli stereotipi, individuo subito banali errori di virgole mal posizionate, virgolette caporali a casaccio, a volte singolarmente, a volte doppie, di apici al posto di apostrofi, elementi che risultano fastidiosi alla godibilità del testo.

Se copertina e mancanza di applicazione del “manuale di stile”, tolgono punti alla poesia del Galluccio (se solo risiedesse su GoodReads, ciò avrebbe significato due stelline in meno), a lui va in ogni caso il mio apprezzamento. Mi fossi fidata solo della copertina e non della mia naturale curiosità, avrei perso della buona poesia. Tre consigli per crescere, se il Galluccio li accetta: affidi la copertina ad un buon illustratore lasciando quel soggetto, riveda il titolo che non rende merito al contenuto, perché troppo ridondante rispetto alle poesie, nella bio in quarta di copertina faccia riferimento ai poeti suoi ispiratori. Per inciso, ma nemmeno poi tanto, nel cercare la copertina su Internet, ne trovo praticamente una identica, ma impaginata secondo canoni grafici efficaci , ovviamente di altra casa editrice nonché altro autore. Un tale livello di improvvisazione nell'editoria italiana mi rattrista. Il giorno che il Galluccio ne stamperà la seconda edizione con copertina altra, volentieri aggiornerò anch'io.


Consigliato a chi crede che la poesia sia morta con D'Annunzio, Ungaretti, o Marinetti per ricredersi, a chi crede nei giovani (scopro solo nei ringraziamenti che il Galluccio ha solo ventitré anni), a chi crede che la poesia debba essere necessariamente refrattaria a banalità cuore amore.

domenica 28 gennaio 2018

NON PIANGERE

In una giornata di splendido sole tutto appare più bello. Oggi però nevica, quassù sulle Alpi dove vivo da ormai più di due anni. Ma sebbene tutto potrebbe scivolar nella tristezza, sfumata tra gli infiniti toni di azzurro e grigio delle nevi, io sorrido. Quando leggo una cosa buona, infatti mi sento soddisfatta. NON PIANGERE è un libro erotico molto forte che non usa lessico volgare, né immagini ginecologiche per descrizioni di bassa lega, ma solo luminose parafrasi, che merita di essere segnalato assieme ai primi due davvero ad alto gradimento finora letti fra le decine pervenutemi del genere erotico,  IL CLITORIDE CATARO di Leda Gheriglio e LA PASSIONE DI ORNELLA di Nina Vanigli. Trovo incomprensibile che NON PIANGERE non appartenga alla collaudata scuderia del Daniele Aiolfi e la sua casa editrice EROSCULTURA.

Recepisco questo eBook via e-mail a cui rispondo per gentilezza di non essere in grado di garantirne la lettura immediata, essendo stato preceduto da parecchi altri. Ricevo una risposta telegrafica dall'autrice Francesca Petroni che mi lascia impietrita, come provenisse da una Mistress. Brava, mi tenta a tal punto che ne inizio immediatamente la lettura. Evito di conoscerne il genere di appartenenza, perché trovo in generale le etichette ingombranti.

La narrazione debutta con una serie di versi della canzone dei Guns&Rose's che dà il titolo al romanzo. Leggere la sorta di sintesi in quarta di copertina mi fuorvia: sembra un racconto tra l'adolescenziale e il mistero. Invece. Ecco perché imploro sempre gli autori di non aggiungere informazioni al pdf: voglio lasciarmi sorprendere dalla storia così com'è, non perché mi sono state create aspettative. Pazienza. Evito appositamente di vederne booktrailer e note biografiche dell'autrice. Ma so che il libro è autopubblicato, il che mi mette un po' in allarme, avendone letti in precedenza con errori grammaticali, lessicali, di periodo, persino di mancanza di Editor. E, a lettura finita, questa volta devo ammettere che sono io la prevenuta.

La protagonista femminile è una ventenne neodiplomata, Noemi, che viene tratteggiata come una brutta anatroccola abbastanza sfigata e imbranata, ma indomita, con una tecnica inusuale, quella di narrare con il TU. A causa di plurime crisi familiari (morte del padre, madre non danarosa, fratello studente disoccupato), Noemi è costretta a lavorare in un bar notturno. Ma è proprio qui che inizierà la sua storia salvifica, senza che lei stessa se ne renda conto, almeno sulle prime, incontrando Marco, docente universitario dal fascino oscuro e perverso. È un romanzo che affida il suo dipanarsi al progresso evolutivo dei due protagonisti, dove l'uno apprenderà ad amare davvero la vita e le persone, e l'altra capirà che la linea di separazione tra piacere e dolore non è così netta. Assieme arriveranno ad apprezzare che la sofferenza va accolta e combattuta, se non si vuole lasciarsi distruggere. Il loro è un rapporto squisitamente BDSM (“E niente. Alla fine lo fai. Tiri fuori la lingua e lecchi il pavimento. In quel momento, tutte le tue resistenze crollano. La tua mente stacca il controllo e la tua razionalità si ritira in un angolo. Quella sensazione di abbandono, che hai avuto quando la prima volta ti sei inginocchiata davanti a Marco, torna ad accoglierti tra le sue braccia. Ti lasci andare, dimenticando regole, convenzioni, giudizi.”) senza che mai la definizione sia utilizzata (un altro applauso all'autrice), durante la descrizione del quale si è portati a pensare che solo quello sia vero amore: “perché se l'amore non è quello, allora l'amore non esiste”. Qua e là, tocchi di ironia rendono più leggiadra la drammatica storia: “Meglio evitare di pensarci, però, altrimenti va a finire che morirai consumata dai tuoi stessi succhi gastrici” “E ora usciamo, prima che io scivoli via assieme all'acqua.”

