giovedì 16 marzo 2017

UN AMORE

Questo che ho appena concluso di leggere è il terzo romanzo di Dino Buzzati, dopo IL SEGRETO DEL BOSCO VECCHIO e BARNABO DELLE MONTAGNE. Non avrei letto BARNABO se prima non avessi apprezzato IL SEGRETO. Sebbene opere distinte da una certa acerbità, le gradii a tal punto da cercare altro Buzzati, che fino ad allora mi ero rifiutata di leggere, come spesso mi accadde nella mia vita da lettrice inveterata e snob se trattavasi di autore imposto dall'intellighenzia italiana. 

Romanzi, raccolte di novelle e racconti, libretti per musica, cinema, cataloghi d'arte e opere grafiche, teatro, poesia, giornalismo, per tutta la vita Buzzati  ha accompagnato l'attività di scrittore a quella di pittore, anzi, per suo stesso dire, fu un pittore che per hobby era anche scrittore. Ben si scorge l'attitudine all'osservazione dell'ambiente necessaria ad un pittore già nelle note scritte. Nei primi due romanzi, spiccano efficacemente i paesaggi delle sue amate Dolomiti, come dipinti a parole. In UN AMORE, che resta il suo ultimo romanzo avvinghiato alla maturità, scorci di Milano sono finemente abbozzati in quadri con l'olio delle parole, come se ne vedevano un tempo nelle botteghe dei Navigli.

Laide: sporca, brutta, sozza, lurida, immonda, schifosa, ripugnante, nauseante, rivoltante, orrida, repellente, sordida. Buzzati, nella cui narrazione traspare qualcosa di autobiografico, ha trovato il nome più adatto alla sua giovanissima protagonista, Adelaide, il cui diminutivo non è Ade, né Dede, ma LAIDE. La cronaca è intrisa delle sue laide manovre per circuire l'ignavo e abulico anzianotto protagonista, che, forse proprio per il suo carattere, è avvezzo solo all'amore prostituito, rifuggente da quello vero. Eppure si sente vivo nel tormento. Eppure la Laide lo rifugge, perché sebbene prostituta, anch'ella ha un'anima che si ribella agli incastri economici dell'accidioso vecchierello. Eppure la sua storia “d'amore” si conclude forse nell'unica forma per lui possibile di vero amore: la sorpresa dell'arrivo di un bébé. Ne fu tratto due anni dopo un film, il cui protagonista, un Rossano Brazzi in splendida forma, appositamente invecchiato, interpreta l'alter ego di Buzzati.


Consigliato a chi volesse capire i meccanismi di certi presupposti amori, solo malati, ai pittori di parole, a chi volesse ambire a descrizioni scritte efficaci come quadri ad olio, agli appassionati di "amore" mercenario, necessariamente virgolettato.

mercoledì 8 marzo 2017

PASSEGGIATA NEL DELIRIO

Provenendo da una famiglia cattolica e praticante, mi impegnai nel mio liceo Bertrand Russell come rappresentante degli studenti nel Consiglio d'Istituto tra le file di CL. Percepivo la teorizzazione dell'impegno nella lotta armata di alcuni compagni di scuola, che si autodefinivano "indiani", come l'Algranati, detto Kochise. Si era già negli anni del qualunquismo, dopo l'omicidio Aldo Moro infatti tutto veniva messo a tacere. Però ho sempre provato fascinazione per quelle persone così radicalizzate. 

Ho letto PASSEGGIATA NEL DELIRIO di Maurizio Rotaris che mi ha regalato tante emozioni ma anche tanta conoscenza. Eccone un breve estratto che, pur tra le incertezze di un non scrittore, riesce ad illuminare quel difficile tratto di storia italiana che furono gli Anni di Piombo con una testimonianza efficace perché diretta, direi persino da Prima Linea (e non è solo un modo di dire). Nonostante il mio impegno con CL, ho capito che fui in fondo anch'io un ultracorpo del disimpegno.
'“Il fenomeno della dissociazione dalla violenza politica fu un fenomeno tutto italiano di una grossa portata internazionale e storica, dove il livello istituzionale e governativo aveva saputo creare una cerniera di mediazione funzionale alla chiusura del fenomeno, diversamente da altri paesi (…) Purtroppo nel corso degli anni prevalse poi la rimozione e il fenomeno restò per i più incompreso e la storia di un'intera generazione politica andò nei decenni successivi ad assomigliare all'invasione degli ultracorpi.”

La copertina, nella sua rappresentazione assoluta di degrado, dimostra quanto un non autore come Maurizio Rotaris possa comunque realizzarne una efficace.

Il Rotaris ci tramanda una sorta di diario intimistico e personale intriso anche di impegno non politico ma addirittura bellico fino all'anno 1986, dipanato tra Milano ed Amsterdam, con tutto lo strascico di imprecisioni linguistiche che un non autore, in preda ai deliri degli stupefacenti, poteva annotare su foglietti di fortuna. Da quell'anno in poi, la narrazione diventa più letteraria, precisa, pulita, lucida, forse nettata da un editor, comunque pulita dagli stupefacenti. La vita del Rotaris cambia radicalmente, si fa coinvolgere dalle ronde salvatossici/ubriaconi/barboni attorno alla Stazione Centrale di Milano per diventarne man mano il paladino, fino a vedersi assegnare un locale sotto la stazione allo scopo accogliere i senzatetto. Fonda persino un gruppo musicale, lui che aveva trascorso la vita precedente a tentare di strimpellare qualcosa di rock: la cosiddetta BAR BOON BAND, per la quale riceve un riconoscimento. I tossici pian piano diminuiscono, ma i senza tetto immigrati aumentano. Il Rotaris ha assistito nel corso degli anni ai flussi migratori che si sono succeduti (e tutt'ora si succedono) alla Stazione Centrale di Milano. Animato da un sincero spirito di compassione, ha proseguito e prosegue la sua opera di recupero e consolidamento, non solo a livello delle vite stesse, ma anche delle peculiarità caratteriali di ciascun individuo.

Consigliato a chi pensa di essersi perso gli Anni di Piombo, le loro motivazioni profonde, a chi ha voglia di provare stupefacenti, a coloro che vogliono comprendere l'esperimento sociale che sta dietro ai flussi migratori.