domenica 20 marzo 2016

MORTE DI UN UOMO FELICE

E' il primo romanzo di Giorgio Fontana che leggo. Non sapendo nulla di lui, durante lo scorrere dei capitoli, me ne facevo un'idea. Lo immaginavo sulla sessantina, uomo di ricerca e profondità, forse magistrato con una buona dose di amara esperienza alle spalle, che lo ha aiutato a scrivere un romanzo appassionato ma equilibrato, garbato e felicemente triste, proprio come il suo protagonista, appunto un magistrato, che vive e giudica sulla linea del fronte della tarda ma feroce stagione terroristica nei primi anni '80.

Forse per questo lo immaginavo così maturo. Invece scopro che Giorgio Fontana è nato nell'81 e ne rimango sorpresa. Avevo appena finito di leggere un romanzo di formazione giovanile, IL 49ESIMO STATO, di Stefano Amato nato nel '77, godibilissimo, cui ho rimproverato una certa mancanza di spessore che invece mi sarei aspettata da un autore più che trentacinquenne. Quindi in questo caso il contrasto è fortissimo.

Fontana E' il protagonista, Giacomo Colnaghi. Vi si immedesima a tal punto da essere padre, sulla quarantina, del nord, cattolico, pieno dei dubbi tipici di quei mariti, pur affettuosi, ma costretti dal lavoro a lasciare la casa coniugale per qualche tempo durante la settimana per vivere vicino al suo ufficio in procura. Ci sta male, ne soffre, ma il suo impegno civile lo costringe a darsi da fare comunque. La moglie scalpita, ma lo capisce.

Solo il figlio più grandicello sembra accusare il colpo. Pieno di dubbi anche sul suo lavoro, dove spesso si confronta con collega che riesce, al contrario suo, a conciliare le due vite, coniugale e lavorativa. Ma per farlo, deve condannare i colpevoli senza pietas, senza desiderare di stare vicini e di capirli, come invece fa il Colnaghi. Purtroppo proprio la sua pietas lo condanna.

Consigliato a chi sogna la carriera da magistrato.

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