Pensavo che con SHINING, letto almeno
una dozzina di volte, avessi finito la mia avventura letteraria
assieme a Stephen King. Per certi versi, resta tutt'ora all'apice
della paura e della creatività. Adolescenziale e la mia credenza e
l'approccio terrorificoinguistico dell'autore. Infatti, quando scovai
tra i miei appunti per consigli di lettura questo JOYLAND suggerito
dal collega Antonio Lanzetta, mi risolsi a prenderlo in prestito
dalla biblioteca solo perché gli altri 23 titoli in nota da leggere non erano a catalogo e
questo invece sì. Sebbene sbeffeggiata dagli amici lettori che
stimo, più procedevo nella lettura, più riconoscevo che mi era
stato dato un ottimo consiglio.
Abbandonati gli adolescenziali stilemi
del terrore a tutti i costi, King porta a compimento un'opera in
grande stile, matura, ragionata e scritta col senno di poi, vissuta
sulla sua pelle (almeno appare tale l'episodio della perdita della
verginità da parte di un ventunenne iniziato da una donna più
matura), tutto sommato semplice nello sviluppo del plot, quindi
verosimile, nonostante l'arricchimento in turpiloquio. Il lettore
avverte la nostalgia del tempo che fu, la quale trasuda da ogni
passaggio, conquistandolo.
Tornano i temi della luminanza (un
traduttore disgraziato pensò di rendere così la parola shining),
come sempre attinenti a bimbi debolmente dotati in salute, ricorrenti
oltre che in questo JOYLAND, nel già citato SHINING ma anche IT: mi
sorge solo oggi il sospetto che pure questa sia una situazione
autobiografica. A parte quel paio di cosette o tre scontate, la
bellezza da sturbo dell'iniziatrice, la forza di carattere del
ragazzino condannato, il ghigno malefico dell'assassino, il romanzo
scorre liscio come un giallo ben congegnato.
Consigliato a inveterati giallisti, a
nostalgici dei primi amori, ad appassionati di storia dei Luna Park.
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