giovedì 27 aprile 2023

ANTROPOMORTI di Maria Teresa Casella






Gloss conobbe anni fa Maria Teresa Casella con lo pseudonimo di Theresa Melville, recensendo il romanzo "Amore Obliquo" 

La Casella offre a Gloss la lettura di un racconto di genere "horror" che la recensora non ama particolarmente. Però conoscendo l'opera dell'autrice come valida, accetta e ne resta piacevolmente sorpresa. A parte un errore iniziale di valutazione nella scelta del vocabolo più corretto, la storia scorre veloce, ma senza dimenticare di dipingere a tocchi sicuri i personaggi che vi appaiono, pur essendo breve. La Casella rispetta tutti i topòs del genere draculiano, eppure introduce piccole novità che la rendono invitante anche per chi preferisce letteratura altra. Conferma la sua tecnica letteraria ineccepibile, rendendo persino simpatici personaggi che dell'empatia nulla posseggono.


giovedì 9 marzo 2023

SPARE di Prince Harry

A gennaio sui Social, sembrava che ogni Poetante da Social (o sedicente tale) parlasse (male) “Spare”. Gloss dichiarò di cedere anch’ella e di leggerlo, come fosse d’obbligo. Gloss avrebbe voluto però trasformare questo obbligo in opportunità. Intanto, sapeva che è scritto dal più grande ghost-writer al mondo, il sig. Moehringer, oggi cinquantottenne come lei, famoso non solo per aver vinto a trentasei un premio Pulitzer, ma anche perché esperto di biografie maschili in cui risaltano rapporti conflittuali con le figure paterne in famiglie disfunzionali. Nel 1998 sfiorò il Pulitzer grazie al ritratto di un clochard di San Francisco che diceva di essere l’ex leggenda della boxe Bob Satterfield. Due anni dopo vinse l'ambito premio raccontando - attraverso la vita di una residente - la comunità di discendenti di schiavi di Gee’s Bend in Alabama. Non c’è miglior opportunità di crescita che imparare dai grandi.
E Gloss, con questa affermazione, non si riferisce al Principe Harry, ma al sig. Moehringer, che scrive la propria biografia, ne “Il bar delle grandi speranze”, poi diventata film di George Clooney con Ben Affleck, tutt’altro che agiografica o autocelebrativa. Era ciò di cui avevano bisogno Andre Agassi in “Open” e il Principe Harry in “Spare”, la terza biografia che Moehringer ha «aiutato a scrivere» (preferisce questa dicitura al termine ghost-writer), essendo la seconda quella del fondatore di Nike Phil Knight nel 2016 (L’arte della vittoria). Evidentemente, non contando la propria, rivela la propria modestia. Dev’essere dolorosissimo “Vivere la vita” (cit. Mannarino, ascoltarne il testo e poi leggere “Spare” può portare lontano) con la consapevolezza di essere ‘pezzo di ricambio’ - inteso proprio come fornitore di fegato, di polmoni o di cornee adatte al trapianto, per una persona che abbia un ego spropositato come Gloss. A maggior ragione se fosse cresciuta in seno a una famiglia reale, costretta a seguire protocolli rigidi e a nascondere la vera sé stessa nella propria interiorità, nell’ombra dell’Eletto, il Principe Willy, passando per un drogato, alcolizzato sui tabloid, o, nel migliore dei casi, un idiota incapace di studiare - com’era considerato in famiglia, tanto da aver davanti a sé solo la prospettiva di una carriera da miliare. Quindi Gloss si mise nei panni di Prince Harry e la sua faccia fu esattamente quella “faccia lì” che Harry ha in copertina. Una foto che parla di rabbia sotterranea, di dolore antico, ma anche di determinazione. Gloss ricorda che al principe ragazzo fu strappata una madre dea. Ma quel volto barbuto