mercoledì 25 marzo 2020

LA GRAMMATICA DI DIO di Stefano Benni

Da parecchio tempo la recensora desiderava tornare a leggere Stefano Benni. Almeno da quando, un paio di anni or sono, una critica letteraria di seguìto periodico locale paragonò i suoi racconti allo stile di
questo autore. La scelta è caduta sulla raccolta LA GRAMMATICA DI DIO per puro caso, ma anche perché era una delle opere di Benni da lei mai lette. Il registro della raccolta si attesta subito su tre temi che rivelano tantissimo della personalità dell'autore. Solitudine, morte e dio, con la D minuscola, perché dialettica perdente per l’Uomo, ma soprattutto per la divinità una e trina. E l'innata ironia (o, meglio, autoironia) che fa vincente la produzione letteraria di Benni. Vincente almeno per la recensora. Ma il fatto che l'autore abbia finito per essere protagonista di svariate trasmissioni televisive, lo colloca parimenti tra i vincenti anche per molti dei pochi lettori italiani. Eppure, nonostante lo stile brillante, le trovate divertenti, pur sottilmente psicologiche, i confronti filosofici a volte tragicomici, sempre teatrali, sebbene senza pubblico, tra il protagonista di turno (che pare sia spesso il Benni stesso) e un elemento a lui esterno, non l'hanno portato ai fasti di Pirandello. Allora, una domanda sorge spontanea : per sopravvivere, cosa fa Stefano Benni. Senza punto interrogativo.

giovedì 5 marzo 2020

LA CASA DEGLI SGUARDI di Daniele Mencarelli

La qualità di un romanzo è evidente fin dall’incipit ed è confermata dal finale. L’incipit de LA CASA DEGLI SGUARDI appartiene a quelli che la recensora definisce fulminanti. E questo è tra i più apprezzati. L’autore utilizza il proprio nome e cognome per il protagonista, conferendo al romanzo quel carattere di “diario personale” che permette al lettore di
identificarsi immediatamente nell’eroe negativo, il quale però conoscerà il riscatto. Un vero e proprio viaggio di Nessuno in bilico tra perigliose avventure alcoliche e finestroni da nettare di un ospedale romano. Mencarelli ci propone momenti di letteratura fine di rara bellezza estetica e letteraria. Con la massima lucidità, senza sconti per nessuno, tantomeno per se stesso, visto che il lettore scopre essere proprio lui il protagonista, drogato di alcool, disoccupato, triste, anche se apprezzato poeta emergente. Deve solo credere di più in se medesimo. Riceverà l’opportunità di lavorare come addetto alle pulizie nell’ospedale Bambin Gesù, dove riuscirà a raggiungere una sempre più alta autostima solo confrontando la propria vita con quella dei ragazzini e ragazzine ricoverati in ospedale per le più crudeli malattie.In un secondo tempo, la recensora scoprirà che il romanzo, oltre ad essere stato premiato in prestigiosi concorsi letterari, è davvero autobiografico.
Presente in varie antologie poetiche e riviste letterarie, Daniele Mencarelli si occupa di Fiction per Rai 1.
Consigliato ad aspiranti scrittori e poeti perché imparino a trasformare la sfiGa in sfiDa.

