martedì 26 luglio 2016

DESTINI VERTICALI

Di questo breve romanzo di Alessandro Toso mi ha attirato subito il titolo. Forte e deciso, avrebbe rimandato ad altrettanta forte e decisa storia? Ora che l'ho finito dopo qualche tentennamento dico sì. 

I tentennamenti sono dovuti al fatto che è una storia di maschi, come solo i maschi sanno essere. Chiusi in se stessi, senza possibilità di scampare all'impossibilità di raccontarsi se non a donne, di perdonarsi le proprie brutture, tra alcool e invidie di paese, di confidarsi tra loro per paura di apparire deboli. Sarebbe intrigante sviluppare una serie di considerazioni di genere, inteso come differenza tra uomini e donne letterariamente parlando, ma non credo sia questo blog il luogo adatto. 

Tuttavia mi appare doveroso notare che, dotati di linguaggio scarno e a tratti volgare, i personaggi del Toso siano tagliati col falcetto, certamente con il giusto spessore ed equilibrio tanto da essere resi vividamente, ma senza quelle sfumature che invece appartengono al mondo femminile. Quindi per un certo tratto della storia ammetto di aver arrancato. Però come nella buona letteratura accade, il finale è riscattante e sorprendente, nonostante sia stato telefonato. Mi aspetto che l'autore progredisca sempre più nel migliorarsi. Mi aspetto che ora parli delle sfumature di noi donne. È una sfida che gli lancio.

Consigliato agli appassionati delle arrampicate, dei paesaggi alpini, del cameratismo tra maschi.

"Madame Pipi" di Tinto Brass e Caterina Varzi

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Di Tinto Brass e Caterina Varzi. La copertina si vende da sé: in campo roseo una Tour Eiffel, simbolo fallico, ma capovolta: diventano le cosce strette di una signora. Sottotitolo: un romanzo.

Prima ancora di chiedersi chi fosse la Varzi, Gloss si è sono chiesta perché questo sottotitolo. Il Tinto nazionale invece lo conosciamo tutti, per la sua porcellaggine nazional popolare, considerazione che, che sulle prime, ha influenzato il significato del titolo. Nel sesso esistono, e sono adoperate da molte più persone di quelle che si possano sospettare, le cosiddette pratiche dannunziane, che prevedono l'ingestione, anzi, Gloss suppone che la parola adatta sia l'ingurgitare, delle nostre produzioni più intime, per ricavarne piacere erotico. Perciò, visto l'autore, visto il titolo, pensava già ad una pletora di tali pratiche, che, detto per inciso, aborrisce. Quindi iniziò la lettura con malavoglia. 

Niente di tutto ciò.

Pur essendo femminista, la sua onestà intellettuale e lo spirito di ricerca che la sostengono, l'hanno condotta a sostenere che le donne siano superiori agli uomini persino nel male. ('Standing Ovulation' saggio sociologico) Questo un romanzo, senza fare spoiler, ne è la conferma. Vorrebe poter raccontare qualche scena, ma evita per ovvi motivi di spoileraggio.

Quindi, ne parla per ciò che più l'ha toccata intimamente: il rapporto madre single/figlio invalido, perché è il presupposto della sua vita dopo i quarant'anni. La protagonista femminile, Antoinette, è per l'appunto una madre sola, un tantino appassita ormai, alle prese con un onesto lavoro (la Madame Pipì del titolo è lei, scopriamo subito dalle prime pagine che è un nomignolo attaccatole dagli avventori del pub in cui lavora come commessa ai bagni) e con le cure dedite al figlio handicappato, che l'assorbono tutto il tempo libero, esattamente come successe a Gloss per alcuni anni. In questo tratto del un romanzo, ha patito per empatia.

Abbandonata anni or sono dal partner, nel suo intimo, la protagonista coltiva il sogno di incontrare un uomo che la risollevi e la salvi dalle sue tristi condizioni. E qui Gloss ne ha prende le distanze, perché non ha cercato un uomo cui poggiarsi. Antoinette invece lo incontra. È François, un uomo colto, raffinato, un medico, un Master, come si direbbe secondo certa terminologia cara agli ambienti BDSM. Costui non solo la domina sessualmente, degradandola e togliendole progressivamente la libertà, ma perfino le impone di rinchiudere il figlio in un istituto, perché sia più libera e disponibile per le sue perversioni. Pur di possederlo, Antoinette gli si sottomette e gli ubbidisce, fino a quando. E qui Gloss si deve arrestare per fare alcune considerazioni.

Se nel primo tratto del un romanzo ha empatizzato negativamente perché vedeva sé stessa in Antoinette, nella seconda parte invece la sua autostima ha subito una forte impennata, congratulandosi nel suo intimo per aver cresciuto una bimba gravemente invalida senza l'aiuto di partner alcuno. Col famigerato senno di poi, forse avrebbe avuto bisogno di un uomo al suo fianco. Infatti, tutta spesa e protesa nella cura e nel recupero psicomotorio della figlia, un bel giorno il suo corpo la stoppò. La mente, mente. Il corpo non mente.
Con lo spirito di ricerca che la caratterizza, Gloss scopre che la Varzi è una specialista di fenomenologia amorosa, nonché partner nella vita di Tinto Brass. Il suo contributo nella costruzione dei due protagonisti si rivela prezioso e assennato.
Resta inevasa la domanda: perché un romanzo. La drammatica conclusione da film horror è solo una delle tante possibili.