rivela anche di qualcos’altro che solo una lettura approfondita può svelare. “Controllai il sito web della BBC. La nonna non c’era più. Papà era re.” R minuscola non seguito dal nome. “Buttò giù alcuni pensieri in una sorta di diario che poi condivise con me. Li lessi come una poesia d’amore. Li lessi come una dichiarazione, un rinnovamento dei nostri voti nuziali. Li lessi come una proclamazione, una celebrazione, un encomio. Li lessi come un sigillo. Diceva: “Quello è un uomo.” Amore mio. Diceva: «Quello non è una Riserva»”. Harry adora la propria moglie Meg, come l’unica donna, dopo la madre, ad averlo amato per sé stesso, per com’è nella vita di persona comune, non dal sangue blu. Però, la scena della presentazione di Meg alla nonna reale rivela la sua ingenuità o il suo estremo innamoramento, tanto da essere obnubilato: Meg chiede chi fosse l’attendente della nonna. Era suo figlio Andrea. Secondo Harry, questo dettaglio garantirebbe che Meg non avesse preso informazioni sui reali. Gloss invece non riesce a dimenticare che la preparazione in quanto attrice la sostenesse in ogni momento “di difficoltà”, chiamiamola così. Per contro, Harry spara a raffica contro tutto e contro tutti: a distanza di ormai due mesi dall’uscita, il popolo dei Social lo invita a stare zitto; #harryshutup è un hashtag tuttora molto attivo, forse però facendo il gioco del Principe, cioè parlare. Parlare, parlare, parlare, parlare. E se non del Principe, di certo dell’editore, che ha investito venti milioni di euro nel compenso al sig. Moehringer, a fronte di un incasso pari a ventitré nel primo mese. Con “Spare” se il sig. Moehringer ha fatto come con “Open”, trasferendosi dalla California dove abita a Las Vegas, dove vive Agassi, per due anni, intervistandolo quasi ogni mattina a colazione per un paio d’ore e non dormendo più di due ore per notte, sbobinando dodicimila pagine, studiando Freud e Jung per una base rudimentale di psicoterapia, ottenendo di scrivere come fosse proprio Harry, con la sua mente istruita solo alla guerra, tutto sommato senza una grande cultura, allora ci è riuscito alla perfezione, meritandosi i venti milioni di compenso. In “Spare” il principe Harry racconta il dolore che torna sempre per la madre dea, la progressione dell’amara rottura con il fratello William e consorte, l’acredine causata dalla delusione del mancato sostegno da parte della famiglia contro il gossip dei periodici scandalistici, che avrebbe “dato il la” all’allontanamento suo, di Meg, dei figli. Parla delle proprie difficoltà a farsi accettare come persona dai suoi stessi familiari. Del figlio primogenito, Archie, di come i tabloid si chiedessero quanto potesse essere scura la sua pelle alla nascita. Della perdita della bambina a causa dello stress da paparazzi. Della mancanza di libertà per Meg, che si vide togliere passaporto e patente. Dell’accusa di razzismo della casa reale che spinse Meg al sudicio. Del sentirsi intrappolato. Soprattutto, del sentimento di mancanza della madre che, a trent’anni, pare sia rimasto ancora a livello del tredicenne che fu. Insomma, a Gloss appare che Harry abbia la sindrome dell’offeso che non ha mai elaborato il suo vissuto, incapace di reggere alle frustrazioni - se non sono di guerra. Sembra abbia segnato tutti gli sgarri subiti fin dall’infanzia. Orsù Harry, anche se sei principe, è ora di crescere. Gloss invece si inchina al sig. Moehringer, che ha ottenuto - a ragione - un compenso principesco per aver vestito i panni di un bamboccione.

