venerdì 22 luglio 2016

SOTTOMISSIONE

Da diversi mesi avevo prenotato in biblioteca quest'ultimo romanzo di Michel Houellebecq, che sembrava sparisse ad ogni sua apparizione sugli scaffali. Come sempre faccio, cerco di ignorare chi sia l'autore, specie se ho il sospetto sia un grande, confortata dalle innumerevoli apparizioni sui Media. In questo mio sospetto è contenuta tutta la mia critica contro i Mass Media, ma non è qui il luogo adatto per sviscerarne le considerazioni.
Quando approccio una lettura per la recensione, voglio rimanere all'oscuro circa argomento e autore, da una parte per onestà intellettuale, dall'altra perché voglio farmi sorprendere. In questo caso sembrava fosse impossibile, ma mi sono adoperata per ignorare e ci sono riuscita.

Nel leggere la nota in chiusura: “Non ho studiato all'università (…) Se le mie affabulazioni rientrano in una cornice abbastanza credibile, lo devo solo a lei” (Agathe Novak-Lechevalier, professore associato di non so quale istituto universitario), affermazioni all'apparenza veritiere, dovetti istruirmi. Ma faccio un passo indietro.

Ambientato in un futuro più che prossimo che vede l'ascesa del candidato islamico alla guida della Francia, il romanzo è impregnato di fanatismo religioso. Il protagonista, emerito docente di letteratura francese presso una delle principali università dei nostri cugini, parla in prima persona, dapprima non inneggia all'Islam, ma ne subisce passivamente l'imposizione, come altri suoi colleghi universitari, preoccupato com'è più dall'avanzare dell'età, inversamente proporzionale alla disponibilità di carni fresche da scopare (mi si perdoni se uso lo stesso metalinguaggio del protagonista), che non dall'avanzare di una nuova dittatura, spaventato dal cambiamento delle donne occidentali, sempre più disinibite e indipendenti. Si vede talvolta costretto a rivolgersi a donne a pagamento.Da diversi mesi avevo prenotato in biblioteca quest'ultimo romanzo di Michel Houellebecq, che sembrava sparisse ad ogni sua apparizione sugli scaffali. Come sempre faccio, cerco di ignorare chi sia l'autore, specie se ho il sospetto sia un grande, confortata dalle innumerevoli apparizioni sui Media. In questo mio sospetto è contenuta tutta la mia critica contro i Mass Media, ma non è qui il luogo adatto per sviscerarne le considerazioni.
Quando approccio una lettura per la recensione, voglio rimanere all'oscuro circa argomento e autore, da una parte per onestà intellettuale, dall'altra perché voglio farmi sorprendere. In questo caso sembrava fosse impossibile, ma mi sono adoperata per ignorare e ci sono riuscita.

Nel leggere la nota in chiusura: “Non ho studiato all'università (…) Se le mie affabulazioni rientrano in una cornice abbastanza credibile, lo devo solo a lei” (Agathe Novak-Lechevalier, professore associato di non so quale istituto universitario), affermazioni all'apparenza veritiere, dovetti istruirmi. Ma faccio un passo indietro.

Ambientato in un futuro più che prossimo che vede l'ascesa del candidato islamico alla guida della Francia, il romanzo è impregnato di fanatismo religioso. Il protagonista, emerito docente di letteratura francese presso una delle principali università dei nostri cugini, parla in prima persona, non inneggia all'Islam, ma ne subisce passivamente l'imposizione, come altri suoi colleghi universitari, preoccupato com'è dall'avanzare dell'età, inversamente proporzionale alla disponibilità di carni fresche da scopare (mi si perdoni se uso lo stesso metalinguaggio del protagonista), spaventato dal cambiamento delle donne occidentali, sempre più disinibite e indipendenti. Si vede talvolta costretto a rivolgersi a donne a pagamento.

Un lettore qualsiasi, come me, potrebbe persino pensare sia autobiografico. Una femminista qualsiasi, come me, potrebbe addirittura indignarsi per la mercificazione di donne, sia da parte dell'emerito, sia per le minorenni offerte in isposa ai colleghi convertiti all'Islam. Inoltre, fino alle ultime dieci pagine, il protagonista sembrava appartenere a quella classe di personaggi che nel plot di un racconto, non cambiano. Altro elemento, dunque, che aborro. Invece no: cambia totalmente. Dal rifiuto a livello teorico dell'Islam, rifugiandosi sempre tra le braccia (dovrei dire gambe) di qualche studentessa, alla fine di quella religione accetta le lusinghe economico carnali. Non mi sono indignata. Mi è venuto proprio il voltastomaco. Assunta la convinzione che fosse autobiografico, non osavo credere che un intellettuale come Houellebecq accettasse la conversione pur di mantenere la cadrega, uno stipendio doppio rispetto al precedente e, come se già non bastasse, pure in cambio di carni minorenni e sottomesse, garantite dal nuovo sistema politicoreligioso.