Brava ancora la Petroni quando con pochi telegrafici tocchi, rende il sentire psicologico della sub, parlando dei suoi abiti dismessi: “Sono sporchi di solitudine, delusione, sofferenza, resa.” o della differenza che intercorre tra il rapporto di Marco e Noemi rispetto ai cosiddetti “normali”: “Tutte le altre persone stanno guardando il telegiornale a quell'ora, immerse nella quotidianità, nei giorni che passano veloci, gli uni uguali agli altri. Invece tu sei lì con lui e riesci quasi a sentirlo sulla lingua il sapore dell'esistenza”.“E tu riesci solo ad annuire, mentre lui ti spinge contro di sé, e si prende la tua bocca, il tuo corpo e la tua anima.”“Hai l'impressione che i limiti delle tue sensazioni si facciano labili. È puro smarrimento. L'infinito è a un passo e tu ti sei già persa dentro di esso.”

O quando descrive l'utilizzo del corpo della sub Noemi, etero, che non ha nemmeno mai sognato di avere rapporti lesbo, in guisa di piatto per Marco e una Mistress: “Da quel momento il tuo corpo diventa il loro piatto. E, alla fine, tu devi ringraziare il ghiaccio che hai tra le gambe, se non sei ancora impazzita.”
Talvolta, l'autrice cita con cognizione di causa filosofi che hanno cavalcato la storia giungendo fino a noi con le loro teorie, da filosofa qual sono resto affascinata quando Marco disserta circa l'impossibilità di cogliere la verità da parte della mente umana, anche attraverso strumenti unanimamente ritenuti infallibili come le Scienze Esatte o la Filosofia o quando Noemi si interroga circa la vanità della vita: “Hai perso entrambi gli uomini della tua vita e a volte fai ancora la sciocchezza di chiederti perché. Ma poi ti rendi conto di quanta arroganza ci sia in quella domanda. L'universo non pensa a te, non sei niente di fronte alle infinite possibilità che possono riguardare la tua esistenza.”

La vera drammaticità della narrazione scaturisce con la confessione di Marco a Noemi della sua malattia mortale: “Quanto tempo? Riesci a chiedere. Un anno, nella migliore delle ipotesi”.
Nove mesi e un sopraciglio spaccato dopo, il colpo di scena da Happy End, che ha a che vedere con la frase pronunciata da Marco: “Odio i ragni.”

Non credevo di essere così potente.” è l'affermazione di una sub che conferma ciò che da sempre è risaputo nella dualità Master e sub: i sub sono tutt'altro che sottomessi, hanno il potere nelle loro carni di dominare la mente dei loro Master.
È giunto per me il momento di leggere la Bio di Francesca Petroni, che conferma il mio sospetto: studia Filosofia all'Università di Roma Tre, ed ha già pubblicato diversi romanzi. Le dedico il mio apprezzamento incondizionato, per la proprietà di linguaggio, per l'arguzia di sottili osservazioni psicologiche nel rapporto di coppia, per il coraggio di aver pubblicato con il suo vero nome. O Francesca Petroni è lo pseudonimo di una sub? La quinta stellina su GoodReads se la guadagna grazie all'elegante copertina. Su questo sito, però, non è presente la copertina vincente.

Consigliato agli innamorati dell'Amore, agli appassionati delle storie lacrimevoli ma senza le smancerie del cult movie Love Story, ai curiosi di sadomaso leggiadro seppur deciso.

martedì 23 gennaio 2018

L'INSANA IMPROVVISAZIONE DI ELIA VETTOREL

Se potessi tirar fuori mia madre dalla tomba, le strapperei le ossa e la ucciderei di nuovo. Joe Fisher. (Fischer, non Fisher: Joe Fischer è un serial killer, tuttavia non ho rinvenuto evidenze che si tratti della medesima persona)

Mi interrogo sull' “autrice” (ammesso che sia davvero donna, ma nutro dei dubbi, per come riporterà puntualmente le perturbazioni sessuali del protagonista maschio). Anemone, fiore di pianta perenne molto rustica e resistente, debolmente velenoso, o anemone di mare, animale bentonico dai tentacoli urticanti? Entrambe le scelte giustificherebbero lo stile della sua scrittura. Ledger come libro mastro, su cui annotare puntigliosamente ogni entrata ed uscita, o come quell'attore noto a causa della morte prematura per un cocktail di farmaci? Per l'andamento della storia, adatti entrambi.

