Nelle prime sessanta pagine, il romanzo
breve LA CAREZZA DEL CAVALIERE destabilizza leggermente la mia fede
nella razionalità. L'autore Paolo Gambi gioca di salti temporali
compresi tra il tempo delle crociate e quello contemporaneo. Nel
primo, assistiamo alle nobili gesta di un ventenne ospitaliero in
missione in Terra Santa, Bertrand che arriva dalla Languedoc, come
nelle migliori tradizioni delle Crociate. Nel secondo, a farla da
protagonista è Bertrando eccetera eccetera, dal
lunghissimo elenco
di titoli e nomi condensato però in un semplice Nanà,
settantottenne nobile signore a Roma, cavaliere di Malta, professo in
povertà, castità e obbedienza. I due personaggi, accomunati dal
nome e dal ruolo, se non fossero distanziati tra di loro da un
migliaio di anni di storia, si direbbero la stessa persona. E a
lettura conclusa, ne ho capito il motivo. Un applauso all'autore per
essere riuscito a farci sentire quanto passato presente e futuro
siano collegati in un unico continuum.
Nanà è tormentato dall'amore mai
corrisposto per una duchessa romana, impedito dal suo molteplice
voto, ma afferma: “L'amore è come uno specchio che ti ritorna
l'immagine di ciò che sai di dover essere.” Sarà infatti proprio
l'amore a condizionare le sue più recenti scelte etiche di vita, che
gli costeranno un'operazione di diffamazione a suo danno, ignobile
perché perpetrata dai suoi stessi confratelli. “Che ne
avrebbero detto i nostri predecessori che hanno dato il sangue in
Terra Santa a Rodi e a Malta? Possiamo ridurci così? Possiamo
diventare una lavanderia per gli appetiti più avidi di una manica di
Farisei? (…) Ma che ne è, Fra Bertrando, dello spirito cristiano?”
medita l'autore, mettendo in bocca ad un venerabile fratello
queste osservazioni che potrebbero in realtà appartenere a chiunque
abbia avuto a che fare con la chiesa. La mia intuizione, avendo
affrontato la lettura delle note bio dell'autore a libro finito,
risulta confermata: il Gambi si è spesso rapportato a istituzioni
cattoliche. Infatti, con un dottorato in diritto canonico ed
ecclesiastico, è stato assistente alla facoltà di Giurisprudenza di
Bologna e ottiene per due anni la cattedra a contratto in Teorie e
Tecniche di Comunicazione presso l'Istituto Superiore di Scienze
Religiose “Sant'Apollinare”. Tanto mi basta per capire la sua
velata critica alla chiesa cattolica.
Cresciuto in Romagna, dove si laurea, sceglie giornalismo e finisce al Financial Times di Londra,
quindi contributing editor del Catholic Herald. Tornato in Italia, si
divide fra stampa locale e quella nazionale, curando rubriche per
riviste che non voglio nominare per evitare pubblicità a entità già
famose per il pettegolezzo, e lavorando per media cartacei e televisivi locali, vince il Premio Guidarello per il
giornalismo d’autore nel 2012 e il premio “Rimini Europa” nel
2016: il suo curriculum mi conferma il sospetto che avesse cognizione di causa quando, attraverso le parole dei suoi protagonisti e
riferendosi a giornalismo e Social, il Gambi affermava che oggi:“la
verità è semplicemente quella che viene raccontata”. Il nostro Bertrando/Nanà odierno, sapendo che omnia munda mundis,
opera in modo tale che l'azione diffamatoria nei suoi confronti non
solo si fermi ma si trasformi in qualcosa di meritevole. Allo
scopo di rendere ancor più meritoria l'azione di Nanà, il Gambi ci
ricorda che, dalla nascita della Repubblica a tutto il XX secolo,
nella storia del giornalismo italiano, soltanto un giornalista subì
condanna per aver scritto diffamazioni su personaggi in vista:
trattasi del Guareschi, primo e unico giornalista italiano a scontare
interamente una pena detentiva in carcere per il reato di
diffamazione a mezzo stampa (fonte:
https://it.wikipedia.org/wiki/Giovannino_Guareschi).
Il mai dimenticato autore di Don Camillo e Peppone, pur avendo
raggiunto notorietà internazionale, non venne risparmiato. Eppure,
in quanto direttore di un giornale satirico come CANDIDO dal candore intellettualmente onesto, dichiarava
palesemente: «Qualcuno si ostinerà a voler trovare che Candido ha
vaghe tendenze destrorse, il che non è vero per niente in quanto
Candido è di destra nel modo più deciso e inequivocabile.»
“E quando finalmente fu davanti alla
pietra, a quella pietra su cui il corpo di Gesù era passato dalla
morte alla vita, sentì il cuore battere particolarmente forte. Lo
sentì come connesso con i misteri che regolano gli astri e le
stelle, la vita e la morte, il visibile e l'invisibile. Capì che
quello che aveva fatto risrogere Gesù era l'Amore, lo stesso mistero
che ora lo legava ad Halima.” Qui, la svolta per il protagonista
ospitaliero medievale, che non vi posso anticipare.
Uno dei vincitori di Lucca
Comics e Comicon, nonché disegnatore di copertine per autori che
suppongo di alto calibro, pur non avendone mai letto nulla
(diversamente il Gambi non li avrebbe nominati nella suo bio
bibliografia), Fabio Visintin ha disegnato la copertina, a ulteriore
conferma di ciò che da sempre sostengo: una buona copertina fa vendere bene il libro, quando lo propone all'occhio del potenziale lettore.
Svelandoci infine l'araldico segreto
del casato “E finalmente Nanà seppe cosa ci stava a fare nello
stemma della sua famiglia quella benedetta tortora”,
l'autore conclude in modo azzeccato questo breve romanzo,
redatto con linguaggio diretto e schietto in sorta di reportage anche
quando descrive l'amore carnale: “Sperimentarono, in
quell'interstizio tra realtà e sogno, un piacere che partiva
dall'incontro più superficiale della pelle, ma finiva per esplodere
nelle profondità più intime dei loro corpi, delle loro coscienze e
delle loro anime. (…) Per un istante capì cosa significa essere
toccati da Dio.”.
Consigliato agli appassionati di
araldica, di antichi cavalieri e delle nobiltà del cavalierato, agli
oppositori dell'ecclesia in stile IOR, ai convinti che “L'Amore può
tutto”, almeno così sostiene l'autore. E io con lui.
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