mercoledì 30 marzo 2016

CORPI RIBELLI - resilienza tra maltrattamenti e stalking

Ebbene sì, l'autrice stavolta sono io. Quindi non ne parlerò e se per caso voleste vedere comunque un video mio, potete seguire questo link: del 2011, autoprodotto, in cui promuovevo l'attività a tutela delle donne maltrattate. Per quanto mi avesse gratificato, patii in seguito un effetto boomerang che descrivo nella versione aggiornata del saggio, di cui trovate un assaggio in questo post.

Tuttavia, non mi risparmio di pubblicare un'intervista del 16 gennaio 2015 in cui il giornalista Pinuccio Rana a Bisceglie mi consente di esporre le tematiche del libro, che ringrazio tutt'ora per la sua delicatezza e precisione.
Ora passo la parola su CORPI RIBELLI alle recensioni di ha avuto il privilegio di leggerlo. Cominciando dalla recensione di una giornalista in erba, anche lei vittima resiliente, Lidia Ianuario, che, a parte il breve commento dettato da quella che poi confessò essere un'invidia mal repressa, conforta affermando quanto segue: "... un libro diretto a tutti, senza alcuna distinzione, perché pone una profonda analisi sulle motivazioni psicologiche e sui tratti distintivi di uno stalker, ma soprattutto perché, attraverso una bibliografia accurata, e la raccolta di dati utili durante la sua esperienza, si pone come valido strumento per i non addetti ai lavori. E risponde alle domande: Come fare a non farsi travolgere da un incubo senza fine? Dove ritrovare la forza di riprendersi la propria dignità?"

Jenny Rizzo, criminologa, anni di volontariato nelle carceri, nello staff del noto criminologo clinico prof. Paolo Giulini, esperti nel trattare i sex offenders incarcerati, allo scopo che,  in quanto seriali, una volta liberati, non reiterino l'odioso reato.
"Corpi ribelli, di donne che scintillano… Non sono molto brava a recensire; farò un’eccezione per questo saggio che merita la giusta attenzione sociale per l’argomento trattato.
Resilienza, capacità di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi secondo Wikipedia… resilienti sono le donne maltrattate da picchiatori narcisi, incompetenti, rifiutati, rancorosi.
Stefania racchiude in poche pagine il manuale per le donne maltrattate, un insieme di nozioni tecniche, formali ed indicazioni precise del protocollo da seguire in caso di donna che brilla…. Brilla perché lucidata dalle botte.
Linguaggio tecnico competente, come immaginavo; indicazioni precise su luoghi, associazioni per donne, nomi di professionisti a favore delle donne e a loro disposizione; suggerimenti specifici sulle strade da perseguire; consigli legali; imbeccate sulle modalità per affrontare un uomo violento, una su tutte: allontanarsi dal picchiatore trovando dentro sé stesse la forza di farlo.
Elementi precisi che solo una GLOSS può conoscere. Mancano, a mio avviso, le emozioni. Io vivo alla ricerca di emozioni e questo libro me ne ha lasciate poche. Non ho sentito le storie delle donne resilienti.
Al termine del libro mi sono resa conto di sapere molto di più su Stefania e sul suo vissuto; sarei in grado di suggerire percorsi di aiuto a donne maltrattate; riconoscerei un uomo violento (ma questa capacità è innata, credo, in tutte noi donne….). Ma non ho percepito emozioni. Lo stile è freddo, le emozioni sono velate dal linguaggio tecnico e distaccato, quasi come se Stefania stesse raccontando una vita che non le appartiene… e probabilmente è proprio così. Quella vita Stefania l’ha lasciata alle spalle.
Ben venga allora un manuale simile, nonostante non suggerisca emozioni né sentimenti. Un libro che tutte le donne dovrebbero leggere per capire che lo stereotipo della Bella addormentata nel bosco è una favola falsificata: non necessariamente noi donne dobbiamo essere bimbe brave e buone in attesa del principe (azzurro) che ci salverà.
Complimenti Stefania. Continua a brillare per tutte le donne che ne hanno bisogno”

Laura Proietti, impiegata amministrativa, con esperienza di mamma Narcisista Patologica, (i narcisisti perversi possono essere dovunque!), dice: “Ho amato il saggio Corpi Ribelli di Stefania Pastori perché vi traspare la luce della speranza. Per le donne che subiscono violenza, anche e soprattutto all'interno delle mura di casa, l'autrice dimostra come sia possibile scardinare il meccanismo perverso che impedisce ad una persona ferita, umiliata, vessata, di allontanarsi per sempre dal suo aguzzino.

Stefania analizza le possibili situazioni di resistenza da parte delle vittime (mancanza di appoggio delle istituzioni, paura di ritorsioni, vergogna, senso di colpa) e propone soluzioni fattibili, reali. Un manuale di auto soccorso indispensabile”
.

Sul periodico LA VALSUSA in ottobre 2014, l'editoriale a firma del dr. Giorgio Brezzo racconta la mia storia personale e le motivazioni che mi hanno spinta a scrivere dell'argomento così ostico. Uscito a fine ottobre 2014 in occasione della presentazione di CORPI RIBELLI a Susa (TO).

Al Salone del Libro di Padova, edizione novembre 2014, rispondo alle domande degli astanti, citando il CIPM di Milano dove il prof. Paolo Giulini ha attivato un gruppo di criminologi clinici come lui che tratta i sex offenders imprigionati nei tre poli carcerari milanesi


In occasione della ricorrenza dell'8 marzo, presso la Casa della Cultura ad Oulx (TO) intervengo circa gli stereotipi di genere perché, come spiega meglio il giornalista de LA VALSUSA, "le discriminazioni di genere possano talvolta danneggiare la bellezza dell'arte che vive indifferentemente negli uomini e nelle donne".

Claudia Daniela, mia amica online via Facebook, ha acquistato il libro e ha espresso il suo sentire come segue: “Stamattina, Stefi, hai viaggiato insieme a me. Non ero con un semplice libro, ero con un pezzo di te: si capiva che chi l'ha scritto l'ha fatto perché aveva qualcosa da dire. Non è un libro per tutti, ma d'altra parte nemmeno la divina commedia lo è. È un libro per chi ha voglia di capire e di reagire. Anche la fuga è una reazione.
Pur trattando un argomento impegnativo, il libro scorre.