FIDANZATI DELL'INVERNO di Christelle Dabos

A cosa serve un libro, se è scritto bene, ma risulta ampolloso e noioso? La quarta di copertina riporta l’entusiastica recensione de LE MONDE che convince la recensora alla lettura. L’immagine in prima di copertina NON è ‘frappante’ - espressione presa in prestito dal francese, visto che l’autrice
vien da là, e che significa NON suggestiva sorprendente notevole vivida (non esiste perfetta corrispondenza in italiano), ma è stata scelta dalla recensora solo perché rimandata a questo libro da un’altra copertina, più saliente, che sarebbe stato il terzo volume della quadrilogia  L’ATTRAVERSASPECCHI. Di fatto, meglio partire dal primo, allo scopo di capire il motivo per cui se ne sono vendute duecentomila copie solo in Francia.
Premesso che da Tolkien in poi, pur essendo ritenuto un capolavoro dei più, la recensora aborrisce le descrizioni minuziose puntigliose particolareggiate meticolose perché, oltre che a scadere nel cavilloso e barocco, non apportano nulla all’avanzamento del plot, quelle della Dabos sono troppo ampollose verbose e ridondanti per riuscire di gradevole lettura. 
Inoltre, in quarta di copertina, era riportata una piccola serie di note (sulla base delle considerazioni scaturite dalla lettura, a firma evidentemente dell’editore) che paragona FIDANZATI DELL'INVERNO alla fantasia e alle atmosfere di Philip Pullman, alla tormentata storia d’amore tra un misterioso uomo e una ragazza apparentemente impacciata di Twilight, all’azione politica dei protagonisti di Hunger Games, a Harry Potter per la ricchezza del suo magico mondo. Ebbene, pur essendo felice per la notevole consistenza del tomo, quindi una lettura che avrebbe promesso di essere più prolungata nel tempo dei soliti due giorni, la recensora non ha reperito nessuna delle quattro affermazioni. Anzi, mancava la noia di Moravia (che comunque non è mai noioso). Tutto troppo palesato e lapalissiano per avvincere una mente raffinata.
Non si spiega il motivo per cui FIDANZATI DELL'INVERNO abbia realizzato cotanta vendita se non con l’incapacità immaginativa dei lettori di oggi, che abbisogna di mondi precostruiti e di fuggire dalla realtà, che necessità di non utilizzare l’intelligenza di cui è dotato per intuire il plot, che è troppo impigrito dai Mass Media generalisti per indovinare una storia.
Perciò, la recensora ha esercitato il diritto di recesso previsto dagli imprescrittibili diritti del lettore di Daniel Pennac.
Consigliato alle persone di scarsa attitudine fantastica e fittizia, dallo spirito vago e invaghito da sostanza psicotrope per poter realizzare un’evasione dall’esistenza, senza la perspicacia del lettore incallito cui basta una parola, anche criptica, per scatenare un universo parallelo.

LA VITA BUGIARDA DEGLI ADULTI di Elena Ferrante

Elena Ferrante: un fenomeno letterario tutto italiano. Con tanto di fiction all’attivo che la consacrò alle sacre vette. Urge lettura per imparare sempre più, sempre meglio. Ancora e ancora. Il romanzo LA VITA BUGIARDA DEGLI ADULTI vede protagonista un’adolescente, Giovanna detta Giannì, che
si affaccia sul mondo dei “cosiddetti grandi”, per poi travasarvi il suo corpo e il suo spirito, pur con tutte le remore che la vita (bugiarda) degli adulti le hanno indotto. Almeno quanto la Ferrante stessa, che usa uno pseudonimo. Sebbene parli, attraverso uno dei suoi libri, raccolta di scambi epistolari con editori e lettori privilegiati, di “un desiderio di autoconservazione del proprio privato, un desiderio di mantenere una certa distanza e non prestarsi alla spinta che alcuni scrittori hanno di mentire per apparire come ritengono che il pubblico si aspetti”, la Ferrante appare troppo modesta: la modestia a volte è madre di ipocrisia.
Giannina, la protagonista del nuovo romanzo della Ferrante è tutt’altro che ipocrita: attenta osservatrice, della realtà che la circonda così come del suo sentire interiore, scopre quanto la rettitudine a lei insegnata dai genitori, da loro stessi non sia praticata. Il padre è amante della madre delle sue migliori amiche. La propria madre, invece, diventerà amante del loro padre. La sorella di papà, zia dipinta a tinte feroci sia da mamma che da papà, pare invece l’unica sincera della famiglia. Una sincerità pagata a caro prezzo, con la perdita dell’amore carnale e spirituale. Al centro, un braccialetto, che, a tratti, apparterrà prima ad una, poi ad un’altra ava e poi, chissà. A tratti farraginoso, decine di personaggi più o meno importanti al fine del plot, si affaccendano attorno a Giovanna, confondendo lei e il lettore. Già lo dichiara fin dalle prime pagine la Ferrante stessa: “solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione.” Senza redenzione. Giannina lo sa dall’inizio che la vita è senza redenzione. Di fronte ai tradimenti plurimi dei suoi stessi genitori e dei genitori delle sue amiche predilette, perde l’innocenza dell’infanzia, senza illudersi circa le modalità dell’amore. Sceglierà di non restare illibata, quella dote senza la quale i genitori le insegnarono si sarebbe persa del tutto come la zia, senza remore né sensi di colpa, ma anzi con appropriata e studiata scellerataggine. Copertina neutra, poco attraente, come neutra appare in superficie la vita di Giannì, pur avendo tempeste nell’anima. Libro ben scritto, ma non necessario.
Consigliato a chi vuol capire come assurgere ai fasti delle fiction: più che per meritocrazia, in Italia inesistente, con una buona spinta esteriore ai propri meriti.

