domenica 10 luglio 2016

JOYLAND

Pensavo che con SHINING, letto almeno una dozzina di volte, avessi finito la mia avventura letteraria assieme a Stephen King. Per certi versi, resta tutt'ora all'apice della paura e della creatività. Adolescenziale e la mia credenza e l'approccio terrorificoinguistico dell'autore. Infatti, quando scovai tra i miei appunti per consigli di lettura questo JOYLAND suggerito dal collega Antonio Lanzetta, mi risolsi a prenderlo in prestito dalla biblioteca solo perché gli altri 23 titoli in nota da leggere non erano a catalogo e questo invece sì. Sebbene sbeffeggiata dagli amici lettori che stimo, più procedevo nella lettura, più riconoscevo che mi era stato dato un ottimo consiglio.

Abbandonati gli adolescenziali stilemi del terrore a tutti i costi, King porta a compimento un'opera in grande stile, matura, ragionata e scritta col senno di poi, vissuta sulla sua pelle (almeno appare tale l'episodio della perdita della verginità da parte di un ventunenne iniziato da una donna più matura), tutto sommato semplice nello sviluppo del plot, quindi verosimile, nonostante l'arricchimento in turpiloquio. Il lettore avverte la nostalgia del tempo che fu, la quale trasuda da ogni passaggio, conquistandolo.

Tornano i temi della luminanza (un traduttore disgraziato pensò di rendere così la parola shining), come sempre attinenti a bimbi debolmente dotati in salute, ricorrenti oltre che in questo JOYLAND, nel già citato SHINING ma anche IT: mi sorge solo oggi il sospetto che pure questa sia una situazione autobiografica. A parte quel paio di cosette o tre scontate, la bellezza da sturbo dell'iniziatrice, la forza di carattere del ragazzino condannato, il ghigno malefico dell'assassino, il romanzo scorre liscio come un giallo ben congegnato.

Consigliato a inveterati giallisti, a nostalgici dei primi amori, ad appassionati di storia dei Luna Park.

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