Ma se mi limito a dirti "tutto bello", non ti aiuto. 
Anche se sembra incredibile, esistono persone anche giovani (nella fattispecie donne) che non hanno dimestichezza con internet. Forse se inserisci (non so se però si può) un recapito telefonico o un indirizzo delle associazioni a cui parli, dai un aiuto più immediato, senza che chi ne ha necessita, debba cercare. Tipo: Soccorso Rosa tel. ... Ho imparato che le cose che hai a portata di mano, le usi. Quelle che devi andare a cercare, può essere che le rimandi.
E poi a pag 85, intervista a CandyCandy. Lei dice di esser orfana e figlia unica, alla riga sotto le viene chiesto se ha fratelli o sorelle.
Ti dico che in questo libro "ho visto i tuoi occhi". Grazie!”

Farò mie queste preziose osservazioni di Claudia Daniela (e anche quelle di Jenny Rizzo) per la prossima edizione ancora più curata nel dettaglio, cui sto lavorando da certosina, e che sottoporrò ad una grossa casa editrice come EINAUDI.

Porto qui il pezzo a firma di Maria Teresa Vivino, giornalista free lance della VALSUSA, redatto in occasione del convegno del 29 aprile 2016 presso l'Istituto College Frejus a Bardonecchia. Ficcanti le domande poste dagli allievi, mi hanno fatta sentire gratificata.

Propongo, forse un po' narcisisticamente, lo ammetto, anche una intervista TV dove rispondo alle domande della giornalista Micaela Ferrara dal minuto 42, realizzata grazie al supporto della promotrice culturale Isabella Di Liddo, dopo l'intervento del mitico umorista pugliese nonché re di Twitter, Alessio Giannone, in arte Pinuccio.

Ed ora, la recensione del mecenate Andrea Sciavarello, siciliano curatore di un MUSEO GALLERIA. “Da diversi anni nella mia mente, echeggia la parola “resilienza”, ne ho fatto un motto di vita, perché grazie alla resilienza s’illumina ogni piccolo angolo buio della nostra vita.

Stefania Pastori è l’autrice di “Corpi ribelli”, un manuale di resilienza tra maltrattamenti e stalking, curato nel dettaglio, un vero “libretto d’istruzioni” per chi soffre la prepotenza altrui. Anche se conosciuta soltanto telefonicamente, credo di poter dire che Stefania pur avendo attraversato momenti di pesanti difficoltà, è una persona solare, che sprigiona amore per la vita, per la sua famiglia nella persona di Sofia, la sua bimba, e per se stessa.

E su questo vorrei che riflettessimo: l’amore, opposto alla violenza, germoglia nella rifioritura di una vita annullata dalla brutalità. Corpi per l'appunto RIBELLI.
Maltrattamento non necessariamente fisico, ma anche psicologico, dove nella maggior parte dei casi, chi lo subisce, non solo non ha più abbastanza energia per amare anche solo se stesso e contrapporsi alla coercizione, ma disconosce le molteplici possibilità di assistenza esistenti fuori dal luogo d’isolamento.

Per questo motivo, è fondamentale che questo manuale si diffonda, perché l’attenzione verso il prossimo, e l’impegno sociale sono sinonimi d’amore, che solo seguendo la competenza di chi ne ha vissuto il tormento, si contrapporranno trionfanti al sopruso.”

Ora è il turno di una lettrice di GoodReads, Alice Biolcati. Voglio riportarla integralmente, perché preziosa per la sua speciale confidenza. Scrive: "Prima di tutto voglio ringraziare l'autrice per questa copia del suo saggio e per la bella dedica che ho trovato al suo interno.
"Corpi ribelli" è un saggio di un centinaio di pagine - è un saggio che fa male ma che, allo stesso tempo, illumina.
Ed è grazie a donne coraggiose come Stefania e tutte le altre che danno la loro testimonianza in questo libro che può esserci una maggiore consapevolezza del problema dello stalking e, in generale, del maltrattamento sulle donne - sia fisico che psicologico.
Quante volte siamo portate a dire "ma a me non può capitare" e invece da un momento all'altro ci si ritrova intrappolate in una spirale discendente di paura e pericolo?
Perché a volte crediamo di essere furbe, crediamo di essere più intelligenti - e a volte lo siamo, ma prima dobbiamo sbatterci la testa più volte per giungere al momento in cui finalmente riconosciamo i segni di quello che sta davvero accadendo.
Io, per mia fortuna, non ho mai subito maltrattamenti dalla mia famiglia o da un partner e una volta, leggendo un romanzo sull'abuso in una relazione, mi sono chiesta come fosse possibile arrivare a quel punto.
Mi sono detta che essendo già stata vittima di bullismo, non avrei mai permesso che qualcuno mi mettesse le mani addosso dopo tutto quello che avevo passato.
Poi mi sono fermata a riflettere e mi sono resa conto che la mia esperienza con la mia ex-migliore amica - che, precisiamo, so non essere assolutamente paragonabile a quella di Stefania e delle altre donne che hanno il coraggio di raccontarsi in questo saggio - presentava comunque modi di pensare simili.
Nel romanzo - il cui titolo tradotto in italiano è "Ma io lo amo" di Amanda Grace e inedito in Italia - Ann viene picchiata dal suo ragazzo Connor e tutta l'escalation che viene descritta nel saggio di Stefania è poi quella presente nel romanzo: prima gli atteggiamenti possessivi e isolatori e le minacce verbali, poi le botte seguite da un periodo di "luna di miele" e poi ancora le botte.
E Ann non riesce a lasciarlo perché lo ama e sente che lui ha bisogno di lei.
Ann è come quella ragazza del caso descritto da Stefania - carente di affetto paterno vittima di un Narciso perverso a sua volta picchiato dal padre.
Perché dopo aver letto il romanzo mi sono sentita di dire a me stessa che in parte capivo Ann sebbene io non fossi mai stata coinvolta in una relazione romantica abusiva?
Consideravo la mia ex-migliore amica come una sorella fino a quando sono cominciate a sorgere incomprensioni e liti.
Mi ignorava, mi piantava in asso, mi costringeva a tornare a casa dopo un'ora che ero uscita perché si era fatta raggiungere dal suo ragazzo, non riusciva neanche a stare tre ore senza di lui e io stavo male perché avevo solo lei eppure per mesi ho continuato a sopportare fino a quando non ce l'ho più fatta.
Fino a quando ho deciso di essere egoista e di pensare a me e alla mia salute psicologica.
Perché dopo aver letto il romanzo di Amanda Grace, pur non avendo mai avuto una relazione romantica abusiva, ho riconosciuto parte di me stessa in Ann?
Perché anche io avevo lo stesso processo mentale di Ann, anche io continuavo a perdonare sperando che la volta dopo sarebbe andata meglio, sperando che l'altra persona si accorgesse dei suoi sbagli e di quanto mi faceva stare male.
Perché anche io non riuscivo ad "andarmene" perché legata dall'affetto e dai ricordi in comune con questa persona.
Fino a quando le brutte cose non hanno sorpassato quelle belle.
Mi rendo perfettamente conto - e l'ho già scritto prima - che la mia esperienza non è assolutamente paragonabile a quella di Stefania, ma lo stesso l'ho voluta scrivere per far capire che in parte - pur non essendo mai stata vittima di questo genere di abusi - posso capire cosa lei e queste donne hanno passato.
Questo saggio è una testimonianza potente di donne che si sono ribellate ai loro carcerieri, di donne che si sono risollevate e che sono risorte dalle loro ceneri e che ora stanno cercando di aiutare quante più donne possibili in condizioni simili alle loro appena passate.
Questo saggio è anche un primo passo verso il chiedere aiuto in caso di bisogno perché pieno di informazioni utili su procedure e su centri di assistenza
Faccio un grande augurio a Stefania e a tutte queste donne, auguro loro di ottenere tutta la felicità che meritano.”