Disseminata qua e là da errori legati al parlato, (dapprincipio, celebrale, e non cerebrale, un le al posto di gli, un gli al posto di un la, un occhi abbinato a un paonazzi in modo quanto meno inusuale), la maniacale, piccola e grandiosa storia orrorifica nelle prime pagine stenta a partire. L'andamento narrativo è fin da subito caratterizzato da un “avanti/indietro” nel tempo, tra i modi dell'orfanotrofio, quelli dello psicologo che segue il protagonista in età adulta, i momenti dell'abbandono da parte della madre vera, tecnica adottata con maestria dall'autrice.

Si profilano dunque le vicende di un settenne, Elia Vettorel per l'appunto, dai capelli rossi e lentigginoso, con tendenze auto lesionistiche, in orfanotrofio alle prese tra le ingiustizie perpetrate a suo danno da un bulletto, Marco, e quelle suore, che lui chiama madri, in sostituzione della sua vera mamma. La scoperta del significato della parola puttana in bocca al bullo nei confronti di una sua presunta madre vera in arrivo (che l'avrebbe potuto adottare), fa esplodere e reagire Elia contro le angherie di questo Marco, meritando il castigo delle sorelle. Tranne una, madre Sara, che impietosita dalla solitudine di quel bambino, in castigo da digiuno per due giorni, gli porta qualcosa da mangiare.

Lo scoprirà intento nella lettura di un giornale proibito nel “carcere dei bambini”, come lo chiama Elia, costringendola a desistere dall'intento di aiutarlo. Il bimbo è condannato alla ricerca del suo picaresco amico immaginario, Huckleberry Finn, che ritraeva coi gessetti sulla stanza oscura delle punizioni come per consolarsi e non rimanere solo, evidentemente desiderando emularlo nelle sue avventure perché come lui figlio di ubriaconi e come lui schiacciato da insopportabili convenzioni sociali. Parlando della scoperta della musica jazz, che Elia interpreta come improvvisazione, sembrerebbe a giustificazione di un certo suo drammatico gesto di cui il lettore rimane all'oscuro, dice: “In ogni caso, nemmeno disegnata avevo mai visto una tromba. Il sole la rivestiva di straordinaria lucentezza, e la mia mente di bambino credette che quell'uomo di colore tenesse in mano dell'oro. Fu quando cominciò a suonare che capii che l'oro, in realtà, si diffondeva nell'aria.” È uno dei rari momenti di poesia del racconto, il jazz torna svariate volte a definire certi stati d'animo del ragazzo in determinati momenti della sua vita. Aurora Vettorel è la madre vera che gli donò il cognome e l'orfanotrofio per proteggerlo da suo papà, Raffaele e che poi torna a prenderlo dopo qualche anno.

La mamma durante il viaggio, osservando una cicatrice sulla gota di Elia e scoprendo che gli fu inferta da uno ceffone di sorella Sara, lo redarguisce sulla vita: “Impara bambino mio, che nella vita quanto meno sai, meno subirai, quanto meno farai, meno le cose ti si ritorceranno contro.”

Improvvisamente un altro schiaffo, senza divisione di capitolo né paragrafi: la scena macabra del marito di Aurora, con lei incinta. L'uomo si accanisce su un bimbo, fino ad arrivare ad ammazzarlo. Scopriamo dunque il motivo per cui Elia venne abbandonato in quel carcere per bambini.

Più avanti, a poco più di un terzo della narrazione, quello che potremmo definire un colpo di scena, è più in realtà una sorta di nota a margine che il mio cervello da lettrice accanita registra e mette in un angolo delle sinapsi: la madre di Elia talvolta estrae da un cassetto appositamente chiuso a chiave un oggetto misterioso e riporlo nella borsetta, per poi al suo ritorno nasconderlo nuovamente nel cassetto.

Quindi un'altra scena shock: la mamma di Elia gli mostra una serie di piccole cicatrici sul proprio ventre, provocandogli un'erezione, ma anche smorzandogliela all'istante: “Sei stato tu.”

La scoperta da parte di Aurora dei loschi traffici del marito ci prende alla gola, dapprima convinta che si trattasse “soltanto” di droga con varie organizzazioni mafiose italiane, poi lo squarcio nella realtà: bambini rapiti con la complicità dell'organizzazione criminale. Lei: “Ti rendi conto di aver mentito su un fatto così importante? Ti rendi conto delle cose che tu fai?”
Lui: “Oh suvvia, sono bambini di capofamiglia mafiosi! Se lo meritano!”. Poi il cassetto, l'oggetto misterioso che altro non era se non un'arma (sapremo solo più avanti a cosa fosse servita e a cosa servirà ancora), i ritagli di giornale che parlavano di sua madre assassina del padre e la mazza della madre che quasi lo ammazza. Quasi ammazza un Elia troppo curioso. Un Elia che diventa assassino a sua volta della sua pseudo fidanzata. Brava l'autrice a raccontare l'abisso di una mente umana quando sconfina nella pazzia.
Otto colpi di pistola. Poi altri due. Chissà se essite davvero un'arma con dieci colpi, nella mia ingoranza anti violenta ne ho googlate solo da otto.

