La sua foto mi sorride in terza di copertina. Sorniona e sicura di sé. Tutti gli autori sornioni e sicuri di sé la mettono in terza. Anch'io l'ho fatto.
Nonostante sia molto noto, - pare che il suo programma radiofonico Così parlò Zap Mangusta pare abbia superato il milione di contatti -, non ero mai venuta a contatto con la sua verve filosofica esplicitata presso numerosi istituti di istruzione, con l'arguzia da Le Iene che lo ha contraddistinto nell'omonimo programma TV, con le sue produzioni letterario-filosofiche pluripremiate, forse persino nemmeno con quegli Scherzi a parte di cui fu l'autore.
E me ne pento. Sono infatti rimasta folgorata dalla immensa sapienza di questo giovane filosofo. Ma anche dalla sua autorironia.
Penso che recupererò il gap almeno sul piano cartaceo, mentre con la tv no, non ce la posso fare. Leggerò tutto lo Zap Mangusta che troverò a disposizione nella biblioteca del mio quartiere milanese. So che mi verrà voglia di scrivergli, come ho già fatto in precedenza con altri autori, come con Stefano Amato.
Il plot prende spunto da un viaggio sul tetto del mondo, realizzato in Himalaya durante quindici giorni con un tour di trekkers da tutto il mondo non orientale e due sherpa, ognuno animato da una sua ricerca interiore. E nelle sue imperfette elucubrazioni mentali, nelle sue imperfette evoluzioni fisiche, il romanzo/documentario/saggio realizza in perfezione il sincretismo tra mente e corpo, tra soma e spirito che le religioni indiane auspicano, come attraverso lo yoga. O, più precisamente, l'ashtanga yoga, che pratico da quasi una decina di anni. Meditazione in movimento.
Zap si muove con agilità tra i pensieri e le teorie di decine di pensatori indiani e orientali in generale, dimostrando grande abilità e conoscenza, non solo di natura teorica. Da Buddha ad Osho, difficile e inelegante riassumerli qui. Ne tesse e ne individua anche gli intrecci coi colleghi occidentali. Zap è fondamentalmente buddista, pur tra i dubbi e le remore di noi europei.
Ma tra tutte le affermazioni che leggo, ce n'è una sola che mi parla: “Non vivere mai circondati dalle preoccupazioni e soprattutto non lasciare che diventino la norma. E, in quegli istanti, non permettere al passato di disturbarci. E al futuro di distrarci. Perché il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora. Al contrario, vivere nei ricordi, così come nella immaginazione, significa vivere al di fuori della vita, andandosi a procurare una sicura dose di infelicità.”
E' la dottrina del qui e ora, che cerco da sempre di applicare nella mia vita, con grande insuccesso.
Come tutti i libri che mi piacciono, leggo subito l'ultima frase dell'ultimo capitolo. E amo riportarla, perché in essa è racchiusa l'essenza di questo novello Buddha europeo.
“ (Un paio di infradito di legno, regalata a Zap) ora si muove lungo le strade di Delhi senza clamore e quasi sottotraccia. E deve ancora conoscere un sacco di cose. Insieme al suo proprietario maldestro trafficante di reliquie. Che si è liberato delle sue scarpe.”
Consigliato ai disorientati del sottotitolo. Nel vero senso della parola.
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