SFRATTATI di Giuseppe Marotta,
ufficiale giudiziario di professione, si direbbe un saggio, ma è più
un romanzo, o meglio la felice commistione dei due generi, sorretta
dalla napoletanità dell'autore. Fosse cinema, lo definirei
docufiction, chissà magari dando l'idea per un progetto televisivo a
qualche produttore TV.
Letto poco più di un anno fa, appena
sfrattata per morosità incolpevole e ospite di mia madre, all'epoca
ne patii le conseguenze, abbattendomi nel morale. Già non riuscivo a
rassegnarmi all'idea di non avere più una casa mia, inoltre si era
aggiunto un atto di pignoramento da parte dell'ex mio padrone di
casa, gravante sull'appartamento della mamma, giustificato dal fatto
che ne avevo ereditato una piccola percentuale alla morte del papà.
Avendo un reddito molto limitato, non avevo idea di come fare a
ripagare il mio debito affinché mia mamma ne conservasse proprietà
e possesso. Leggere il Marotta che testimonia in prima persona i
tentativi di suicidio degli sfrattati non mi consolò, tutt'altro. Ma
mi permise di raggiungere una maggior consapevolezza e
determinazione. Quando un libro ti cambia la vita, è un BUON libro.
Lo lasciai decantare, prima di farne una recensione, e mi buttai
nella risoluzione del problema.
A distanza di un anno o poco più,
sulla strada della soluzione ormai definitiva, ho riletto SFRATTATI
con occhio diverso e l'ho trovato non solo efficace come saggio, ma
anche splendido in quanto romanzo. Il Marotta stesso premette di
desiderare l'imitazione dei suoi modelli, da Charles Bukowski e le
sue donne, pur non avendone lo stesso sentire, a Francis Scott
Fitzgerald e i suoi cocktails a suon di jazz, passando attraverso
Ernest Hemingway e le sue avventure di caccia. Ma ci mette la
napoletanità che gli è propria, la quale si traduce in umanità e
empatia per le vittime di sfratto, che non sono solo gli inquilini,
il più delle volte morosi incolpevoli per la triste congiuntura di
mercato, ma anche i proprietari che da mesi, se non da anni, non
percepiscono la pigione, magari essendosi impegnati in un mutuo.
Però SFRATTATI non è solo tragedia
(il tentato suicidio di un imprenditore percorre tutta la lunghezza
del libro, più uno da parte di una coppia marocchina con prole cui
l'ufficiale giudiziario assiste in persona, oltre ad accennare ad
altri morti suicidi italiani sfrattati), ma anche comicità per come
l'autore tratteggia situazioni e personaggi-macchietta. Se non fosse
per l'efferatezza della scena, anche la narrazione di questa famiglia
marocchina di come tenti il suicidio di massa, sconfinerebbe nel
comico. Ciò che tocca di più, resta la capacità di identificazione
del Marotta nei protagonisti degli sfratti da lui eseguiti, proprio
per comporre le dispute che di solito insorgono alla sua presenza. Ci
riesce, quasi sempre, come nel caso del suo compaesano camorrista,
che sfocia nell'ilarità. Quel QUASI però è riferito
all'imprenditore che, una volta accettato lo sfratto, si chiude in
bagno e si spara, finendo in coma.
Ma in chiusura, anche questo episodio
si conclude in vittoria. L'ufficiale giudiziario, tormentato dal
senso di colpa, desidera andare a trovarlo per tutto lo spazio del
libro, quindi a questo scopo resta in contatto telefonico con un
infermiere amico suo che assiste il comatoso, temendo di essere
rifiutato. Ma al risveglio, lo sfrattato accetta. E non solo: ammette
al Marotta di aver raggiunto un'apertura mentale che prima del coma
non aveva avuto.
Consigliato a futuri ufficiali
giudiziari, a chiunque svolga una professione di mediazione, agli
sfrattati e ai loro padroni di casa, ai tecnici e ai politici
comunali affinché risolvano l'emergenza sfratti. Nel testo, il
Marotta a questo proposito dà loro opportuni suggerimenti.
Essendo stata coinvolta, suo malgrado, in una esecuzione di sfratto, Stefania Pastori ha letto SFRATTATI con l'occhio di chi conosce il dramma di perdere la casa nei suoi aspetti più nascosti. E questo è un valore aggiunto alla sua recensione. Grazie, Stefania. Giuseppe Marotta
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