Se solo avesse avuto qualcuno che lo avesse potuto abbracciare, in quegli attimi, Finn se ne sarebbe andato con il sorriso e tutto sarebbe tornato alla normalità.” Il finale a sorpresa che vorrei per ogni romanzo: brava Anemone, chiunque tu sia.

Consigliato ad adolescenti in avanzato stato di decomposizione, agli eterni Peter Pan dell'horror, a cercatori di emozioni non scontate.

martedì 16 gennaio 2018

IL MIO MIGLIORE AMICO E ALTRE STORIE

Avrei intitolato il primo della raccolta di racconto L'AMICO RITROVATO se non fosse già stato utilizzato da un grande del passato, Fred Uhlman (e di oggi: certa letteratura si fa per se stessa eterna) e credo che anche l'autore, Fabio Angelino, abbia desiderato la stessa cosa, visto che lo cita ben sette volte, come pure per ben sette volte cita quello che è l'autore preferito di suo nonno: Hemingway, cui fisicamente somigliava persino. Narra di come l'undicenne protagonista, dai genitori in crisi matrimoniale, si riavvicini al nonno paterno grazie ad un escamotage del nonno stesso: suggerirgli la lettura del suo romanziere preferito, Hemingway per l'appunto, facendogliene trovare “casualmente” una selezione sul tavolo.

La vita della famiglia era stata sconvolta dalla morte del fratellino del protagonista, come scrive meditabondo:“Mio fratello era morto. E con lui anche i miei genitori. Non sarebbero più stati gli stessi”.
Se c'è un aggettivo che qualifichi Fabio Angelino e la sua scrittura, direi proprio meditabondo, ne riporto qualche esempio:
“ … le cose tristi servono. Servono a farti apprezzare maggiormente le cos felici che ci circondano e di cui a volte non ci accorgiamo.” , “Siamo fatti così, abbiamo bisogno di essere accettati o, almeno, credere di esserlo.” , “Le conversazioni, per essere oneste e buone, hanno bisogno di parole quanto di silenzi.”, “Piuttosto soffri la solitudine, ne uscirai più forte e sarà più facile capire chi sono le persone che meritano di starti accanto.” , “In fondo, per un motivo o per l'altro, siamo sempre distratti e fatichiamo ad accorgerci della bellezza che ci circonda.”, “Saggezza? È facile essere saggi, dopo una vita di sbagli.”, “A volte dovremmo prendere proprio i nostri cari e abbracciarli, e sussurrarli all'orecchio quei ti voglio bene che sembrano banali, ma che in fondo, sono un prezioso carburante per il motore della felicità.”.

Interessante le sue considerazioni sul mostrarsi, o meno, debole da parte di un uomo, si direbbe persino d'impronta anti maschilista e comunque avverso agli stereotipi di genere, come ne ho scritto in STANDING OVULATION: “Perché, come tutti gli uomini, preferiva apparire forte e coraggioso, e com'era stato bello aiutarlo a capire che scoprirsi deboli, a volte, aiuta a sentirci più vivi e non ci sminuisce affatto.”

Un difetto soltanto: “... orologio a dondolo...” Non sapevo potesse esistere un orologio a dondolo. Solo quello a pendolo.

Il nonno, dopo la sua morte, rivelerà al nipote in un biglietto infilato proprio tra le pagine del famigerato libro, letto soltanto in età matura: “Sperando che tu riesca a comprendere il mio gesto, così coraggioso eppure così debole, ti ricordo che la salvezza sarà sempre nascosta tra le pagine dei libri, starà a te scegliere da quale penna farti condurre.” Con la lettera d'addio al nipote di un nonno morto sulle orme di Hemingway, finisce così il primo racconto che ha il sapore e il ritmo di un romanzo breve. Bravo Angelino.

CORDE È il secondo racconto, che sembra esordire con la narrazione di un suicidio. Tutti gli elementi della scena lo fanno pensare: la descrizione di un volto giovane precocemente invecchiato e mesto, l'opacità delle iridi, lo sguardo che sale al soffitto in legno che presenta una trave grossa distanziata dal culmine mezzo metro. Si direbbe che qualcuno stia prendendo le misure. Poi, il rovesciamento, abile tecnica letteraria per disorientare il lettore: quel mesto protagonista sta sì salutando gli amici e affidando il cane alla ex, ma si dice indirizzato verso il roseo futuro di un cantante agli esordi. Invece. La faccenda si risolve in poco più di venticinque pagine.