venerdì 23 dicembre 2022

NEGLI OCCHI BAMBINI poesie e voci per ritrovare il mondo dell’infanzia di AAVV

Un altro libro delle Scrivere Poesia Edizioni, gestita dal Pietro Fratta, arriva tra le mani di Gloss colpendola per la copertina, essendo stata Art Director negli anni della Milano da Bere: le sagome di due bimbi, una femmina e un maschio, guardano verso l’alto (verso gli adulti? Verso l’Universo? Verso un dio?) come ritagliate in un cartoncino nero per fare da cornice ai loro pastrocchi creativi fatti coi pastelli a cera. Come a dire che i bimbi, per loro stessa natura, per la propria crescita devono necessariamente relazionarsi con qualcuno di più autorevole (non autoritario!), ma nello stesso tempo sono già perfettamente dotati di caratteristiche che li rendono unici e potenzialmente autonomi, perché ingegnosi.
È una lezione che traspare da tutti gli scritti, anche se provenienti da voci diverse, Blanco, Botti, Caricchio, Cattaneo, Fiscaletti, Fratta, Gambini, Gorini, Mannino, Paladini, Pascasi, Piersanti, Verrillo. L’ottima Emanuela Botti, in arte BoEm, conferma le sue capacità esclamative: Gloss ne ha già scritto qui. Le preme invece parlare di un brano che la colpì subito in prima lettura, per la profondità di pensiero scaturita dalle semplici azioni quotidiane degli infanti. Riporta un breve estratto della parte conclusiva: “Nel bambino assistiamo all’alba di un piccolo e infinito mondo (...) Dobbiamo aspettarci dai bambini degli obiettivi seri che consentano loro un margine di successo personale in questa società, o che i loro sogni vengano inseguiti da una creatività inarrestabile che non capiamo e che anzi ci preoccupa?” Una filosofa umanista come Gloss, madre di tre figli acquisiti o no, può solo cercare di afferrare la ridda di riflessioni scaturite da queste parole per riportarle qui in onore della condivisione. I bimbi sono un universo compresso in pochi centimetri, rispetto alla vastità dell’immensamente grande, piccolo universo completo e perfettamente dotato in potenzialità: l’adulto può solo provare a riconoscere i talenti più o meno evidenti e dare loro risalto affinché fiorisca l’adulto lì presente in nuce, in modo da accompagnare i fanciulli e le fanciulle a scoprire la missione nella vita. A ciascuno e ciascuna il proprio ministero, altra traduzione di karma. “Accettare l’idea del karma non significa vivere oppressi dalla colpa e con l’incertezza di non conoscere le cause passate della propria infelicità, ma al contrario significa avere fiducia che il destino è nelle nostre mani e che abbiamo il potere di trasformarlo al meglio in ogni momento.” (Fonte: Il Karma - Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai - sgi-italia.org) Gloss solo alla fine scopre che l’autore delle riflessioni ultime è proprio Pietro Fratta. E non è paraculismo, ma riconoscimento di un Valore Reale. Una nota di colore: per tutto il tempo impiegato nella lettura del libro e della scrittura della recensione, Gloss è stata convinta che il titolo fosse NEGLI OCCHI DEI BAMBINI. Poi, scattando la foto della copertina, capisce che la preposizione articolata era presente SOLO nella sua testa. NEGLI OCCHI BAMBINI ha tutt’altro significato e coinvolge l’universo degli adulti, quando sanno conservare occhi innocenti e senza filtri nell’esplorazione del mondo. Consigliato a chi cerca la verità con animo puro, alimenta il proprio spirito di ricerca restando scevro da pregiudizi, con occhi bambini, appunto.

martedì 13 dicembre 2022

FemmeoB - una donna in poesia - di Emanuela Botti

La casa editrice Scrivere Poesia Edizioni, diretta da Pietro Fratta, a sua volta autore, ha inaugurato la collana Poetica, perno di SPE, con la seduzione dell'arte poetica di Emanuela Botti, in arte BoEm. L'operazione estetica che ha portato alla veste grafica, decollata dalla scelta del font, processata attraverso l’impostazione della gabbia della copertina, passata dal codice colore primario, il magenta del testo, più riconducibile
ai contenuti, suggerisce la basilare importanza della silloge, nata col nome di FemmeoB - una donna in poesia - la cui grafia non rende giustizia all’originale, perché Boem è stampato da destra verso sinistra, in un ribaltamento grafico prodromo di quello emotivo che avverrà durante la lettura, capacità di rendere visivamente il pensiero laterale necessario alla creattività (sì sì con due T). La forma grafica dello spicilegio della Botti, assieme all'utilizzo puntuale della lingua italiana e alla creazione di immagini poetiche mai scontate, conquistano la Gloss che è filosofa umanista e scrittrice impegnata nella sensibilizzazione circa la violenza sulle donne e la prevenzione, a partire dall'uso corretto degli stereotipi. In Guardati donna, BoEm riassume l’incoraggiamento a non subire dal patriarcale maschilismo (di cui è impregnata la nostra società a tal punto da rendere le donne peggior nemiche delle stesse, come sostiene da anni la stessa Gloss). Il componimento è imperniato sul concetto di solidità femminile, verrebbe da dire atavico, appartenente alle precedenti generazioni, quelle di donne cioè sopravvissute alla Seconda Guerra Mondiale, agli stenti e alle sue fatiche, irrobustite da dolori e sofferenze oggi inesistenti e la cui assenza impedisce alle ragazze odierne di crescere. “Hanno radici nelle tempeste” “fanno giacigli di terra/a evitare la guerra» ci ricorda BoEm, sottolineando, in controtendenza, che quelle donne non sono anoressiche ma “hanno pance che son delle culle”. Un'immagine di potente efficacia, che lascia tremebonde noi ragazze di oggi, immobilizzate nel benessere di bambagia e nella visione estetizzante delle proprie vite. Dalle osservazioni che la stessa BoEm fa della sua filosofia di scrittura, Gloss legge che il vivere è un ossimoro, essendo una “una poeta di seta e acciaio” migliore definizione che le abbiano regalato, donna che si denuda in poesia, consapevole della propria forza a impudico scudo di sé, togliendosi “strati di pelle, anzi direi di carne viva”, che si erano accumulati e che le pesavano. Non è dunque un caso che la sua voce poetica sia partecipe alle operazioni di sensibilizzazione circa la violenza sulle donne e, perciò dedicata alla onlus Bossy che fronteggia ogni forma di discriminazione. “Credo che le donne debbano essere portatrici di complicità non di rivalità: spesso aspre e sensibili oltre la sensibilità, siamo un universo di intelligenza e rivoluzione, gioia e dolore, peccato e santità.” Doti che dovrebbero non solo appartenere, ma riconosciute e sviluppate in ogni donna per una vita felice e piena. “Come essere umano, ho compiuto tre miracoli: Elisa, Pietro e Luca. Grazie dell’attenzione. Sono BoEm!” Meravigliosa consapevolezza, quel punto esclamativo, necessario a ogni donna (e Gloss aggiungerebbe anche a ogni uomo) al raggiungimento della consapevolezza di sé. Una donna esclamativa, Emanuela Botti, BoEm, così sicura della propria identità da voler scomparire dietro la propria arte.

