lunedì 29 agosto 2016

SPLENDIDO VISTO DA QUI

Di un'accanita lettrice come me, le antenne sono sempre ritte per ogni occasione di lettura si presenti. In uno sperduto paesino dell'Alta Val di Susa alle falde della località dove vivo, su una panchina noto un cestino di vimini con tanti libri. Non è abbandonato, il suo bordo sostiene il cartello BOOKCROSSING. Noto una copertina intrigante e il nome dell'autore, Walter Fontana, che mi dice qualcosa, ma lì per lì.

Visto, piaciuto, preso (il meta-linguaggio intermediario è dato dal posizionamento della panchina davanti ad un'Agenzia immobiliare). Stavolta ho trasgredito alla mia regola aurea, cioè di saltare le note biografiche, in quanto troppo curiosa di sapere perché il nome dell'autore mi suonasse conosciuto. Walter Fontana infatti non solo è già autore affermato di libri culto, come L'uomo del marketing e la variante del limone (che non ho letto, lo metto in nota), ma ha collezionato collaborazioni nel mondo dello spettacolo, dalla cabarettista Angela Finocchiaro al duo Ale e Franz, ad attori come Hendel, Bisio, De Luigi, Paola Cortellesi. Ha partecipato nella scrittura di sceneggiature cinematografiche per il trio Aldo, Giovanni e Giacomo.

Insomma, l'assioma: alla copertina di qualità si abbina SEMPRE un autore di qualità è ulteriormente confermato.

Ma... c'è un MA: il primo risguardo mi tratteggia un romanzo di fantascienza, che aborro. Panico? Boh... Ormai sono catturata dalle note bio del Fontana e non rinuncio a leggere. Non sono riuscita a smettere finché non mi è arrivata sotto gli occhi la parola FINE (che, per inciso, non c'è). Immagino sia previsto un sequel.

Un plot originale, personaggi che spiccano nella loro banalità o ottundimento, un minimo di ambientazione fantascientifica, ma senza esagerare, anzi: l'espediente di rivivere le nostre più amate epoche rassicura il lettore qualsiasi, come me, sono gli ingredienti che mi hanno tenuta agganciata al libro.


Consigliato a nostalgici dei Beatles (o erano i Pringles?), a spacciatori di illegali memorabilia, a chi ancora ricorda le consolles degli Ottanta e a tutti coloro i quali anelano alla libertà, senza saperlo.

mercoledì 17 agosto 2016

C'E' UN POSTO DA QUALCHE PARTE...

Di Roberto Anzaldi seguivo da un annetto il blog, annotazioni di vita quotidiana che non mi lasciavano gran che, lo ammetto. Per me, sceneggiatrice avvezza all'epurazione da aggettivi e avverbi, il suo stile di scrittura mi appariva un po' troppo lezioso e appesantito per approfondirne gli argomenti affrontati. Non ho mai commentato suoi post su Google+, mentre l'Anzaldi spesso condivideva miei estratti dal blog contro le violenze di genere.
Il nostro rapporto online si limitava a garbati ringraziamenti. Ultimamente, però, l'Anzaldi si era accorto delle mie attività di recensione libresca. Un paio di settimane or sono, condividendone una, mi fece con tatto notare che non avevo ancora recensito libri suoi. Mi scusai ammettendo la mia povertà, che mi induceva a preferire testi reperiti in biblioteca o donati dagli stessi autori, mentre i suoi erano (giustamente) in vendita. Io sono la prima a sostenere che il lavoro vada remunerato. Signorilmente, l'Anzaldi si scusò dell'indelicatezza, spedendomene due di sua firma in piego di libri al mio recapito per ottenerne la recensione.

Del primo, dal titolo: PREGO, NON CESTINARE, C'E' DENTRO LA MIA VITA non fui in grado di risalire alla data di pubblicazione, ma l'aspetto grafico della copertina mi lasciava presupporre che fosse antecedente al secondo. In seguito, mi accorsi che non avevo sbagliato: il secondo riportava anche la data di pubblicazione del primo, effettivamente antecedente. Liquido subito il primo come un coacervo di pensieri disordinati e scollegati, se non dall'impertinenza del titolo stesso. Lo stile di scrittura, lezioso per l'appunto, mai spontaneo, la spasmodica ricerca di un lessico fuori dall'ordinario, le reiterazioni pleonastiche, le numericamente infinite parafrasi, le ingiustificate elucubrazioni ripiegate su se stesse, mi stavano subito seccando. Il titolo mi aveva creato l'aspettativa di un'autobiografia, invece. Penso non sia definibile nemmeno come saggio, dico “penso” perché l'ho interrotto intorno alla trentesima pagina, ben oltre il limite previsto dall'Umberto Eco per selezionare i propri lettori. Finirà quanto prima nella bancarella di bookcrossing di un libraio della cittadina dove vivo, nella speranza che qualcun altro possa apprezzarlo in vece mia, perché so quanto costi il lavoro della scrittura.

Attaccai il secondo, il cui titolo invece è: C'E' UN POSTO DA QUALCHE PARTE... (scelta particolare, questa dei titoli narrati, come fossero opere cinematografiche della Lina Wertmuller). Per inciso, forse sono presuntuosa nel definirmi tollerante, ma se c'è qualcosa che non ammetto sono i puntini di sospensione nei titoli. Quindi mi armai di buona volontà per superare l'avversione e iniziai la lettura.
Il prologo non prometteva nulla di più rispetto al primo libro, ma qualcosa mi stava dicendo di continuare, non fosse altro perché questa volta si avvertiva una storia. Proseguendo nella lettura, mi accorsi che lo sviluppo dell'azione impediva all'Autore di soffermarsi troppo sulle leziosità lessicali, le metafore e le parafrasi, le reiterazioni pleonastiche, concentrandosi invece sul proseguimento della vera sostanza della narrazione. Sebbene il plot fosse un tentativo di lacrimevolezza, senza però mai sconfinare nello smaccato, non mi pentii di finirlo, anzi. Durante tutta la storia percepivo nettamente la partecipazione dell'autore alla malattia e morte della protagonista femminile, quasi fosse un'autobiografia. La rottura di aneurisma cerebrale che le capita, capitò anche a me nel 2012, con la differenza che lei ne muore, mentre io sono tornata dal Regno dei Morti. Avendo rilevato qualche piccola imprecisione medico diagnostica, tiro le orecchie all'Autore per non essersi debitamente informato. Resta di apprezzabile che l'Anzaldi, o meglio, il suo personaggio, grazie alla donna, riscopra l'amore per se stesso e la vita.


Consigliato a chi ama le storie che non devono per forza avere l'happy end, agli amanti di film come LOVE STORY, a chi crede nel potere di redenzione dell'amore.