DUE VECCHI AMICI Il terzo racconto mina un po' il mio entusiasmo: se nel primo avevo notato un paio di errori nell'attribuzione di articoli determinativi (subito sviata dall'equivocità della frase che non ne permetteva la scelta), in questo c'è un GLI (articolo) al posto di un LI (pronome). Ve lo lascio trovare. “Non pensavo che l'amicizia potesse perdurare così a lungo, non pensavo che potesse ressitere tanti anni al silenzio e a quell'indifferenza.”

IL GERMOGLIO DI UN AMORE “Chi non è mai stato innamorato, li avrebbe presi per due incoscienti.” Li e non GLI, qui è tutto perfetto. Comincio a credere che, quella di prima, sia stata la distrazione del correttore di bozze.

IL NUMERO CHE VOLEVA ESSERE UNA LETTERA Come convincere uno ZERO che voleva essere una O: “Accettarci. Penso che tutto sarebbe più bello se solo accettassimo i nostri limiti. E non sto parlando di matematica.” Bella metafora ironica del nostro vivere umano, gradevole tecnica narrativa, anche se non eccelsa: bravo Angelino

LA SOLITUDINE DI UN VECCHIO BASTARDO, LO SCRITTORE, PECCATO E MORTE, SULLA SPIAGGIA, (dove continuano a susseguirsi le indecisioni tra LI e GLI: allora la responsabilità è dell'autore, ma anche della disattenzione dell'Editor), TI AMO ANCHE SE NON SO COS'È L'AMORE sono in sequenza gli ultimi brevi racconti da cui si desume soltanto l'estrema sensibilità dell'autore, niente più. Diciamo che, come accaduto altre volte, se l'editore o il direttore di collana avesse potuto decidere l'ordine dei racconti all'interno del libro stesso, lasciando per ultimo quello che invece è stato proposto per primo, al lettore sarebbe rimasto in bocca il sapore della soddisfazione. Così, invece, gli resta solo il gusto d'incompletezz, come mi accadde per BORIS LO STRANO CASO DEL MAIALE GIALLO https://leggolibrifacciocose.blogspot.it/2017/11/boris-e-lo-strano-caso-del-maiale-giallo.html. Suggerirei, anzi, di pubblicare solo IL MIO MIGLIORE AMICO che ha il tenore di un romanzo in sé.

Consueta annotazione mia sulla copertina, che, come già si sa, ritengo venda l'opera in sé: efficace e sintetica, Un'altra stellina meritata su GoodReads. Sarebbero state cinque, se solo l'Editor avesse corretto gli errori.

Consigliato agli indagatori di grandi sentimenti (come l'amore per i nonni), a sentimentali dunque dal cuore tenero per scoprire che non esiste solo l'amore di coppia.

sabato 13 gennaio 2018

LA PASSIONE DI ORNELLA

... mentre lei fissava allo specchio il proprio volto dove lacrime di inatteso piacere avevano disegnato sul trucco vistose discromie.” Questa la chiusura del primo capitolo che mi ha subito coinvolta per intensità passionale, inoltre l'estrema proprietà lessicale, direi persino da filologa, mi esalta, perché imparo cose nuove, come dovrebbe accadere con la migliore letteratura.

Conosco l'autrice online, Nina Vanigli, grazie alla casa editrice EROSCULTURA di Daniele Aiolfi, amicizia comune, per le cui opere erotiche scrivo recensioni (CORDE di Sibilla Orifiammi, STUPIDE SCOMMESSE di Delia Deliu, e l'eccelso, imbattibile CLITORIDE CATARO di Leda Gheriglio). La Vanigli è una splendida donna dall'età indefinibile, che va oltre lo stereotipo della bella e oca. Entrambe filosofe, entriamo subito in sintonia, ma le prevengo di non rivelarmi nulla su ciò che scrive, com'è mia consuetudine quando recensisco. Suppongo abbia scelto argutamente di pubblicare sotto pseudonimo per due motivi:  siamo in Italia (leggi Vaticano), ha subìto come Ornella (attenzione: queste sono mere ipotesi mie). Di sé dichiara di essere cresciuta leggendo Anaïs Nin, Erica Jong, Harold Robbins e il Marchese de Sade e tanto mi basta per capirne la statura letteraria, oltre al fatto che dichiara di svolgere la professione di Editor.

Questo primo libro mi arriva via e-mail ieri, mi riprometto di leggerne solo un paio di pagine, tanto per capire com'è, avendone molti altri in lista d'attesa da recensire. Invece, in meno di un'ora lo finisco. Mi ha trascinata, letteralmente, forse perché da una decina d'anni mi occupo di donne maltrattate dai partner e questa PASSIONE DI ORNELLA altro non è che subire passivamente e costantemente le angherie del suo bellissimo uomo, che la usa, la maltratta, la vende agli amici, per i quali lei è mero buco da riempire con pochi spicci. Contrariamente alla buona letteratura. nessun personaggio evolve, tanto meno Ornella che cerca la salvezza, ma poi torna dall'angelo/diavolo biondo invidiata da tutte, ma solo perché inconsapevoli.