martedì 15 novembre 2022

NELLA CITTÀ di Pietro Fratta

“La vita è un perenne ostacolo alla lettura” Daniel Pennac. Aforisma che Gloss si permette di riscrivere con NELLA CITTÀ di Pietro Fratta è un perpetuo ostacolo alla lettura. Sua opinione personalissima, evidentemente, dato che, non rassegnandosi a esercitare il n. 3 dei dieci imprescrittibili diritti del lettore (quello di non finire il libro) nello scavare in Rete notizie e informazioni e recensioni sul Fratta, reperisce solo sperticate parole di lode. Per tutta la prima metà del romanzo, Gloss legge parole incantate su un meraviglioso mondo voluto e dominato da un Dio che somiglia tantissimo a quello della comunità cattolica, ma persino più idealizzato e, per noi poveri mortali, ancor più irraggiungibile. Talvolta viene indotta a supporre si tratti di un romanzo distopico, dove tutto è roseo, illuminato dalle più tenere intenzioni, cosparso di personalità rilucenti di luce propria e altre fatte di tenerezza, rettitudine e altruismo; dove le relazioni sono improntate sull’aiuto e sostegno reciproco, fino a far insorgere nel lettore l’idea della prostituzione come gesto sacrificale. Solo la speranza che sia un romanzo di distopia permette a Gloss di continuare fin oltre la metà. Ma quando capisce che non c’è proprio plot, non contrasti di sorta, non prosecuzione su altri binari magari paralleli, magari no, non cambiamento, migliorativo o peggiorativo, del protagonista, a Gloss scatta la repulsione e chiude le pagine del romanzo, pur sapendo che non esercitando lecchinaggio nei confronti di Pietro Fratta, ormai diventato editore di poesia, non sarà più propenso a pubblicare il suo nuovo spicilegio poetico. Pazienza. Nel frattempo, Gloss riporta i dieci diritti di cui sopra, forse un tentativo di auto condiscendenza.
1. Il diritto di non leggere Leggere deve sottostare al principio della scelta: il lettore non può subire costrizione di sorta, pena l’abbandono dell’esercizio nobilissimo della lettura. 2. Il diritto di saltare le pagine Un libro sembra tendere all’infinito perché noioso? Il lettore può saltare di capitolo in capitolo, di frase in frase, alla ricerca della parte più interessante, pur di non annoiarsi. 3. Il diritto di non finire il libro Se il libro non fa identificare il lettore nei suoi personaggi, compie il più grave dei peccati. Non si senta allora il lettore dalla parte sbagliata e lo abbandoni al suo tristo destino. 4. Il diritto di rileggere Gloss fino a pochi anni fa si vantava di non aver mai letto un libro due volte. La maturità l’ha fatta ricredere, ci sono libri bellissimi che meritano la rilettura più e più volte e ogni volta parlano d’altro. Non sono cambiati i libri, è cambiato chi li legge. 5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa Chi legge tantissimo, legge perfino i bugiardini delle medicine. Come c’è da imparare anche dalle persone sbagliate, c’è da imparare anche dai pessimi scrittori. Persino da quelli che scrivono i bugiardini. 6. Il diritto al bovarismo Madame Bovary di Gustave Flaubert viveva sul confine tra realtà e fantasia con tale trasporto emotivo da nemmeno distinguerli più. Un libro a volte è meglio di un film, perché non offre immagini preconfezionate, ma suggerisce la creazione di mondi immaginari nella mente del lettore. Più sono vividi, più suscitano emozioni e identificazione. Da qui il termine bovarismo. 7. Il diritto di leggere ovunque A Gloss da bimba fu negato il diritto di leggere a tavola e nella vasca da bagno. Due buoni motivi per leggere ovunque durante il resto della sua vita. Due sono i momenti della giornata che più frequentemente accomunano i lettori: quello in cui si siedono sul trono bianco, e quello si sdraiano sul talamo serale. Data la peculiarità dei due luoghi, un buon libro deve poter essere letto con l’agio di ultimare il capitolo per tempo prima di addormentarsi o entro l’espletamento della funzione quotidiana della pulizia dei filtri. Possibilmente di peso tale da non ammaccare il naso del lettore addormentato e di interesse tale da non poter essere utilizzato come carta igienica. 8. Il diritto di spizzicare Il lettore deve poter aprire qua e là un libro e leggere a casaccio ciò che trova e riporlo, chiudendolo anche all’improvviso, senza dover per forza sentirsi in colpa per la propria incostanza. 9. Il diritto di leggere ad alta voce Prima dell’inizio di una messa in scena teatrale, gli attori si riuniscono e fanno una lettura collettiva ad alta voce del copione: è un buon metodo per permettere ai personaggi di prendere vita propria. Lo stesso deve poter avvenire per un lettore e il romanzo che sta leggendo. 10. Il diritto di tacere Ecco, Gloss ha come l’impressione che stavolta avrebbe fatto meglio a far tacere la propria tastiera. “L’uomo costruisce case perché è vivo e scrive libri perché è mortale”, scrive enigmaticamente Daniel Pennac alla fine del suo decalogo. Un buon silenzio non fu mai scritto. Pietro Fratta la perdoni, se può.