Una nuova amica, insegnante di inglese, Nadia Tria, preziosa perché capace di mantenere le relazioni tra donne, pur essendo sposata e con figli, ha scritto le seguenti considerazioni: “Il libro Corpi ribelli di Stefania Pastori ha un triplo valore. Racconta in modo realistico e molto crudo l esperienza terribile subita da Stefania negli ultimi 9 -10 anni della sua vita. Racconta in che modo e grazie a quali persone e organizzazioni è riuscita ad uscire da questa situazione. Infine offre una speranza a tutte le donne che subiscono violenze psicologiche morali e fisiche. Un libro di grande umanità scritto da una donna che ha sofferto molto ma ha trovato la strada della rinascita. Lo consiglio a tutte le mie amiche donne ma anche agli uomini intelligenti e sopratutto ai giovani.”

Chiudo con la recensione di un'Avvocata che subì violenza da un fidanzato, Natalia Ceravolo:
"Un uomo come tanti, che Stefania ha avuto la forza di allontanare, di denunciare, di combattere, nonostante si sia ritrovata da sola, improvvisamente, senza casa, senza lavoro. Ma con una valigia di forza e dignità.
La cronaca è ricca di impietosi e lucidissimi casi di amori sbagliati, ormai finiti, che continuano a logorare, spesso fino ad epiloghi impietosi, anime che non riescono più ad uscirne.Stefania no. Stefania è donna, è madre che salva. Stefania è GLOSS (Gruppo di Lavoro e Osservatorio Sessismo e Stalking).Stefania è una risposta.La conoscenza è sapere. Il sapere combatte ogni forma di ignoranza.Conosci una forma di ignoranza più bassa della violenza?"

Le sue parole mi hanno fatto commuovere. A tutti un grazie sentito di vero cuore!





IL BUDDA ALLO SPECCHIO

Da anni mi arrivava alla mente e al cuore le indicazioni di amic*  pro buddismo. Ma la mia formazione filosofica in Storia delle Religioni mi aveva lasciata interdetta sul buddismo delle origini, ovvero quello indiano, ispirato al nichilismo e auto privazione di gioia e desiderio per espiare il karma negativo, arrivando alla felicità in chissà quale vita futura, in chissà quale mondo lontano nel tempo e nello spazio. Ho sempre creduto che la nostra mentalità occidentale, così imbevuta di desideri e materialità, ne sarebbe stata incompatibile. L’avevo accantonato.  


Da un paio di settimane, invece, le indicazioni si sono fatte più pressanti e da tre persone in cui avevo già riposto la mia fiducia. Una, una donna che ha letto il mio saggio  CORPI RIBELLI - resilienza tra maltrattamenti e stalking , aiutandola a prendere LA decisione. Si sta trasformando in una vera amica, si era già avvicinata la buddismo giapponese per conto suo. 

Una seconda, un ragazzo milanese con un partner rimasto invalido dopo la recente e improvvisa trombosi. Animato da grande compassione e gioia, nonostante, proprio perché pratica il buddismo giapponese. 

Una terza, un ragazzo genovese che mi ha avvicinata tramite una chat per incontri. Costui pratica buddismo giapponese da 9 anni. Tutte e tre, indipendentemente l’uno dall’altra, mi hanno parlato del buddismo riformato dal monaco giapponese Nichiren Daishonin, ben diverso da quello delle origini, perché ha trovato il modo di essere felici in QUESTO mondo usando il proprio patrimonio di DESIDERI. 

Il genovese al primo incontro mi ha portato in dono un libercolo con una prima infarinatura teorica che ho letto in meno di due ore, in cui era spiegato che niente di meglio della pratica mi avrebbe convinta della validità del Daimoku.

Perciò il giorno 10 giugno 2015 ho chiesto al genovese di portarmi al Centro Culturale di Studi Buddisti di Corsico (MI). Lui acconsentì. In meno di un quarto d’ora di recitazione assieme ad un’altra ventina di buddisti a me sconosciuti, ho capito molto di più di quanto qualsiasi testo teorico avrebbe potuto fare. Appena uscita, ero leggera, beata, ben disposta, più sorridente del solito. Il giorno dopo avrei subito una polipectomia per la cui riuscita ero preoccupata. Eppure il mo stato d’animo si era alleggerito. 