Era rimasta risucchiata in una spirale che le aveva anestetizzato l'arbitrio”Quante volte mi sono chiesta come sia possibile per una donna stare assieme ad un violento: l'autrice non solo ne fa un preciso ritratto, ma ne spiega le motivazioni, almeno quelle carnali.
Erano le volte in cui era stata particolarmente arrendevole e lui faceva l'amore con il cuore nel cazzo.” Pia illusione di tutte le donne innamorate di un maltrattante: gli uomini picchiatori non hanno il cuore nel cazzo. Non hanno cuore proprio, neppure empatia. Sono alessitimici.

Era come un contenitore, Ornella, che tutti quegli uomini riempivano di sperma e di fatica di vivere” Senza fiato, mi lascia senza fiato.
Alla fine del terzo capitolo cotanta violenza sul consunto “Tappeto di carne” di Ornella mi dà il voltastomaco, mi chiedo come sia possibile così poca dignità in un essere umano. Eppure. In un soffio lo leggo tutto, travolta dall'abiezione, ma anche dalla superba tecnica letteraria dell'autrice a cui va il mio applauso. Cinque meritatissime stelle su GoodReads, anche per la scelta fotografica della copertina, ma l'autrice e l'editore si ricordino di aggiornare meglio l'edizione da me proposta.

Un amore tossico come quello di Ornella è un amore senza scopo, senza progettualità, o, meglio, la cui unica progettualità riguarda le angherie in cui perdere dignità, in cui perdersi, annientarsi. Un amore come quello di Ornella (e come quello di tante donne che ho avuto il privilegio di conoscere nelle loro tremende storie di vita e di cui ho accennato in CORPI RIBELLI), suppone, anzi, spera che avere un uomo al proprio fianco significhi essere portata all'ascesi, alla salvezza da questa vita, normalmente fatta di gioie ma anche di sofferenza. Non c'è errore più grande. All'Ornella del romanzo e a tutte le Ornelle del mondo dico: andate sulle vostre gambe, senza uomini stampella. Verrà il momento in cui, voi/noi solide sulle proprie basi, ci ritroveremo un partner vero e amorevole al nostro fianco quando meno ce l'aspetteremo, che corre con noi incontro alla vita in tutte le sue sfumature.

Consigliato a chi ama il genere erotico perché vi troverà l'eccellenza, a chi sta vivendo un amore letale, uomo o donna che sia, per imparare a riconoscerlo, a chi desidera buona letteratura ma abbia in parallelo uno stomaco forte.


venerdì 12 gennaio 2018

LA RIBELLE

A tutti coloro che stanno versando sangue trasparente” già dice tutto sulle persone affette da una particolare sindrome psichiatrica.

Come sempre quando mi accingo a leggere qualcosa, non voglio sapere nulla in anticipo. Anche questo è il caso de LA RIBELLE, che, di primo acchito, immagino sia la storia di un'adolescente dai capelli rossi e ricciuti, contro tutto e tutti, come nei miglior stereotipi letterari quando si parla l'argomento della ribellione. Invece no, Carlo Filippo Borrello tratta una tra le più profonde ribellioni che si possano attuare nel vivere: quella contro se stessi, fino a morirne. A lettura ultimata, si ha come l'impressione che il protagonista Leonardo sia Carlo, ma ovviamente nulla lo lascia credere. Vero è, però, che quando un autore scrive, lo fa per un'urgenza: raccontarsi allo scopo guarire, perché la scrittura è terapia. Azzardo un'ipotesi che potrebbe anche rivelarsi errata: non a caso il Borrello ha scelto uno pseudonimo, Leonardo Guerriero, per scrivere questo libro, forse per prenderne le giuste distanze.

I capitoli si susseguono l'un l'altro intitolandosi alternativamente con il nome del o della protagonista (tranne in un caso: a due terzi del romanzo, un nuovo capitolo, il XXV dal titolo: ELISABETTA che perde un bimbo assieme alla perdita della fiducia nel proprio partner. Sarà perché ho ricevuto una versione definita dal Borrello stesso : “No editing”, ma onestamente non riesco ad inserire nel significato della storia.)