mercoledì 4 marzo 2020

DOVE PORTA LA NEVE di Matteo Righetto

Corriere della Sera e La Stampa concordano nel definire una precedente opera del Righetto, intitolata APRI GLI OCCHI, come “delicata”, “profonda”, “che stupisce il lettore”, “essenziale”, narrata da una “prospettiva interiore”. Parole riportate in quarta di copertina di questo romanzo DOVE PORTA LA NEVE. Non avendovi reperito le citate caratteristiche, la recensora, illusa anche dalla

biobliografia dell’autore, pluripremiato, pluripubblicato da prestigiose case editrici, pluritradotto in pluripaesi, plurirappresentato in video, resta pluridisillusa. Lo stile del Righetto è effettivamente scarno, povero in vocaboli, povero in ‘dottità’ (un neologismo della recensora), povero di pagine e povero di personaggi, tagliati con l’accetta e numericamente pochi. Il tutto condito dalla creazione di un personaggio affetto da Sindrome di Down, protagonista assieme ad un vecchietto e alla propria madre ricoverata in ospedale per anzianità, tutti elementi che costituiscono una captatio benevolentia del lettore tra le più scorrette e sleali. Per concludere in bellezza, il Righetto ricorre perfino all’utilizzo di una incorreggibile resurrezione dei due coprotagonisti. Intollerabile beffare in siffatto modo il lettore che si affida totalmente alla finzione dell’autore.
Se non fosse per il sottile gioco ad incastri di memorie materne e di casuali coincidenze attuali, che porta al penultimo capitolo, quello sì “delicato e profondo”, la recensora boccerebbe in toto l’opera.
Consigliato a coloro che volessero studiare i meccanismi della narrazione in antinomia, a chi volesse leggere un romanzo in totale rapidità e senza speciali approfondimenti né spessori, spegnendo cervello e cuore.

lunedì 2 marzo 2020

I LOVE SHOPPING A NATALE di Sophie Kinsella

Un’altra delle cadute di stile della recensora consisteva nel non aver mai letto nulla della Kinsella che da una ventina d’anni stravende. Stravende e fa straridere chiunque si avvicini alle sue pagine scritte. Uomini e donne. E stracommuovere. La recensora dimenticava questa emozione straspeciale che rende strafigo un libro. Che ha un incipit da urlo, proprio di quelli strafulminanti come a suo gusto strapersonale, e uno strafinale stradelizioso, come si confà ad un romanzo di strasuccesso. Ora che ha finito gli STRA, la recensora può riassumere per sommi capi la vicenda

senza spoilerare. E’ Natale e la Kinsella, anzi, Becky (ma si ha come l’impressione che ci sia una sorta di sovrapposizione tra le due, diversamente ci si dovrebbe chiedere come farebbe la Kinsella a far sentire verosimili le avventure tragicomiche della protagonista tanto da permettere la perfetta identificazione di  ogni lettore e lettrice), dicevamo, l’autrice non si era ancora sperimentata con il periodo dell’anno più consono gli acquisti compulsivi. Che ora si traducono online, dato che la protagonista vive ormai isolata in campagna, con tanto di contaminuti di scadenza del carrello virtuale per rendere il compratore sempre più compulsivo, consentendo alla Kinsella di passare in rassegna ogni idiosincrasia, ogni barlume di speranza e di tragica certezza che si abbattono sugli shopper online, con grande divertimento ed emozione e qualche tragica impasse, subito risolta. E, visto il Natale, con grande carica di sentimenti. La tecnica narrativa è scorrevole, tale da consentire la lettura a chiunque abbia mai aperto qualcosa da leggere, sia esso un aulico libro, un drammatico quotidiano, un pettegolo periodico, un efferato manuale. Del resto, è evidente che la Kinsella non si sia prefissa l’obiettivo di acculturare i propri lettori, ma di intrattenerli con sano umorismo, autoironia e molta partecipazione sospirosa.
Consigliato ad aspiranti autori emergenti - come la recensora - in grado di farsi anche solo un briciolo di autocritica per capire che la creazione di valore non risiede solo nell’essere aulici e stradotti, agli aspiranti suicidi per comprendere che buona parte dei valori della vita risiedono nel proprio clan e nelle relazioni interpersonali, alle donne di famiglia che si sentono tartassate dalle atmosfere natalizie per accorgersi di non essere sole nell’affancendarsi festaiolo.