Nel Centro è presente una libreria dove ho fatto incetta: un rosario per la recitazione, un minimanuale di PRATICA  QUOTIDIANA DEL BUDDISMO DI NICHIREN DAISHONIN, e questo IL BUDDA NELLO SPECCHIO, di  . Che ho letto tutto d’un fiato nelle due ore precedenti l’operazione, riempiendomi così tanto di entusiasmo e di gioia da parlarne già alla compagna di camera, prima ancora di averlo finito. 

Non posso parlarne qui: lo dovrei riscrivere. Dico solo che contiene, oltre alle linee teoriche, le indicazioni per la pratica e alcuni esempi di individui comuni che hanno ricevuto benefici insperati. Conclude con un forte messaggio di speranza per la propria vita. Che mi ha mosso l'anima.

Consigliato ai disillusi dal cattolicesimo (come me), a persone che hanno fatto della spirituale una dimensione imprescindibile della propria vita (come me), ai cercatori folli di un senso (come me), ai malati nelle carni e nello spirito , (come me). E siccome ritengo di essere banalmente uguale a tutti, lo consiglio a tutti.

martedì 29 marzo 2016

VERSO OCCIDENTE L'IMPERO DIRIGE IL SUO CORSO

Dopo l'illuminazione ottenuta grazie alla sua opera UNA COSA DIVERTENTE CHE NON FARO' MAI PIU', se c'è un autore che mi costringe ad interrogarmi circa la mia qualità di scrittura ed i contenuti delle mie produzioni, ebbene quello è David Foster Wallace.

In VERSO OCCIDENTE L'IMPERO DIRIGE IL SUO CORSO,  DFW obbliga il lettore a leggere per ore di un niente inconcludente, con stile minimalista, eppure riesce a farne lavorare le sinapsi come nemmeno Joyce o Dante tinto di umore nero. Con questi paragoni, credo di aver fatto il migliore apprezzamento in campo letterario. Non c'è un plot, eppure riesce a creare il filo del discorso. La storia non si sviluppa dal punto A al punto C, passando per B e qualche colpo di scena, non vi sono personaggi che mutano, come ci viene insegnato in certe dozzinali scuole di scrittura (vedi Holden), eppure il lettore viene agganciato e travolto dalle parole e dalle immagini che creano.

Sono al 3° libro di DFW (il secondo è stato BREVI INTERVISTE CON UOMONI SCHIFOSI) e ancora non sono stata capace di sviscerarne il COME FA. Guardo le sue foto e lo interrogo. Gli chiedo se faccia uso di droghe (sì). Disseziono le sue note autografe. Ma poi ho capito che non è questa LA domanda. Temo sia morto (suicida) senza aver lasciato risposte. Leggerò l'opera INFINITE JEST che la critica internazionale gli ha riconosciuto come frutto di GENIO.
(NB: ho trovato la risposta nel discorso che fece alla cerimonia di laurea, qui:  Nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare (cit.)

http://www.nazioneindiana.com/2008/10/08/kenyon-college-and-me/

Ma a questo punto, qual era la domanda?)

mercoledì 23 marzo 2016

PECCATI ORIGINALI

Se siete appassionati lettori di Agatha, di Ellery, o anche solo di Giorgio, o comunque dei meccanismi ben oliati dei gialli, per quanto gradevole questo libro non fa per voi, perché non avete voglia di indovinare già l'assassino entro le prime 20 pagine. Eh sì, la vostra ben allenata mente ve lo farebbe scoprire a pagina 15. Il che, su oltre 400 pagine di produzione letteraria, non è esattamente ciò che vi aspettate da un giallo. Anzi, sul finire, Ayzad tenta la maldestra manovra di deviarci malamente verso un nuovo sospettato, senza l'adeguato sostegno indiziario. Ma noi non ci caschiamo.

Tuttavia la gradevolezza di PECCATI ORIGINALI risiede in ben altro. Col pretesto di parlare di un suicidio sospetto, Ayzad scrive invece di ciò che conosce davvero: il BDSM. Una delle migliori lezioni che abbia mai ricevuto dai miei maestri di scrittura è: scrivi di ciò che conosci e Ayzad l'applica in modo perfetto. Infatti, ponendo se stesso a protagonista di PECCATI ORIGINALI, ci spiega cosa sia in termini tecnici il BDSM, non patologicamente inserito nella bibbia degli psichiatri, ci racconta quanto ne sia pericolosa la pratica se gestita da mani inconsapevoli, ci illumina finalmente sul bidone delle cinquanta sfumature, ci narra l'amore romantico insito nel BDSM.

Non uso la parola ROMANTICO a caso. Conosco Ayzad di persona, giornalista freelance che cura un sito sul sesso insolito,  di sé dice di essere un sadico e me ne ha dato la definizione scientifica. E' legato, nel vero senso della parola (la B di BDSM significa in inglese LEGAME), a due donne con cui condivide l'amore per queste pratiche, che sono simbolo del amore vero che li unisce. Compongono l'idea romantica dell'amore declinata in triade. Usano il BDSM come tecnica per esplorarsi reciprocamente, cuore e mente.
Il valore aggiunto del BDSM nella piacevolezza è l'insegnamento che passa da PECCATI ORIGINALI.
Consigliato a chi vuole, oltre che a scoprire il significato della parola Ayzad, vuole aprire la mente, ai ricercatori di se stessi, da soli o, meglio, in compagnia di chi ne è consapevole.

MI SA CHE FUORI E' PRIMAVERA

Appena arrivata sulle Alpi, ho voluto appropriarmi del posto. Così mi recai alla cerimonia di apertura dell'Unitre per esplorare, incontrare, sapere. Qui ho scoperto con gioia che avrei potuto cogliere l'opportunità di farmi conoscere in quanto dedita alle problematiche femministe, presenziando una Lectio Magistralis su Artemisia Gentileschi, Lectio che si è svolta il 27 di novembre 2015 sui temi della RESILIENZA, che è anche contenuto nel saggio CORPI RIBELLI.

Al termine, un regalo da parte della presidenza Unitre: un romanzo sulla Resilienza, scritto da Concita De Gregorio, inviata di politica, cultura ed editorialista per vent'anni in La REPUBBLICA, direttora per pochi anni de L'UNITA'.