Nel Capitolo I LEONARDO si assiste a quello che sembra un incipit come altri, anche di una storia d'amore come altre, tuttavia è solo l'apparenza. C'è infatti una lei probematica. L'autore Carlo Filippo Borrello non ci concede di sapere quale sia il problema.
Al Capitolo II la curiosità viene soddisfatta. L'elemento femminile della coppia, Francesca, è vittima di un disturbo della personalità che la porta a desiderare e a infliggersi pratiche autolesionistiche fino al suicidio. Fino al capitolo V è la voce di Leonardo che parla, raccontando del preavviso da parte di un'amica psicologa di quanto i legami con questo genere di persone siano tossici. Poi dal VI tocca a Francesca che per svariati capitoli racconta della scoperta del suo “Disturbo della personalità Borderline a sfondo bipolare con tendenze autolesionistiche. Plurimi tentativi di omicidio.” Qundi, la narrazione del Minias, un farmaco che, pur di controllare questo disturbo, dà dipendenza. Fino al XII dove la palla passa ancora a Leonardo, ormai così coinvolto da farne ricerche per trovare eventuali conferme che se ne possa uscire. Leonardo si dibatte tra l'animo del crocerossino, da una parte, e dall'altra la consapevolezza della pericolosità di tali “iperboli emotive”, anche per se stesso, in quanto trova difficile controllare la voglia di rispondere con la violenza alle di lei aggressioni. Molto umanamente arriva a chiedersi “Poi, in fondo, chi ero io per giudicarti? Chi sono io per stabilire chi sia normale e chi no? Ma di quale normalità parliamo? L'essere umano ha un rapporto assai fallace con la parola “normale”, un concetto talmente astratto da dubitarne l'esistenza.” Son pensieri che fa chiunque se alle prese con persone delle quali si sta innamorando.

Leonardo propone a Francesca di affidare a carta e penna le sue sensazioni e i suoi pensieri, convinto, come me, dell'efficacia terapeutica della scrittura. Francesca accetta di buon grado e riempie le pagine di ricordi rivelatori: ritorna alla sua infanzia, a quando a cinque anni volle poter dichiarare PROPRIETA' PRIVATA un vecchio albero reperito durante una delle sue improvvide passeggiate solitarie nei boschi. La madre glielo vietò, castrando per la prima volta il suo desiderio di crescita. L'enuresi in classe per la paura di affrontare un esame, le scenate tra mamma e papà, vissute con annichilente senso di colpa, l'imbarazzo davanti all'amante del padre, una volta inviata dalla madre assieme al fratello a casa sua, la rivelazione per Francesca da parte della madre stessa di essere frutto di un concepimento non voluto, il pestaggio a sangue da parte del padre a dodici mesi di vita con la madre indifferente che, senza bloccare il marito, alla figlia oggi si giustifica dicendo: “altri tempi, altri tempi...”, un matrimonio fallimentare con suocera castrante (ancora!) e marito mammone,“Tu sei un debito a vita, Francesca” da parte della madre al momento della separazione di Francesca, imputandole così una nuova colpa, fino ad arrivare a scrivere in quella sorta di diario doloroso l'ammissione di totale colpevolezza: “Non ero riuscita a salvarlo - (l'albero da tutelare perché tagliato via, non avendo potuto mettere il cartello PROPRIETA' PRIVATA) -, non ero riuscita a difendere il mio matrimonio, non riuscivo a difendermi da me stessa.”
Nessuno sarebbe sopravvissuto a tale massacro materno. Eppure.

Epilogo
Francesca tu non sei nata borderline, tu sei stata maltrattata e abbandonata oltre ogni limite umano, soprattutto da tua madre (…) Con le tue forze effimere hai tentato di ribellarti, ma l'unica forma di ribellione della quale hai potuto è stata quella di tentare di rivolgere l'arma verso te stessa.” conclude l'autore, come avviando un confronto tra coloro che convivono con il disturbo e chi invece manco sa cosa sia.

In chiusura, qualche pagina di testimonianze dirette da parte di persone affette dal disturbo, iscritte in un gruppo di auto-mutuo-aiuto su Facebook: un superconcentrato di umanissimi drammi affidati a poche righe, pur non rivelandoci mai il diretto coinvolgimento dello scrittore, del quale però si sente quanto abbia scritto di pancia.

Consigliato a genitori di figli malati, a persone con la sindrome da Disturbo della personalità Borderline e a chi sta loro vicino, che vivono così la loro geenna personale, a chi più in generale sia costretto a convivere con disabili fisici e psichici, perché un incoraggiamento empatico vale più di qualsiasi farmaco.

giovedì 11 gennaio 2018

BUONASERA (SIGNORINA)

È curioso come certi stereotipi riescano a determinare subito il climax di un romanzo. Fred Buscaglione regala il titolo a Davide Pappalardo, a sottointendere un determinato ambiente di gangster, almeno in Italia. Anzi, gangster bollito, Anzi, duramente. Anzi, hard boiled, che non sapevo cosa significasse fino a questo romanzo. So benissimo che non è la traduzione, ma consentitemi di essere un pelo ironica, almeno da introdurne dignitosamente l'autore, Davide Pappalardo, che infatti ne fa ampio utilizzo.


Se sin dalle prime righe si capisce il genere di un romanzo, significa che l'autore è uno di quelli bravi, che non indugia, che va dritto al suo obiettivo, che sa usare in modo corretto la lingua italiana nelle sue molteplici sfumature, in questo caso gialle a tinte fosche (e luride e puteolenti) nei palazzi della Milano bene 1970, dove avviene un omicidio tra personaggi non del tutto specchiati, tra wiskhy di contrabbando, gestione di belle donnine, spaccio di prime sostanze stupefacenti. L'autore ci introduce Libero Russo, una “merda umana” per usare il linguaggio a lui caro, dedita all'esercizio abusivo della professione, ovvero investigatore privato con una vita piena di ex: moglie, colleghi di polizia, amici e fratelli, in quello che oggi è in realtà uno dei quartieri più gettonati di Milano: l'Isola. Io avrei scelto corso Garibaldi, dove una nota casa d'angolo ospitava uno dei casini più frequentati, gestiti da mala d'epoca.

