venerdì 12 gennaio 2018

LA RIBELLE

A tutti coloro che stanno versando sangue trasparente” già dice tutto sulle persone affette da una particolare sindrome psichiatrica.

Come sempre quando mi accingo a leggere qualcosa, non voglio sapere nulla in anticipo. Anche questo è il caso de LA RIBELLE, che, di primo acchito, immagino sia la storia di un'adolescente dai capelli rossi e ricciuti, contro tutto e tutti, come nei miglior stereotipi letterari quando si parla l'argomento della ribellione. Invece no, Carlo Filippo Borrello tratta una tra le più profonde ribellioni che si possano attuare nel vivere: quella contro se stessi, fino a morirne. A lettura ultimata, si ha come l'impressione che il protagonista Leonardo sia Carlo, ma ovviamente nulla lo lascia credere. Vero è, però, che quando un autore scrive, lo fa per un'urgenza: raccontarsi allo scopo guarire, perché la scrittura è terapia. Azzardo un'ipotesi che potrebbe anche rivelarsi errata: non a caso il Borrello ha scelto uno pseudonimo, Leonardo Guerriero, per scrivere questo libro, forse per prenderne le giuste distanze.

I capitoli si susseguono l'un l'altro intitolandosi alternativamente con il nome del o della protagonista (tranne in un caso: a due terzi del romanzo, un nuovo capitolo, il XXV dal titolo: ELISABETTA che perde un bimbo assieme alla perdita della fiducia nel proprio partner. Sarà perché ho ricevuto una versione definita dal Borrello stesso : “No editing”, ma onestamente non riesco ad inserire nel significato della storia.)

Nel Capitolo I LEONARDO si assiste a quello che sembra un incipit come altri, anche di una storia d'amore come altre, tuttavia è solo l'apparenza. C'è infatti una lei probematica. L'autore Carlo Filippo Borrello non ci concede di sapere quale sia il problema.
Al Capitolo II la curiosità viene soddisfatta. L'elemento femminile della coppia, Francesca, è vittima di un disturbo della personalità che la porta a desiderare e a infliggersi pratiche autolesionistiche fino al suicidio. Fino al capitolo V è la voce di Leonardo che parla, raccontando del preavviso da parte di un'amica psicologa di quanto i legami con questo genere di persone siano tossici. Poi dal VI tocca a Francesca che per svariati capitoli racconta della scoperta del suo “Disturbo della personalità Borderline a sfondo bipolare con tendenze autolesionistiche. Plurimi tentativi di omicidio.” Qundi, la narrazione del Minias, un farmaco che, pur di controllare questo disturbo, dà dipendenza. Fino al XII dove la palla passa ancora a Leonardo, ormai così coinvolto da farne ricerche per trovare eventuali conferme che se ne possa uscire. Leonardo si dibatte tra l'animo del crocerossino, da una parte, e dall'altra la consapevolezza della pericolosità di tali “iperboli emotive”, anche per se stesso, in quanto trova difficile controllare la voglia di rispondere con la violenza alle di lei aggressioni. Molto umanamente arriva a chiedersi “Poi, in fondo, chi ero io per giudicarti? Chi sono io per stabilire chi sia normale e chi no? Ma di quale normalità parliamo? L'essere umano ha un rapporto assai fallace con la parola “normale”, un concetto talmente astratto da dubitarne l'esistenza.” Son pensieri che fa chiunque se alle prese con persone delle quali si sta innamorando.

Leonardo propone a Francesca di affidare a carta e penna le sue sensazioni e i suoi pensieri, convinto, come me, dell'efficacia terapeutica della scrittura. Francesca accetta di buon grado e riempie le pagine di ricordi rivelatori: ritorna alla sua infanzia, a quando a cinque anni volle poter dichiarare PROPRIETA' PRIVATA un vecchio albero reperito durante una delle sue improvvide passeggiate solitarie nei boschi. La madre glielo vietò, castrando per la prima volta il suo desiderio di crescita. L'enuresi in classe per la paura di affrontare un esame, le scenate tra mamma e papà, vissute con annichilente senso di colpa, l'imbarazzo davanti all'amante del padre, una volta inviata dalla madre assieme al fratello a casa sua, la rivelazione per Francesca da parte della madre stessa di essere frutto di un concepimento non voluto, il pestaggio a sangue da parte del padre a dodici mesi di vita con la madre indifferente che, senza bloccare il marito, alla figlia oggi si giustifica dicendo: “altri tempi, altri tempi...”, un matrimonio fallimentare con suocera castrante (ancora!) e marito mammone,“Tu sei un debito a vita, Francesca” da parte della madre al momento della separazione di Francesca, imputandole così una nuova colpa, fino ad arrivare a scrivere in quella sorta di diario doloroso l'ammissione di totale colpevolezza: “Non ero riuscita a salvarlo - (l'albero da tutelare perché tagliato via, non avendo potuto mettere il cartello PROPRIETA' PRIVATA) -, non ero riuscita a difendere il mio matrimonio, non riuscivo a difendermi da me stessa.”
Nessuno sarebbe sopravvissuto a tale massacro materno. Eppure.

Epilogo
Francesca tu non sei nata borderline, tu sei stata maltrattata e abbandonata oltre ogni limite umano, soprattutto da tua madre (…) Con le tue forze effimere hai tentato di ribellarti, ma l'unica forma di ribellione della quale hai potuto è stata quella di tentare di rivolgere l'arma verso te stessa.” conclude l'autore, come avviando un confronto tra coloro che convivono con il disturbo e chi invece manco sa cosa sia.

In chiusura, qualche pagina di testimonianze dirette da parte di persone affette dal disturbo, iscritte in un gruppo di auto-mutuo-aiuto su Facebook: un superconcentrato di umanissimi drammi affidati a poche righe, pur non rivelandoci mai il diretto coinvolgimento dello scrittore, del quale però si sente quanto abbia scritto di pancia.

Consigliato a genitori di figli malati, a persone con la sindrome da Disturbo della personalità Borderline e a chi sta loro vicino, che vivono così la loro geenna personale, a chi più in generale sia costretto a convivere con disabili fisici e psichici, perché un incoraggiamento empatico vale più di qualsiasi farmaco.

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