La prima cosa che
mi ha fatto scegliere di leggere questo libro è il titolo. Cosa sarà
mai questa o questo Topeca. Che razza di parola è. Topeca. TO PE CA.
T O P E C A. Me la giro e rigiro tra i denti. Non mi dice nulla.
Sembra quasi il nome di una città nel deserto dell'Arizona.
L'autore, Michele Orti Manara, fa iniziare il libro con
una scena spettacolare, come la miglior cinematografia hollywoodiana
ci insegna. Avvince subito il lettore in un turbinio di involontario
eroismo. Poi però cambia registro, pur deliziando palati sopraffini con termini da cercare sul vocabolario. Uno su tutti: prossemica.
“Una delle poche cose di cui
Topeca è certo, con precisione pressoché scientifica, è che
chiunque, per quanto insignificante o misero possa sentirsi, abbia la
reale possibilità di cambiare il mondo.”
Si direbbe persino una massima
buddista.
Atri gioiellini di ironia sparsi qua e
là nella vita grigia non grigia del Topeca, che però, pur gradevole la narrazione, restano uniche fonti di stupore.
“Tartare di polpo con vellutata di
radicchio e capperi salati. Ora, dello scetticismo di Topeca verso il
cibo con nomi buffi si è già detto. Trovarli tutti insieme in un
unico piatto ha però del prodigioso ”
“Dopo averci pensato a lungo,
Topeca si è ormai persuaso che il segreto della felicità, per lo
meno della sua, stia nel metodo. Quale metodo be', questo Topeca non
ha la presunzione di saperlo con certezza.”
Finalmente il finale riscatta la monotonia della vita (e della lettura), lasciando commentatore (e lettore) con la curiosità
di sapere quale sia l'ossessiva lettura di quest'uomo
dall'improbabile nome di una città dell'Arizona.
Consigliato a chi cerca l'umorismo
sottile per combattere la vita grigia e a chi fosse interessato ad arricchire
il proprio vocabolario.
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