È curioso come certi stereotipi
riescano a determinare subito il climax di un romanzo. Fred
Buscaglione regala il titolo a Davide Pappalardo, a sottointendere un
determinato ambiente di gangster, almeno in Italia. Anzi, gangster bollito,
Anzi, duramente. Anzi, hard boiled, che non sapevo cosa significasse
fino a questo romanzo. So benissimo che non è la traduzione, ma
consentitemi di essere un pelo ironica, almeno da introdurne
dignitosamente l'autore, Davide Pappalardo, che infatti ne fa ampio
utilizzo.
Se sin dalle prime righe si capisce il
genere di un romanzo, significa che l'autore è uno di quelli bravi,
che non indugia, che va dritto al suo obiettivo, che sa usare in modo
corretto la lingua italiana nelle sue molteplici sfumature, in questo
caso gialle a tinte fosche (e luride e puteolenti) nei palazzi della
Milano bene 1970, dove avviene un omicidio tra personaggi non del
tutto specchiati, tra wiskhy di contrabbando, gestione di belle
donnine, spaccio di prime sostanze stupefacenti. L'autore ci introduce Libero Russo, una “merda umana” per usare
il linguaggio a lui caro, dedita all'esercizio abusivo della
professione, ovvero investigatore privato con una vita piena di ex:
moglie, colleghi di polizia, amici e fratelli, in quello
che oggi è in realtà uno dei quartieri più gettonati di Milano:
l'Isola. Io avrei scelto corso Garibaldi, dove una nota casa d'angolo
ospitava uno dei casini più frequentati, gestiti da mala d'epoca.
“Mi avevano lasciato addosso una
sensazione da domenica pomeriggio, quando la pioggia e la foschia
sono dentro di te e ti accorgi che è tutto così futile e che ogni
parte del tuo essere è infetta.”
La N blu delle Nazionali senza filtro:
“Una nuvola grigia emerse dalle sue narici e anche il baccalà
già cucinato ci restò secco.”
Il nominare del Bar dei Fratelli Basso
in zona via Plinio mi fa rimescolare qualcosa: sono ancora innamorata
del mè Milan, l'unico vero amore che abbia mai tradito in vita mia.
Lui, l'hard boiled Libero Russo protagonista siciliano, e l'ex
collega Marione Marella, pugliese, sono noti come “Le due Sicilie”
in via Fatebenefratelli (i milanesi sanno bene cosa si trovi in
quella via: la questura). “... pensai che figata poteva essere
un hotel chiamato Guglielmo Hotel.” Esiste, caro il mio
Pappalardo e si trova in provincia di Bergamo.
Un campionario infinito di scuse e
pretesti autoindulgenti, come: “Di fatto tutto l'anticipo per i
vecchietti e anche il supplemento che mi avevano dato a Natale erano
finiti in alcolici. Meglio così che sperperare il denaro in
futilità, no? E poi erano tutte spese per strumenti di lavoro. Per
esempio, il cognac mi serviva per immergermi in un'atmosfera più
francese. Da quando questi marsigliesi erano arrivati in Italia,
erano stati solo guai...”, “Ogni cosa che facevo o toccavo,
diventava fango. Ero il re Mida della merda.”, “Il fallimento
arriva da solo. Sono i successi che devono essere illustrati, in
pompa magna, per beccarsi applausi e complimenti. Per le cadute basta
restare fermi.” sono solo
alcuni esempi di disitima autocompiaciuta del bollito protagonista.
Il Pappalardo fa citare a Libero Russo,
questo irregolare investigatore privato, Scerbanenco, ovvero
Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, scrittore e giornalista italiano
di origine ucraina, forse per conferire più verosimiglianza al suo
inverosimile personaggio, che dell'autore culto afferma: “Non
sembrava male.” Non sembrava male? Scerbanenco è forse il
massimo autori di Noir italiani.
“Ogni tanto gracchiavo “suonala
ancora Sam” nemmeno fossimo in Casablanca.”
Hitchcock e LA FINESTRA SUL CORTILE del
1954. UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO del 1951, altra citazione
teatral cinematografica.
“Mi sembrava di essere in quel
vecchio film di Kubrik. Come diavolo si chiamava? (…) Rapina a mano
armata.” Che è del 1956. Dato che il romanzo è ambientato
alla fine degli anni sessanta, qui mi scatta la curiosità di
controllare la veridicità delle date, da vera cinefila qual sono.
Non la si fa al Pappalardo.
“Due guardiani in camice bianco mi
accompagnarono all'uscita con carezze e pacche sulle spalle, magari
un po' troppo vigorose. Furono così educati e attenti che mi
ritrovai accanto al cassonetto dell'immondizia, forse sin troppo
vicino a bucce di banana, pannoloni, carta sporca, resti di cibo
avariato, dove dovevo giustappunto buttare delle cartacce.”
Il finale è
piuttosto sorprendente, tra colpi di scena affidati agli ex colleghi
e malinconia per un amore passato, affidato invece al loop di
Buonasera (Signorina) del già citato Fred Buscaglione.
Ps. Per essere seri, non bisogna mai
prendersi troppo sul serio.
Avevo
già colto con piacere l'ironia di cui è disseminato il romanzo, ma
l'affermazione del Pappalardo a chiosa dei ringraziamenti (che lui
stesso definisce semiseri)
mi conferma che gli scritti da me più amati devono contenerne un alto
tasso, come è accaduto per David Foster Wallace e il suo VERSO OCCIDENTE L'IMPERO DIRIGE IL SUO CORSO,
per la silloge poetica di Patrizia Pellegrino TANTO VALE SCRIVERE, o per Roberto Marzano in una delle sue raccolte di poesia M'ILLUMINO DI MENSOLE.
Nota sulla
copertina, come sono solita fare: mi fossi dovuta lasciar guidare da
lei per l'acquisto, non l'avrei comprato. Questo ha fatto
perdere una stellina a Pappalardo su GoodReads.
Consigliato ai
lettori di gialli hard boiled in vena di ironia, ai non appassionati
di gialli, ma di Bukowski, (perché gli appassionati di gialli
vorrebbero meccanismi meglio oliati e più congegnati di quelli di
Pappalardo), a coloro che ritengono l'ironia (o meglio, l'autoironia)
salvatrice del mondo.
A proposito di hard boiled, la frase “Due guardiani in camice bianco mi accompagnarono all'uscita (...)" ha un sapore vagamente alla Chandler.
RispondiEliminaGrande giallista e maestro dell'ironia, ingrediente essenziale.
Bella recensione!
Grazie Lukecats per gli apprezzamenti e per seguire il blog. Onorata davvero.
EliminaPensai anch'io a Chandler... Questo Pappalardo è da tenere d'occhio!