Mai regalo fu più appropriato. Non è una storia. E' una storia saggio. O storia saggia. Scusate il bisticcio di parole. E' della filosofia della perdita. La De Gregorio sembra raccogliere la testimonianza di una donna italiana sposata ad uno incegnere sfizzero (da leggere proprio così, come l'ho scritto), da cui nacquero due gemelle. Sembra, perché in realtà non è una storia. All'età di 6 anni, mamma e papà decidono di lasciarsi. Serenamente, senza intoppi. In apparenza. Ma in sostanza, un giorno il papà sparisce assieme alle figlie. Dopo qualche giorno, il papà si suicida. Nulla più si sa delle piccole. La mamma, donna in carriera, sconnessa dal tessuto sociale sfizzero, è criticata.

Vi è un intero capitolo in cui si coglie la sostanza poetica della prosa. E' la lettera della madre ad un fratello, certo Vittorio, lontano nel tempo e nello spazio, in cui gli racconta il ricordo di un anello sempre desiderato ma mai pervenutole in dono dagli amati uomini. Finalmente, un uomo glielo dona. Ed è il suo nuovo amore che la condurrà fuori dalla sua malattia di perdita.

La donna non solo vorrebbe i corpicini delle figlie perdute, da abbracciare seppur nella morte, ma dalla scrittrice cui confida il proprio dolore secco, si aspetta una parola che la identifichi come madre che ha perso figli.
Vi è un altro capitolo intero in cui si coglie la perfezione millimetrica della De Gregorio nella ricerca di questa parola. Che non esiste.

Per essere felici non ci vuole tanto. Per essere felici non ci vuole quasi niente. Niente, comunque, che non sia già dentro di noi.

Questo si legge ad un certo punto. Quando cioè la madre raggiunge la rassegnazione della perdita. Si direbbe una massima buddista.

Consigliato a chi ha perso un figlio per morte. A chi l'ha perso non solo nella morte, ma anche nella vita. A chi teme che la poesia sparisca nella prosa. Consigliato ai filologi della parola. A chi sa stupirsi ancora. E non è cosa comune.

LE INFRADITO DI BUDDHA, GUIDA ORIENTALE PER DISORIENTATI

La sua foto mi sorride in terza di copertina. Sorniona e sicura di sé. Tutti gli autori sornioni e sicuri di sé la mettono in terza. Anch'io l'ho fatto.

Nonostante sia molto noto, - pare che il suo programma radiofonico Così parlò Zap Mangusta pare abbia superato il milione di contatti -, non ero mai venuta a contatto con la sua verve filosofica esplicitata presso numerosi istituti di istruzione, con l'arguzia da Le Iene che lo ha contraddistinto nell'omonimo programma TV, con le sue produzioni letterario-filosofiche pluripremiate, forse persino nemmeno con quegli Scherzi a parte di cui fu l'autore.

E me ne pento. Sono infatti rimasta folgorata dalla immensa sapienza di questo giovane filosofo. Ma anche dalla sua autorironia.

Penso che recupererò il gap almeno sul piano cartaceo, mentre con la tv no, non ce la posso fare. Leggerò tutto lo Zap Mangusta che troverò a disposizione nella biblioteca del mio quartiere milanese. So che mi verrà voglia di scrivergli, come ho già fatto in precedenza con altri autori, come con  Stefano Amato.

Il plot prende spunto da un viaggio sul tetto del mondo, realizzato in Himalaya durante quindici giorni con un tour di trekkers da tutto il mondo non orientale e due sherpa, ognuno animato da una sua ricerca interiore. E nelle sue imperfette elucubrazioni mentali, nelle sue imperfette evoluzioni fisiche, il romanzo/documentario/saggio realizza in perfezione il sincretismo tra mente e corpo, tra soma e spirito che le religioni indiane auspicano, come attraverso lo yoga. O, più precisamente, l'ashtanga yoga, che pratico da quasi una decina di anni. Meditazione in movimento.

Zap si muove con agilità tra i pensieri e le teorie di decine di pensatori indiani e orientali in generale, dimostrando grande abilità e conoscenza, non solo di natura teorica. Da Buddha ad Osho, difficile e inelegante riassumerli qui. Ne tesse e ne individua anche gli intrecci coi colleghi occidentali. Zap è fondamentalmente buddista, pur tra i dubbi e le remore di noi europei.

Ma tra tutte le affermazioni che leggo, ce n'è una sola che mi parla: “Non vivere mai circondati dalle preoccupazioni e soprattutto non lasciare che diventino la norma. E, in quegli istanti, non permettere al passato di disturbarci. E al futuro di distrarci. Perché il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora. Al contrario, vivere nei ricordi, così come nella immaginazione, significa vivere al di fuori della vita, andandosi a procurare una sicura dose di infelicità.”

E' la dottrina del qui e ora, che cerco da sempre di applicare nella mia vita, con grande insuccesso.
Come  tutti i libri che mi piacciono, leggo subito l'ultima frase dell'ultimo capitolo. E amo riportarla, perché in essa è racchiusa l'essenza di questo novello Buddha europeo.
“ (Un paio di infradito di legno, regalata a Zap) ora si muove lungo le strade di Delhi senza clamore e quasi sottotraccia. E deve ancora conoscere un sacco di cose. Insieme al suo proprietario maldestro trafficante di reliquie. Che si è liberato delle sue scarpe.”

Consigliato ai disorientati del sottotitolo. Nel vero senso della parola.

FACEBOOK IN THE RAIN

Il libello di Paola Mastrocola ci racconta con malcelata condiscendenza la dipendenza da Social di una neo vedova, Evandra, in vena di solitudini. Tanto leggiadra la maniera del raccontare che si è portati a credere ci sia una nota di autoagiografia, che però sconfina nella leggerezza.

Vi è infatti la tragedia telefonata sin dalle prime pagine, che si compie grazie (grazie? Per colpa!) di uno curioso stratagemma messo in atto dal suo innamorato, mai dichiarato, che avrebbe invece voluto farla felice.

L'autrice si sofferma a lungo sulla invenzione, quasi trovando una vena ironica, senza condanna, pur sapendo che sarà strumento di morte psicologica dell'Evandra. Dell'innamorato un po' orso, incapace di smuoversi dalla sua timidezza al punto da decretare la condanna proprio della protagonista, la Mastrocola dice:  “Anche se un suo sogno segreto ce l'aveva, ed era di portarla un giorno a vedere La Bohème. (…) Evandra era così sola, aveva una vita così povera. (…) Ma non bisognava correre. Tempo al tempo, si diceva. E stava zitto.”

