“A tutti coloro che stanno
versando sangue trasparente” già
dice tutto sulle persone affette da una particolare sindrome
psichiatrica.
Come sempre quando mi accingo a leggere
qualcosa, non voglio sapere nulla in anticipo. Anche questo è il
caso de LA RIBELLE, che, di primo acchito, immagino sia la storia di
un'adolescente dai capelli rossi e ricciuti, contro tutto e tutti,
come nei miglior stereotipi letterari quando si parla l'argomento
della ribellione. Invece no, Carlo Filippo Borrello tratta una tra le
più profonde ribellioni che si possano attuare nel vivere: quella
contro se stessi, fino a morirne. A lettura ultimata, si ha come
l'impressione che il protagonista Leonardo sia Carlo, ma ovviamente
nulla lo lascia credere. Vero è, però, che quando un autore scrive,
lo fa per un'urgenza: raccontarsi allo scopo guarire, perché la
scrittura è terapia. Azzardo un'ipotesi che potrebbe anche rivelarsi errata: non a caso il Borrello ha scelto uno
pseudonimo, Leonardo Guerriero, per scrivere questo libro, forse per
prenderne le giuste distanze.
I capitoli si susseguono l'un l'altro
intitolandosi alternativamente con il nome del o della protagonista
(tranne in un caso: a due terzi del romanzo, un nuovo capitolo, il
XXV dal titolo: ELISABETTA che perde un bimbo assieme alla perdita
della fiducia nel proprio partner. Sarà perché ho ricevuto una
versione definita dal Borrello stesso : “No editing”, ma
onestamente non riesco ad inserire nel significato della storia.)
Nel Capitolo I LEONARDO si assiste a
quello che sembra un incipit come altri, anche di una storia d'amore
come altre, tuttavia è solo l'apparenza. C'è infatti una lei
probematica. L'autore Carlo Filippo Borrello non ci concede di sapere
quale sia il problema.
Al Capitolo II la curiosità viene
soddisfatta. L'elemento femminile della coppia, Francesca, è vittima
di un disturbo della personalità che la porta a desiderare e a
infliggersi pratiche autolesionistiche fino al suicidio. Fino al
capitolo V è la voce di Leonardo che parla, raccontando del
preavviso da parte di un'amica psicologa di quanto i legami con
questo genere di persone siano tossici. Poi dal VI tocca a Francesca
che per svariati capitoli racconta della scoperta del suo “Disturbo
della personalità Borderline a sfondo bipolare con tendenze
autolesionistiche. Plurimi tentativi di omicidio.” Qundi, la
narrazione del Minias, un farmaco che, pur di controllare questo
disturbo, dà dipendenza. Fino al XII dove la palla passa ancora a
Leonardo, ormai così coinvolto da farne ricerche per trovare
eventuali conferme che se ne possa uscire. Leonardo si dibatte tra
l'animo del crocerossino, da una parte, e dall'altra la
consapevolezza della pericolosità di tali “iperboli emotive”,
anche per se stesso, in quanto trova difficile controllare la voglia
di rispondere con la violenza alle di lei aggressioni. Molto
umanamente arriva a chiedersi “Poi, in fondo, chi ero io per
giudicarti? Chi sono io per stabilire chi sia normale e chi no? Ma di
quale normalità parliamo? L'essere umano ha un rapporto assai
fallace con la parola “normale”, un concetto talmente astratto da
dubitarne l'esistenza.” Son pensieri che fa chiunque se alle
prese con persone delle quali si sta innamorando.
Leonardo propone a Francesca di
affidare a carta e penna le sue sensazioni e i suoi pensieri,
convinto, come me, dell'efficacia terapeutica della scrittura.
Francesca accetta di buon grado e riempie le pagine di ricordi
rivelatori: ritorna alla sua infanzia, a quando a cinque anni volle
poter dichiarare PROPRIETA' PRIVATA un vecchio albero reperito
durante una delle sue improvvide passeggiate solitarie nei boschi. La
madre glielo vietò, castrando per la prima volta il suo desiderio di
crescita. L'enuresi in classe per la paura di affrontare un esame, le
scenate tra mamma e papà, vissute con annichilente senso di colpa,
l'imbarazzo davanti all'amante del padre, una volta inviata dalla
madre assieme al fratello a casa sua, la rivelazione per Francesca da
parte della madre stessa di essere frutto di un concepimento non
voluto, il pestaggio a sangue da parte del padre a dodici mesi di
vita con la madre indifferente che, senza bloccare il marito, alla
figlia oggi si giustifica dicendo: “altri tempi, altri
tempi...”, un matrimonio fallimentare con suocera castrante
(ancora!) e marito mammone,“Tu sei un debito a vita, Francesca”
da parte della madre al momento della separazione di Francesca,
imputandole così una nuova colpa, fino ad arrivare a scrivere in
quella sorta di diario doloroso l'ammissione di totale colpevolezza:
“Non ero riuscita a salvarlo - (l'albero
da tutelare perché tagliato via, non avendo potuto mettere il
cartello PROPRIETA' PRIVATA) -, non ero riuscita a
difendere il mio matrimonio, non riuscivo a difendermi da me stessa.”
Nessuno sarebbe sopravvissuto a tale
massacro materno. Eppure.
Epilogo
“Francesca tu non sei nata
borderline, tu sei stata maltrattata e abbandonata oltre ogni limite
umano, soprattutto da tua madre (…) Con le tue forze effimere hai
tentato di ribellarti, ma l'unica forma di ribellione della quale hai
potuto è stata quella di tentare di rivolgere l'arma verso te
stessa.” conclude l'autore,
come avviando un confronto tra coloro che convivono con il disturbo e
chi invece manco sa cosa sia.
In chiusura, qualche pagina di
testimonianze dirette da parte di persone affette dal disturbo,
iscritte in un gruppo di auto-mutuo-aiuto su Facebook: un
superconcentrato di umanissimi drammi affidati a poche righe, pur non rivelandoci mai il diretto coinvolgimento dello scrittore, del
quale però si sente quanto abbia scritto di pancia.
Consigliato a genitori di figli malati,
a persone con la sindrome da Disturbo
della personalità Borderline e a chi sta loro vicino, che vivono
così la loro geenna personale, a chi più in generale sia costretto
a convivere con disabili fisici e psichici, perché un
incoraggiamento empatico vale più di qualsiasi farmaco.
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