L'INCENDIO di Mario Soldati è un romanzo a-tipico, nel senso che fuoriesce dagli stilemi tipici del romanzo, dove, per riuscire gradevole al lettore medio, il plot dovrebbe muoversi da A a Z passando per
un paio di punti di svolta e due decisivi colpi di scena. Eppure, Soldati fu anche sceneggiatore e ben dovrebbe conoscere determinati paradigmi necessari allo scorrimento della vicenda, così ben studiati e bypassati da Quentin Tarantino. Pare se ne impipi bellamente, e qui sta la Grandezza dei Grandi, conoscere le regole per trasgredirle. Inizia incerto se tra un saggio di pittura e uno incentrato sull'amore, infine i personaggi scelgono in maniera autonoma il primo, pur attraversando traversie amorose, sia del protagonista - voce narrante, sia del pittore, coerente alla sua totale incoerenza. Ai cinici del XXI secolo, Soldati rivela come Arte Pittorica e Ars Amandi nelle loro varie declinazioni, dall'amore tradito a quello omosessuale, dalla pittura più leziosa del bucolico quotidiano a quella della più cruda denuncia sociale, fossero non solo ben tollerate nella seconda metà del secolo scorso, ma persino incoraggiate e sostenute. Sfumature oggi inaccettabili, in un Millenium scaduto nel disimpegno affaristico e nel bigotto perbenismo. Va detto che INCENDIO è il titolo del primo quadro acquistato dalla voce narrante, già precedentemente maritato ad altra donna, come dono destinato alla propria amante che va in isposa a nuovo uomo. E che il pittore co-protagonista, temporaneamente migrato in Sud Africa allo scopo di ritrarre i lavoratori delle miniere di diamanti e le loro disumane condizioni di lavoro, attua un'accorta quanto da lui inaspettata strategia volta all'incremento del valore delle sue opere.
Consigliato come nave scuola a quegli autori emergenti che pretendono di essere nuovi senza manco aver letto Soldati.
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