Mi dispiace solo di una cosa: che
conosco Antonino Emanuele Valere come Editor (nonché architetto) da quando, due anni or sono,
andai ad un workshop di Editoria al Tempo del Digitale,
quindi temo
di non conservare la mia proverbiale quanto lucida distanza dalle due
opere che mi ha chiesto di recensire. È il primo a farmi questa
richiesta esplicitamente: afferma di seguirmi sui Social e di essersi
deciso grazie alla mia imparzialità. Spero di non deluderlo. Dei due
romanzi, inizio da quello che mi suona un po' sturm und drang.
(Emanuele perdonami perché ho l'impressione che tu abbia sbagliato
nel tirare ad indovinare quale dei due avrei attaccato per primo,
visto che ultimamente ho recensito romanzi erotici e che, dal titolo,
suppongo che il tuo altro lo sia).
Mi chiedo cosa l'abbia ispirato per
scegliere questo nome così “tempesta e impeto”. Al termine della
lettura, suppongo, più che ad ogni altro cristallizzato da quel
movimento tedesco, si sia maggiormente riferito al concetto di
oltreuomo, il cosiddetto Übermensch, che ribalta l'ordine
costituito, concepito come genio al di fuori di qualsiasi cànone
estrinseco, come a voler giustificare la ricerca, forse vana, del
protagonista, ben raffigurando l'inquietudine contemporanea che si
sazia solo con il desiderio dell'impossibile.
Inusuale per un autore posizionare i
ringraziamenti nelle prime pagine, che di norma leggo anche se in
fondo al libro. Da questo cambio di consuetudine, mi dovrei aspettare
una scrittura di novità. “E grazie in anticipo - e
infinitamente – a chi leggerà per leggere, e leggerà con
leggerezza.” Sta ringraziando proprio me, che onore. Me lo
conferma anche la dedica. Io che sono “rinata” più volte nella
mia vita (e non è solo un modo di dire), la dedica del Valere: “a
chi ha la forza di rinascere” mi emoziona a tal punto da farmi
venire le lacrime.
Se riportassi le frasi che colpiscono
maggiormente, riprodurrei il libro, e le amo molto perché sono caratterizzate da una ricerca
raffinata di vocaboli ed espressioni filosofiche. Una su tutte:
“E il conducente commetteva
l'errore più grande: avanzava verso il passato.” Poi però mi
accorgo
quasi a metà del libro che cotanto
modo di scrivere lezioso e ridondante, mi viene a noia, qui l'apice
dell'ingiustificato:
“Arrivò a Milano senza concedersi
il lusso di stupire nessuno, tanto meno se stesso.”
Non abbandono il libro al suo tragico destino alla Pennac, solo perché il Valere dissemina perle
letterarie come: “Non si dovrebbe mai raccontarla a nessuno, la
verità. Si corre il rischio di restare nudi e assiderati nel bel
mezzo di una grandinata mai vista.” “Leggerezza: (leg-ge-réz-za)
n.f. pl. -e. Saggezza camuffata da superficialità.”
A tre quarti del libro, sul finire
della missione del protagonista, si verifica l'incontro inaspettato.
Una sorta di colpo di scena senza scena e senza colpo.
“Forse la Sturm poteva leggere
dentro i silenzi, come i sensitivi e i veri scrittori, che poi fa lo
stesso.”
“Torna a vivere, Mattia. Le
risposte che cerchi arriveranno quando avrai smesso di fare domande.”
“Come nascono i libri?” le
chiese “Li scrive la vita? La loro gestazione ha a che fare con la
stessa casualità per cui ce li ritroviamo tra i piedi?”
“Perché non c'è niente in natura
che abbia arroganza e forza di procedere in linea retta.” Per
me, potrebbe anche finire qui, in sospensione, invece il Valere
procede ancora per qualche capitolo, senza far accadere nulla. Quindi
non mi fermo, nonostante la noia. E per fortuna, perché rilascia
ancora pillole di saggezza, come:
“Era stato bellissimo perdersi
nelle consapevolezze di chi racconta per mestiere e maledizione.”
“Un non dare più seguito a
reconditi desideri”
L'ultimo capitolo, il 10, è davvero
pleonastico, e per un attimo mi balena la presuntuosa considerazione
che se il Valere lo volesse tenere, che lo inserisca prima del
viaggio a Lugano.
Invece no, proprio al termine
dell'ultimo capitolo, il secondo “classico” colpo di scena, in
posizione non classica. Un finale doppio, basato su dotte
considerazioni su cosa sia la scrittura che meriterebbero una
trattazione più spaziosa, anche in chiave poetica, e su una
sorpresa che ci lascia librati sull'ignoto, ma che già immaginiamo, ormai
conquistati dalla speranza disperata del protagonista. Come spesso
accade, il valore di un romanzo lo fa il finale. Bravo Valere! E non
lo dico per piaggeria.
Consigliato a chi vuole conoscere passo
passo un autore dal suo “primo vero romanzo” che ha scritto da
“imberbe” (sebbene lo veda portare da almeno due anni uno spesso
barbone) per seguirlo nella sua che sento inevitabile e bella evoluzione.
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