Einaudi:
l'editore promette bene (non faccio più lo sbaglio di ignorare chi
sia la casa editrice - vedi De Alberti).
In quell'attesa di pochi minuti, leggo già una trentina di pagine.
L'autore ha superato quella che io chiamo “prova Eco” e anch'io. Il semiologo
affermò che il lettore va catturato entro le prime venti pagine, nel
bene come nel male. Lui scelse il male (il suo NOME DELLA ROSA è
così infarcito all'inizio “del suo bosco narrativo” di dotte
dissertazioni latiniste, da far desistere anche i lettori più
accaniti, ma poi in preda al ravvedimento, ha negoziato coi suoi
critici, su significato e interpretanti, riesamindolo
consistentemente, perché se è vero che “il testo è una macchina
pigra nei confronti della quale il lettore è chiamato a condurre un
lavoro di interpretazione e a cooperare al fine di riempire spazi di
non-detto o di già-detto” cit. Eco da Lector in Fabula,1979 cioè
l'anno precedente a IL NOME DELLA ROSA, è anche vero che in questo
caso il lettore medio non ci risuciva).
Il
Marsullo invece imbastisce subito i profili di quattro probabilissimi
personaggi, vecchietti tanto auto ironici quanto ardimentosi,
originali se solo non ricordassero quei burloni degli AMICI MIEI.
Nella Villa delle Betulle dove risiedono da quando sono in preda chi
alla demenza senile (che oserei tradurre bonariamente in scemenza),
chi alla stitichezza, chi al Parkinson, chi all'erotomania, con
arguti soprannomi che parlano anche per ossimoro delle loro
disabilità senili, (Agile, Brio, Guttalax, Rubirosa) sono tenuti a
bada da un'allegra congrega di monache. Allegra congrega è un
eufemismo: le sorelle o sono giocondamente beote oppure appartengono
alla gioventù hitleriana, senza mezze misure. A tal punto da
obbligare i residenti al televisivo rosario domenicale di un certo
Padre Vattelapesca del Vaticano, che ha pure la zeppola.
Il più
bombarolo dei quattro lo odia a tal punto da ideare un attacco
terroristico a suo danno, approfittando della gita a Roma per tutti organizzata dalle
sorelle, riesce a coinvolgere i quattro nel suo diabolico piano,
perché vince le perplessità di ciascuno facendo leva su loro
motivazioni estremamente personali. L'autore Marsullo gli congegna un
piano che ha del geniale, almeno quanto le zingarate degli AMICI
MIEI, “amabilmente” contrastati dai loro “acerrimi nemici”,
altri vecchietti da soprannomi come Capitan Findus, Sciabola e
Uccello. Vi lascio indovinare quale siano le loro attempate tipicità.
Lo
stile linguistico del Marsullo appartiene al miglior varietà cui ci
abituò Mamma Rai negli anni d'oro, ma anche al gioco degli scambi e
degli equivoci di certa commedia teatrale di antica tradizione
italiana. Nessuno stupore: sarà anche giovine, il ragazzo è nato
nell'85, ma evidentemente si è ben documentato dalle Mediateche Rai,
inesauribili fonte d'ispirazione anche per me. Di conseguenza, non
riporto brani come sono solita fare, perché non ci sono particolari
acrobazie linguiste. Dico solo che, da buona sceneggiatrice ghost
writer proprio dell'ideatore degli AMICI MIEI (Leo Benventuti), noto
subito come sia una successione di fatti e colpi di scena ben
concatenati gli uni agli altri. Fosse per l'appunto una
sceneggiatura, la si definirebbe sceneggiatura di ferro. Bravo il
Marsullo. Non mi stupirei se prima o poi venisse chiamato a firmarne
una.
Non
manca la lacrimuccia finale, che non spoilero. Va detto che uno dei
quattro pirati, nell'impeto delle rocambolesche avventure degne di un
guascone come D'Artagnan, se ne vola via “come un cretino, mentre
giocava alla guerra coi suoi amici cretini”, dice il nipotino. Ma
Agile gli solleva il mento con due dita e … “Proprio così, tuo
nonno era un pirata senza pietà” facendo la sua gioia.
Consigliato
agli estimatori della narrativa d'azione, anche se azione datata (ma
del resto stiamo andando verso un inesorabile invecchiamento della
Nazione), ai lettori che cercano soddisfazione negli intrighi
giallini, anche se qui, di giallino, ci sono solo perdite. E non
parlo dell'opposto di vittorie.
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