Mi avevano lasciato addosso una sensazione da domenica pomeriggio, quando la pioggia e la foschia sono dentro di te e ti accorgi che è tutto così futile e che ogni parte del tuo essere è infetta.”
La N blu delle Nazionali senza filtro: “Una nuvola grigia emerse dalle sue narici e anche il baccalà già cucinato ci restò secco.”
Il nominare del Bar dei Fratelli Basso in zona via Plinio mi fa rimescolare qualcosa: sono ancora innamorata del mè Milan, l'unico vero amore che abbia mai tradito in vita mia. Lui, l'hard boiled Libero Russo protagonista siciliano, e l'ex collega Marione Marella, pugliese, sono noti come “Le due Sicilie” in via Fatebenefratelli (i milanesi sanno bene cosa si trovi in quella via: la questura). “... pensai che figata poteva essere un hotel chiamato Guglielmo Hotel.” Esiste, caro il mio Pappalardo e si trova in provincia di Bergamo.

Un campionario infinito di scuse e pretesti autoindulgenti, come: “Di fatto tutto l'anticipo per i vecchietti e anche il supplemento che mi avevano dato a Natale erano finiti in alcolici. Meglio così che sperperare il denaro in futilità, no? E poi erano tutte spese per strumenti di lavoro. Per esempio, il cognac mi serviva per immergermi in un'atmosfera più francese. Da quando questi marsigliesi erano arrivati in Italia, erano stati solo guai...”, “Ogni cosa che facevo o toccavo, diventava fango. Ero il re Mida della merda.”, “Il fallimento arriva da solo. Sono i successi che devono essere illustrati, in pompa magna, per beccarsi applausi e complimenti. Per le cadute basta restare fermi.” sono solo alcuni esempi di disitima autocompiaciuta del bollito protagonista.

Il Pappalardo fa citare a Libero Russo, questo irregolare investigatore privato, Scerbanenco, ovvero Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, scrittore e giornalista italiano di origine ucraina, forse per conferire più verosimiglianza al suo inverosimile personaggio, che dell'autore culto afferma: “Non sembrava male.” Non sembrava male? Scerbanenco è forse il massimo autori di Noir italiani.

Ogni tanto gracchiavo “suonala ancora Sam” nemmeno fossimo in Casablanca.”

Hitchcock e LA FINESTRA SUL CORTILE del 1954. UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO del 1951, altra citazione teatral cinematografica.

Mi sembrava di essere in quel vecchio film di Kubrik. Come diavolo si chiamava? (…) Rapina a mano armata.” Che è del 1956. Dato che il romanzo è ambientato alla fine degli anni sessanta, qui mi scatta la curiosità di controllare la veridicità delle date, da vera cinefila qual sono. Non la si fa al Pappalardo.

Due guardiani in camice bianco mi accompagnarono all'uscita con carezze e pacche sulle spalle, magari un po' troppo vigorose. Furono così educati e attenti che mi ritrovai accanto al cassonetto dell'immondizia, forse sin troppo vicino a bucce di banana, pannoloni, carta sporca, resti di cibo avariato, dove dovevo giustappunto buttare delle cartacce.”

Il finale è piuttosto sorprendente, tra colpi di scena affidati agli ex colleghi e malinconia per un amore passato, affidato invece al loop di Buonasera (Signorina) del già citato Fred Buscaglione.

Ps. Per essere seri, non bisogna mai prendersi troppo sul serio.
Avevo già colto con piacere l'ironia di cui è disseminato il romanzo, ma l'affermazione del Pappalardo a chiosa dei ringraziamenti (che lui stesso definisce semiseri) mi conferma che gli scritti da me più amati devono contenerne un alto tasso, come è accaduto per David Foster Wallace e il suo VERSO OCCIDENTE L'IMPERO DIRIGE IL SUO CORSO, per la silloge poetica di Patrizia Pellegrino TANTO VALE SCRIVERE, o per Roberto Marzano in una delle sue raccolte di poesia M'ILLUMINO DI MENSOLE.
Nota sulla copertina, come sono solita fare: mi fossi dovuta lasciar guidare da lei per l'acquisto, non l'avrei comprato. Questo ha fatto perdere una stellina a Pappalardo su GoodReads.

Consigliato ai lettori di gialli hard boiled in vena di ironia, ai non appassionati di gialli, ma di Bukowski, (perché gli appassionati di gialli vorrebbero meccanismi meglio oliati e più congegnati di quelli di Pappalardo), a coloro che ritengono l'ironia (o meglio, l'autoironia) salvatrice del mondo.