Quindi, faccio ricerca e scopro che QUEL protagonista non è Houellebecq, che Houellebecq non solo ha formazione universitaria di prima mano, ma ha anche subìto (e vinto) non so bene se un processo per islamofobia che sarebbe l'odio o la paura verso l'islam o verso i musulmani in genere o comunque una mirata attitudine xenofoba (come dalla fonte dell'ESPRESSO online del gennaio 2015) o se contro i costumi dei Paesi Arabi in generale (e in questo caso si parlerebbe di razzismo come da fonte di ADNKRONOS online di febbraio 2015). Il significato di islamofobia non coincide con quello di antislamismo, termine che invece indica l'opposizione alle dottrine e pratiche politiche che mirano alla creazione di uno stato che trovi nella religione islamica i principi guida per regolarne la sfera economica, politica e sociale oltre che religiosa e che nel caso di Houellebecq sembrerebbe più attinente. Ancora solo pochi giorni prima della scrittura di questa recensione (giugno 2016), al COLLISIONI FESTIVAL di Barolo, il provocatorio autore affermava: Il Jihadismo sta prendendo piede. Ce la faranno. 

Quindi il romanzo, tutto sommato semplice e lineare nel suo svolgimento, direi persino inevitabile nel pur sorprendente finale, è un dileggio cattivissimo del sistema islamico. Sembra dire: Io, Houellebecq, accusato di islamofobia, scrivo un romanzo che sembra dare ragione all'Islam e che invece è una critica ferocissima, giocata con la carta della dimostrazione paradossale.

Sono sotto shock per la bellezza. Fosse un'opera d'arte visiva, parlerei di Sindrome di Stendhal. Se credevo, prima di lui, che après David Foster Wallace le déluge, ora dico che non troverò un altro autore all'altezza della costruzione di un mondo tanto parallelo quanto verosimile come Houellebecq.
Consigliato non a chi ha paura dell'Islam, ma agli inconsapevoli, ai cosiddetti dotti, ai menefreghisti politici e religiosi. Il personaggio diventa progressivamente terreno fertile su cui attecchiranno le manipolazioni del potere nascente.

Un lettore qualsiasi, come me, potrebbe persino pensare sia autobiografico. Una femminista qualsiasi, come me, potrebbe addirittura indignarsi per la mercificazione di donne, sia da parte dell'emerito, sia per le minorenni offerte in isposa ai colleghi convertiti all'Islam. Inoltre, fino alle ultime dieci pagine, il protagonista sembrava appartenere a quella classe di personaggi che nel plot di un racconto, non cambiano. Altro elemento, dunque, che aborro. Invece no: cambia totalmente. Dal rifiuto a livello teorico dell'Islam, rifugiandosi sempre tra le braccia (dovrei dire gambe) di qualche studentessa, alla fine di quella religione accetta le lusinghe economico carnali. Non mi sono indignata. Mi è venuto proprio il voltastomaco. Assunta la convinzione che fosse autobiografico, non osavo credere che un intellettuale come Houellebecq accettasse la conversione pur di mantenere la cadrega, uno stipendio doppio rispetto al precedente e, come se già non bastasse, pure in cambio di carni minorenni e sottomesse, garantite dal nuovo sistema politicoreligioso.

Quindi, faccio ricerca e scopro che QUEL protagonista non è Houellebecq, che Houellebecq non solo ha formazione universitaria di prima mano, ma ha anche subìto (e vinto) non so bene se un processo per islamofobia che sarebbe l'odio o la paura verso l'islam o verso i musulmani in genere o comunque una mirata attitudine xenofoba (come dalla fonte dell'ESPRESSO online del gennaio 2015) o se contro i costumi dei Paesi Arabi in generale (e in questo caso si parlerebbe di razzismo come da fonte di ADNKRONOS online di febbraio 2015). Il significato di islamofobia non coincide con quello di antislamismo, termine che invece indica l'opposizione alle dottrine e pratiche politiche che mirano alla creazione di uno stato che trovi nella religione islamica i principi guida per regolarne la sfera economica, politica e sociale oltre che religiosa e che nel caso di Houellebecq sembrerebbe più attinente. Ancora solo pochi giorni prima della scrittura di questa recensione (giugno 2016), al COLLISIONI FESTIVAL di Barolo, il provocatorio autore affermava: IlJihadismo sta prendendo piede. Ce la faranno

Quindi il romanzo, semplice e lineare nel suo svolgimento, direi persino inevitabile nel pur sorprendente finale, è un dileggio cattivissimo del sistema islamico. Sembra dire: Io, Houellebecq, accusato di islamofobia, antislamismo, razzismo, scrivo un romanzo che sembra dare ragione all'Islam e che invece ne è una critica ferocissima, giocata con la carta della dimostrazione paradossale.

Sono sotto shock per la bellezza. Fosse un'opera d'arte visiva, parlerei di Sindrome di Stendhal. Se credevo, prima di lui, che après David Foster Wallace le déluge, ora dico che non troverò un altro autore all'altezza della costruzione di un mondo tanto parallelo quanto verosimile come Houellebecq.

Consigliato non a chi ha paura dell'Islam, ma agli inconsapevoli, ai cosiddetti dotti, ai menefreghisti politici e religiosi.


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