Zitto fino all'alienazione di Evandra. Lo fa tacere fino alla inconsapevole distruzione della vedova. Un vero peccato. Altro da dire non c'è, in questa libellula di carta, perché il plot è presto esaurito, pur ravvivandosi talvolta con invenzioni narrative abbastanza gradevoli ma in fondo vuote, come è vuota la vita di chi sviluppa una dipendenza.
Un po' moralisticheggiante, non sufficientemente didattico, non abbastanza ironico.
Consigliato a chi vorrebbe sostituire il mondo reale con quello virtuale.

lunedì 21 marzo 2016

TUTTA UN'ALTRA MUSICA

Pur amando Hornby, riconosco che agli inizi della lettura, questo romanzo non mi piaceva. Nessuna attrattiva nella storia, plot inesistente, ambientazione inglese tutt'altro che esotica. Personaggi sciapi, noiosi,  nessun accadimento oltre i litigi, pure banali, di una coppia ormai consunta. Insomma, un romanzo non aderente agli stilemi del romanzo, e pure senza quegli scatti di creatività che possono regalare le cose scritte quando sono CONTRO.


Sono sul punto di abbandonarlo al suo destino da carta straccia, quand'ecco emergere un nuovo personaggio, un musicista statunitense, fino a quel momento intrappolato nei meandri del web, fantasticato dalla nausea monotematica della coppia di protagonisti, ma ognuno con modalità differenti. Lui, come moderatore di un forum che raggruppa quel centinaio di fan sparpagliati in tutto il mondo di un musicista mai assurto per davvero a gloriosi fasti e sparito da almeno 20 anni dalle scene. Lei invece, sua accomodante moglie, non condivide questo suo interesse maniacale, ma sembra attratta dalla figura del musicista, forse perché vi riconosce il senso del proprio fallimento.L'elemento scatenante è una versione grezza dell'ultimo album del musicista, che Lui riceve a casa.

L'ascolto è un'epifania. Lui lo osanna. Lei, invece, lo trova negletto, insipido. Ne scrive una recensione che posta per la prima volta nel forum. La cosa divertente è che Lei riceve una e-mail proprio dal musicista, che mai aveva contattato Lui, che persino i fans davano per svanito.Lui intanto allaccia una relazione extraconiugale, perciò Lei e Lui si lasciano. Criticissimo sui suoi stessi successi, (che definisce insuccessi), il musicista  riconosce a Lei la ragione. Nasce una sorta di rapporto epistolare tra i due, definito da Lei COTTA ADOLESCENZIALE, finché il musicista arriva in Gran Bretagna, allo scopo di conoscere i suoi stessi figli sparsi per il mondo denotando (forse) il suo fallimentare mondo affettivo e, naturalmente, Lei.

L'incapacità del musicista  statunitense di allacciare relazioni d'amore durevoli, la dipendenza da droghe e alcool, i figli sparsi per il mondo, mi richiamano in un flash la figura di un mio amico virtuale che stimo perché artista a tutto campo: Enrico Marra. Trovate il suo canale su YouTubePeccato che ce ne siano solo 360 di gradi, perché come in un trick di skateboard, lo definirei a 540. Intrigante, ma non per me.

Finalmente prendo passione al romanzo e lo finisco in un bit. Consigliato a chi ha dipendenze affettive, a chi è monotematico, a chi non ha mai saputo sganciarsi dalla monotonia. In definitiva, a chi ha paura della vita. Perché, e qui sta il mio (forse), spargere figli per il mondo non è un fallimento. Specialmente se, come Marra fa ma non il personaggio di Hornby, ti occupi di loro.

L'INCANTATORE

L'INCANTATORE di Iris Murdoch mi ha lasciata perplessa, perché non l'ho capito. Ci sono tanti
personaggi le cui vicende sono intrecciate, ho impiegato più o meno mezzo libro (composto da poco meno di 300 pagine) per cogliere chi fosse l'incantatore del titolo (il che, secondo la scuola di sceneggiatura da cui provengo, è UN DELITTO GRAVISSIMO!), sono rimasta abbastanza intrigata dalla prima parte, perché scorre veloce, è accattivante e stuzzichevole, anche sotto il profilo del sottile erotismo di cui è pregna.

La seconda invece è lenta. Inesorabilmente noiosa. Ho faticato a finire le ultime 10 pagine, che ho letto nello stesso tempo delle prime 200.

Trattasi di vicende di giovani londinesi, forse annoiati, forse incasinati, forse invischiati in vicende meramente familiari, mai davvero tragiche, mai davvero comiche, fané, sottilmente understatement.

Consigliato ad aspiranti scrittori flemmatici.

WARRIOR

Antonio Lanzetta è neoscrittore di romanzi fantasy, perciò di un genere a me non particolarmente gradito. Tuttavia, è gradito da molti: si sta affermando con profitto, ha seguito, anche grazie ai social che sa usare con accortezza, una casa editrice di valore che l'ha messo sotto contratto per alcune opere. Ci siamo incrociati al Salone del Libro di Torino, notò il mio saggio CORPI RIBELLI – resilienza tra maltrattamenti e stalking, io ebbi curiosità nel suo WARRIOR.

Ci siamo scambiati le produzioni. Volendo fare del facile sincretismo, siamo entrambi guerrieri resilienti. Da ragazza fui appassionata lettrice di romanzi fantasy e fantascienza, la trilogia di Tolkien fu uno dei miei passatempi preferiti nella tarda varicella dei 18 anni, fui divoratrice di produzioni cinematografiche dei due generi. Ho smesso di amarli il giorno in cui mi accorsi di smarrirmi nei labirinti di particolari tecnici di scarso interesse narrativo, o di immagini splatter, a discapito del plot.

Devo tuttavia ammettere che Lanzetta evita questa noia. Non si dilunga nelle descrizioni, non se ne compiace, le usa, concedetemi il termine, perché la vicenda possa continuare.