mercoledì 2 novembre 2022

LEGGENDA di Sylvain Prudhomme

C’è una libreria indipendente di Torino che Gloss preferisce non nominare per non enfiare l’ego dei proprietari e soprattutto per non fare torto a nessuno. Chissà che una di queste smetta di invitarla a presentare i propri libri causa la sua manifesta preferenza. E comunque, le librerie indipendenti, anche quelle sprovviste di mailing list o di newsletter per i propri clienti affezionati, vanno sostenute per quella che ormai è diventata un'opera coraggiosa di divulgazione della cultura. Se questa libreria specifica propone una presentazione, Gloss sa che ne vale la pena per l’accuratezza della selezione letteraria, per la professionalità dei librai presenti in negozio, per la loro dedizione alle letture più disparate, per la determinazione che mettono nel promuovere i libri interessanti, con tanto di comitato di lettura che si riunisce in compagnia di un calice di quello buono e che decide cosa e chi presentare. Il romanzo LEGGENDA di Sylvain Prudhomme, con tali premesse dunque, prometteva bene. Narra essenzialmente di come siano passati in latenza due cugini, tra loro tanto dissimili, eppure fratelli, anche nella morte, avvenuta in contemporanea a quarant’anni causa la piaga del secolo scorso. E di un periodo storico, quello degli anni Ottanta e Novanta, che vide protagonista tra i giovani la trasgressione.
"Perché sono io a testimoniare della vita folgorante di questi due cugini?" si chiese Prudhomme alla presentazione. Perché proprio io? Una domanda fondante che ogni autore si fa. È il passaggio nodale del romanzo, suppone Gloss, riportandone un estratto allo scopo di invogliare alla lettura. “Che cosa cerchiamo tutti in questa vicenda. È la loro vita o la loro morte che ci impressiona? Chissà se la loro esistenza ci avrebbe affascinato altrettanto se si fossero spenti tranquillamente da ottant'anni. (...) Non è forse sempre un po’ la propria morte che ci si prepara rileggendo la vita degli altri?” Se Gloss dovesse individuare il plot del romanzo, inteso come filo conduttore di una trama che porta da A a Z, passando attraverso i famigerati colpi di scena, un vero e proprio schemino insegnato ai corsi di scrittura creativa che va tanto di moda, non lo troverebbe. Perché è Grande Letteratura, quella di Prudhomme, non quella che si impara andando a lezione, fosse anche del Baricco di turno. Se Gloss avesse dovuto comprare il libro dalla copertina, non l’avrebbe fatto. Anonima, quasi perfino stinta nei colori, non attrattiva, non narrante del contenuto come lo stesso titolo. Consigliato ai cercatori di un’epoca ormai scomparsa, ai giovani di oggi che non hanno più voglia di trasgredire, ai creatori di moda per intravedere nel romanzo la figura di Christian Lacroix o Yves Saint Laurent, ai lettori accaniti di Grande Letteratura.