Con fare testosteronico, si butta nelle azioni, (ho avvertito subito le sue competenze marziali), ogni dettaglio è funzionale all'avanzare della storia, è autore che avverte la necessità di raccontare. Questo è il suo merito, a tal punto da poter trasformare il suo WARRIOR in un film. Ma ora una critica, che vuole essere costruttiva.

Nessuno dei guerrieri è DONNA. Tutti animati da un machismo inveterato, le donne sono relegate nella funzione di contorno, magari gustoso, forse saporito. Ma nessuna di loro è WARRIOR. Inoltre, ho rilevato che l'amore è inteso come paterno e filiale, mai carnale. Auguro a Lanzetta il coraggio di affrontare e risolvere queste problematiche nelle sue prossime produzioni..
Consigliato più che agli amanti del Fantasy, a quelli delle arti marziali.

domenica 20 marzo 2016

HO FATTO STRAGE DEL PRINCIPIO DI REALTA TRA I VERSI DI UNA POESIA

Io che sono una mente così positiva, resto affascinata dai poeti nichilisti, come Marco De Angelis. O almeno, coi suoi riferimenti a zombie e morti che camminano, con una copertina virata al verde dominata da un* tip* con ascia in mano, vestit* da un mal stirato lenzuolo, credevo fosse nichilista. Invece no.
De Angelis ha nostalgia. Ha malinconia per il perduto e non vissuto. E si prende in giro. Ironizza sul sé. Lo deduco dai sottotitoli disseminati tra le sezioni di poesia. Uno su tutti, il primo: COMUNICAZIONE DI SERVIZIO. Un'équipe sta lavorando per sistemare il fottuto fradiciume  del mio ego.
Fradiciume, marciume, sono i termini che ritornano più spesso in questa gustosa silloge. Vorrei riportare qui la poesia da me più amata, fosse solo per il titolo così malato:

UNA TAZZA DI ETERNIT
Un nome è solo un nome
e tu sei vera quanto basta
io sono solo da riparare
non ho fatto altro che pensare
al nostro timido castello di cartone
mai disfatto e mai messo in piedi

Lucia seguimi
andiamo a spoilerare il finale
sui muri ai margini di questo film muto
ricapitoliamo i nostri loschi affari
in seguito mi farò teletrasportare
dalle allucinazioni tattili tra i miei liquori

Camilla è borderline
vorrebbe distribuire giocattoli
nel suo dicotomico quartiere
trascinato dal luogo comune
ha una tazza di eternit
per offrire una bevanda calda
a chi le vuole togliere il respiro

Carlotta suona flauti per protesta
da quando ha sedici anni
che vuole fare la maestra
infatti esprime voti in scala decimale
su uomini sposati con annunci di giornale
gratta su cemento questo amaro gusto
appena giro l'angolo trovo il confine
lasciato cadere dal fuoco di una candela
insieme calda e gelida di solitudine
e così fragile da sembrare inutile

Chiara
Chiara avevi scritto una poesia
sulla maledetta sfiga
della tolleranza alcolica di Santa Claus
così hai buttato giù tutta la bottiglia
e hai addobbato l'albero
di verde e fluorescente assenzio

Accucciato in un angolo
voglio scordarmi del sole
tutto appare chiuso in una cornice nera
di un mese di gennaio avvelenato
dalla simmetria dei fiocchi
di una neve che mi ha preso e digerito
un rigurgito sociale che guarda divertito.

Affiorano le polaroid nichiliste di terminologie oscure, vedi cornice nera, gennaio avvelenato, rigurgito sociale, fluorescente assenzio, maledetta sfiga, amaro gusto, gelida candela, borderline, loschi affari, allucinazioni. Disseminate con arte sapiente d'effetto. Ma è evidente in profondità la vena di rimpianto per qualcosa di mai avuto. Donne, nomi di donne, quadretti d'insieme forse mai vissuti davvero, mai veramente possedute.

Per questo gli dedico la canzone di Maria Brink e la sua band IN THIS MOMENT, che vuole coricarsi con le ossa del suo amore per sempre.

In un raptus di vanità, mi chiedo: se il mio nome apparisse lì in mezzo, quale quadretto sarei?

Nato nello stesso anno del mio primo figlio, devo ammettere che avrei voluto un figlio poeta come De Angelis. Nutrito musicalmente parlando già in pancia con amenità come KILLERS degli IRON MAIDEN, invece il mio è batterista di Black Metal.

Al De Angelis non do pieni voti, perché deve capire ancora quale sia la sua vena, forse abbandonando il nichilismo, forse dedicandosi maggiormente a ciò che sente davvero: malinconia e nostalgia.

Consigliato ai figli perduti di Bukowsky o aspiranti tali, alle persone autoironiche, ai maledetti benedetti dal rimpianto.