martedì 2 agosto 2022

CANDIDO di Sciascia CANDIDO di Voltaire

Finito un trasloco, a Gloss arriva in mano un volume particolare appartenente al suo partner. Il volume comprende entrambi i due CANDIDI, uno di Voltaire, l’altro di Sciascia, accomunati dal titolo. Se di entrambi conosciamo tematiche, incipit e finali, sorprendenti in quanto inusitati (a conferma che, a fare di un libro, un buon libro occorrono incipit fulminanti e finali da ricordare), forse non si conosce cosa emerge dal confronto di due opere che curiosamente hanno il medesimo titolo. In buona sostanza, il filosofo settecentesco, attraverso le disavventure bibliche modello
Giobbe del protagonista, tratta di quell’ottimismo inutile alla crescita personale dell’individuo, se non come riconoscimento della opportunità di “coltivare il proprio giardino”, ovvero, di farsi gli affari propri. Mentre il nostro contemporaneo, tratta di pessimismo come formulazione per prevenire le sfortune, adottando opportune strategie a propria tutela. Sciascia, per la verità, cita il Voltaire, per inciso con la nonchalance dell’intellighenzia di sinistra, cui inneggia a piè sospinto. Ciò permette due considerazioni a Gloss: la prima, imparare a lasciare andare la propria pedanteria, un costrutto tipico del suo tronfio ego. La seconda, iscriversi a un qualsiasi partito di sinistra per vedersi finalmente intellettuale apprezzata. Altra considerazione, imparare ad apprezzare la conclamata dipendenza intellettuale di un autore: tutto risulta più facile e diretto, non si deve apprendere a farne la tara, perché c’è già. L’immarcescibile considerazione sull’efficacia della copertina: essenziale nei colori e nella scelta dei caratteri, Helvetica su blu cobalto per Sciascia - da perfetto pessimista, a Times su verde speranza per Voltaire: crasi azzeccata. La recensione potrebbe già finire qui, ma, per Creare Valore, a Gloss preme parlare di stereotipi. Ha cominciato la lettura da Voltaire, perché ha scelto proprio in contemporanea una sua citazione come esergo della sua opera sull’uso improprio degli stereotipi, che tanta parte hanno nel radicare nella gente la (falsa) convinzione che le donne siano inferiori agli uomini. Perciò, invece di citare Voltaire per primo, come la più parte degli autori farebbe, cita la sua partner, la Marchesa Émilie du Châtelet. “L’uomo più felice è colui che non vuole cambiare il proprio stato.” Durante il Settecento, fu figura notevole; frequentava la corte ma non trascurava mai di immergersi nei suoi studi scientifici. Travestita da uomo, partecipava alle riunioni di scienziati che si svolgevano nei caffè parigini e a cui non erano ammesse le donne. La relazione con Voltaire, un legame intellettuale più che sentimentale, la indusse a trasferire la sua biblioteca e installare un vero laboratorio nella loro casa comune, che divenne ben presto il centro di promozione della fisica newtoniana in Francia, frequentata dai più grandi scienziati. La Marchesa suggerì a Voltaire di scrivere un compendio divulgativo delle teorie di Newton per il pubblico francese: sono i celebri “Elementi della filosofia di Newton”, la cui compilazione è però attribuita al solo Voltaire. A lei va il merito di aver introdotto Newton in Francia e di averlo inserito nel patrimonio di idee dell’Illuminismo. Eppure nessuna menzione. Per contrappasso, il doppio esergo di questo libro, citando Voltaire come suo partner e non il contrario, come invece è stereotipata consuetudine, vorrebbe renderle la giustizia storica che merita. “Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gl’imbecilli sono sicuri di ciò che dicono.” François Marie Arouet Voltaire, detto solo Voltaire, partner della Marchesa Émilie du Châtelet. Consigliati, i due CANDIDI, a chi volesse apprendere qualcosa sulla giustapposizione tra pessimismo e ottimismo, strumentali alla fatica del vivere.