IL 49ESIMO STATO

Incappai nell'autore Stefano Amato per caso. Frequentavo un corso di scrittura creativa dove reperii un suo libello dall'aspetto miserrimo. Sono vorace, per cui non mi lasciai scappare nemmeno quella lettura che ben poco prometteva. Feci bene, perché si rivelò una pura amenità, che dall'agile trasmutava in gradevole attraverso le sfumature dello stupidario perfetto. Una sorta di raccolta di cretinate dette da clienti nella libreria dove lavorava l'Amato in Siracusa. Dall'alto (o dal basso del suo impiego, ideale per uno scrittore), si diverte a prendere in giro con raffinata ironia
l'ignoranza della provincia, assurgendola ad esempio dell'Italia stessa, provinciale e scioccherella. Mi divertì a tal punto da desiderare di condividere con l'autore stesso il mio sentimento. Ne reperii l'email non so bene come, gli scrissi e mi rispose con la simpatia che avevo già imparato a conoscere dal suo scritto. A quel punto ne sapevo di lui abbastanza da sapere parte della sua bibliografia e da scegliere in seconda lettura questo IL 49ESIMO STATO. Di ben altro spessore, non solo libresco, ma sempre venato di quella sana ironia che permette di superare, e guarire, dalle atrocità della vita. Letto in meno di 10 ore, nonostante le sue 253 pagine e più, nonostante il rocambolesco escursus tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi fuochi degli anni di piombo, piacevole perché leggiadro (non leggero). Chi, come me, ha amato Pino Aprile e le sue teorie anti Savoia nel suo TERRONI, ma anche Beatles, Rolling Stones, Aerosmiths, Who, e soprattutto Sid Vicious e Sex Pistols, Clash e Ramones, amerà per proprietà transitiva questo romanzo di formazione di una formazione punk rock, ovvero 4 ventenni o giù di lì appartenenti ad un'ipotetica Sicilia annessa agli altri 48 stati USA con lo sbarco degli alleati. Lo scrittore ce ne racconta le peripezie (amorose, musicali, scolastiche, familiari) durante il periodo che li vede impegnati per il loro debutto a supporters dei Ramones sul finire degli anni '70, in occasione del concerto in Sicilia per il trentennale dell'annessione. Ci canta tutta la rabbia incontrollabile degli anni di tarda adolescenza squattrinata, col loro linguaggio spiccio ma mai troppo volgare, (intendiamoci: mai alla Irvine Welsh!), le loro paure e tensioni, la voglia di spaccare tutto, ma di diventare grandi. Non perde però l'occasione di descrivere un paio di gustose scenette di ribelle violenza. Alla audizione per essere approvati a supporter dei famoso gruppo punk, Amato descrive come interpretano un pezzo dei Ramones, pezzo che non avrebbero dovuto suonare perché contro gli USA, quindi fuori legge “I'm so bored with the USA”. I membri della commissione, scandalizzati, cercano di togliere loro l'amplificazione, ma uno del gruppo fa scudo all'impianto con la chitarra, impedendogli di fatto il passaggio, brandendo lo strumento musicale a mo' di sfollagente. Al bassista nonché protagonista e voce narrante, si sciolgono le corde! Non gli resta che scimmiottare Pete Townsend degli Who e sfasciare tutto. Il tutto condito da una delirante ed allegra energia che sono gli adolescenti pazzi sanno avere. Distribuito nel 2013, stupisco di come un ultratrentacinquenne come Stefano Amato abbia potuto conservare la freschezza tipica degli adolescenti. Quasi gliela rimprovero, perché alla sua età, dovrebbe aver maturato corde più spesse. Ma forse non sarebbe stato così godibile il risultato. Bravo Amato! Consigliabile a chi ha avuto una band o ancora la sogna.

MORTE DI UN UOMO FELICE

E' il primo romanzo di Giorgio Fontana che leggo. Non sapendo nulla di lui, durante lo scorrere dei capitoli, me ne facevo un'idea. Lo immaginavo sulla sessantina, uomo di ricerca e profondità, forse magistrato con una buona dose di amara esperienza alle spalle, che lo ha aiutato a scrivere un romanzo appassionato ma equilibrato, garbato e felicemente triste, proprio come il suo protagonista, appunto un magistrato, che vive e giudica sulla linea del fronte della tarda ma feroce stagione terroristica nei primi anni '80.

Forse per questo lo immaginavo così maturo. Invece scopro che Giorgio Fontana è nato nell'81 e ne rimango sorpresa. Avevo appena finito di leggere un romanzo di formazione giovanile, IL 49ESIMO STATO, di Stefano Amato nato nel '77, godibilissimo, cui ho rimproverato una certa mancanza di spessore che invece mi sarei aspettata da un autore più che trentacinquenne. Quindi in questo caso il contrasto è fortissimo.

Fontana E' il protagonista, Giacomo Colnaghi. Vi si immedesima a tal punto da essere padre, sulla quarantina, del nord, cattolico, pieno dei dubbi tipici di quei mariti, pur affettuosi, ma costretti dal lavoro a lasciare la casa coniugale per qualche tempo durante la settimana per vivere vicino al suo ufficio in procura. Ci sta male, ne soffre, ma il suo impegno civile lo costringe a darsi da fare comunque. La moglie scalpita, ma lo capisce.

Solo il figlio più grandicello sembra accusare il colpo. Pieno di dubbi anche sul suo lavoro, dove spesso si confronta con collega che riesce, al contrario suo, a conciliare le due vite, coniugale e lavorativa. Ma per farlo, deve condannare i colpevoli senza pietas, senza desiderare di stare vicini e di capirli, come invece fa il Colnaghi. Purtroppo proprio la sua pietas lo condanna.

Consigliato a chi sogna la carriera da magistrato.

C'ERA UNA VOLTA L'AMORE E HO DOVUTO AMMAZZARLO

So, lo so, sono una lettrice onnivora che legge a velocità supersonica (che banalità ho scritto?). Ma questo di Efraim Medina Reyes - 173 pagine - l'ho divorato in  meno di tre ore e mezza, fermandomi giusto il tempo di svuotarmi le viscere e lavare i denti. E quello necessario per pubblicarne foto di copertina e piccoli estratti su Facebook.
Il primo è: Le cose più importanti della vita sono tre atti solitari: farsi una sega, cagare e morire. Fulminata. Da quel momento HO DOVUTO finirlo. L'autore è colombiano di Cartagena, ma vive a Bogotà. Questa è una premessa necessaria perché conferma ciò che già penso di quella etnia: sono intelligenti come nessuno mai.

Il romanzo scorre ancora meglio perché l'autore, oltre a parlarci di sé e di un amore che in realtà non riesce ad ammazzare, lo fa anche di Sid Vicious e di Kurt Cobaine, che, per ammazzare i loro amori, ammazzano se stessi. Sono stupita di come questi musicisti tornino tanto spesso nelle mie ultime letture. Lo stupore maggiore deriva dal fatto che non le ho scelte sulla base di questo contenuto!

Vi sono momenti di lucida follia. Di verbosità volgare. Di rara poesia. Non posso e non voglio condensare qui il plot del libro. Voglio solo concludere con due osservazioni.

La prima, che forse l'amore davvero non si può ammazzare se non facendo fuori se stessi, perché più che di una donna, si è innamorati dell'Amore in sé.

La seconda, è il finale: IL PROBLEMA ORA E' SAPERE QUANTO CI METTE LA TERMITE A DIVORARE IL BOSCO.
Reyes sembra voglia sospendere il giudizio per non incappare nell'errore della propria distruzione. Consigliato a tutti i delusi dall'amore, per farsi guarire dalla delusione.