Consigliato a genitori di figli invalidi, a lettori e fruitori di BDSM, ad appassionati di scene splatter.


venerdì 22 luglio 2016

"Sottomissione" di Michel Houellebecq

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Da diversi mesi Gloss aveva prenotato in biblioteca il romanzo 'Sottomissione' di Michel Houellebecq uscito in Europa nel 2015: sembra sparire dagli scaffali a ogni sua apparizione. Come sempre fa, cerca di ignorare chi sia l'autore, specie se si tratta di un Grande della Letteratura, con innumerevoli apparizioni sui Media. In questo atteggiamento è contenuta la sua critica verso Mass Media e cultura mainstream, ma non è il blog più indicato per sviscerare le considerazioni. Forse affronterà l’argomento in poetryreadingandotherside.  

 

Quando approccia una lettura per la recensione, Gloss vuole rimanere all'oscuro circa argomento e autore, da una parte per conservare lucidità e onestà intellettuale, dall'altra perché preferisce farsi sorprendere. Con 'Sottomissione' sembra impossibile, vista l’alta esposizione mediatica, ma si adopera per ignorare e ci riesce. Tuttavia, nel leggere la nota in 4° di copertina dalla veritiera apparenza, deve istruirsi: «Non ho studiato all'università (…) Se le mie affabulazioni rientrano in una cornice abbastanza credibile, lo devo solo a lei» (che è Agathe Novak-Lechevalier, professore associato di qualche istituto universitario). Michel Houellebecq è invece emerito docente di letteratura francese presso una delle principali università dei nostri cugini.  

Ambientato in un futuro distopico più che prossimo che vede l'ascesa del candidato islamico alla guida della Francia, il romanzo è impregnato di fanatismo religioso. Il protagonista parla in prima persona, dapprima non inneggia all'Islam, ma ne subisce passivamente l'imposizione, come altri suoi colleghi, preoccupato non dall'approssimarsi di una nuova dittatura, ma dall'avanzare dell'età, inversamente proporzionale alla disponibilità di carni fresche da 'scopare' (si perdoni Gloss l'utilizzo del metalinguaggio del protagonista). Spaventato dal cambiamento delle donne occidentali, sempre più disinibite e indipendenti, si era visto costretto a rivolgersi a signore che danno amore a pagamento.  

Un lettore qualsiasi, come Gloss, potrebbe convincersi sia verosimilmente autobiografico. Una femminista qualsiasi, come Gloss, potrebbe addirittura indignarsi per la mercificazione della Donna nelle carni di minorenni offerte in isposa ai colleghi convertiti all'Islam, pratica condannata e penalizzata dall'Occidente, ma accettata e utilizzata da parte del protagonista. Inoltre, fino alle ultime dieci pagine, il protagonista sembra appartenere a quella classe di personaggi che nel plot di un racconto, non cambiano. Altro elemento, dunque, che Gloss non apprezza. Fatta la tara della convinzione che sia autobiografico, non avrebbe osato credere che un intellettuale della statura di un Houellebecq si convertisse pur di mantenere la 'cadrega', uno stipendio doppio rispetto al precedente e carni minorenni e sottomesse, garantite dal nuovo sistema politicoreligioso-tuttoattaccato. È scritto così bene e con tale convincimento, che si potrebbe cadere nel tranello di veridicità solo perché raccontato in prima Persona. Apprezzabile, a questo proposito, l'intervento 'Il Gioco di Narrare Sè Stessi' a pag. 5 su L'Indice di Febbraio 2025 di Andrea Pomella (della sua opera 'Anni Luce' si può leggere qui)  

La voce narrante è quella di un François di pura invenzione, professore di letteratura francese a Parigi che cambia totalmente. Il personaggio diventa progressivamente terreno fertile su cui attecchiranno le manipolazioni del potere nascente. Dal rifiuto a livello teorico dell'Islam, rifugiandosi sempre tra le gambe di qualche studentessa, finisce per accettare le lusinghe economico/carnali della religione islamica. Chiunque si indignerebbe. Anzi, gli verrebbe proprio il voltastomaco.  

Sotto la spinta dell'esecrazione, Gloss ricerca e scopre che Houellebecq ha subìto (e vinto) non sa bene se un processo per islamofobia, ovvero odio e/o paura verso l'Islam, verso i mussulmani in genere, come da fonte del periodico 'Espresso' in versione on-line del gennaio 2015, o per un'attitudine xenofoba o di più mirata islamofobia, nel sottolineare opposizione a dottrine e pratiche politiche che miranti alla creazione di uno stato che reperisce nella religione islamica i soli principi guida per autoregolarsi nelle sfere economica/politica/sociale.  

Ancora solo pochi giorni prima della scrittura di questa recensione (giugno 2016), al 'Collisioni Festival' di Barolo, il provocatorio autore affermava: «Il Jihadismo sta prendendo piede. Ce la faranno.» Un'affermazione gratuita? No, dalla ricerca documentale Gloss ricava che l'autore è di madre algerina e ha vissuto in quella nazione maomettana.  

Secondo la Fallaci in ‘La Forza della Ragione’ quella islamica è una vera e propria conquista silenziosa, che si sta attuando non solo 'a casa loro' ma in ogni nazione d'Europa e del Mondo. Non più con razzie, sangue e armi, come nei secoli precedenti, ma tramite lobby islamiche che in Europa e nel resto del mondo fanno pressione perché siano approvate leggi pro Islam. E a colpi di parto. Per ogni nostro bimbo, ne nascono 5 da famiglie islamiche. Almeno in Italia. Su quasi 59.000 ivi residenti, il tasso di fecondità ha una media bassissma, contrariamente a quello delle migrate islamiche (una media di 4/5 figli).  

Semplice e lineare nel suo svolgimento, pur sorprendente nel finale, il romanzo è un oltraggio terribile del sistema islamico, quasi une revanche di Houellebecq accusato di islamofobia. Dà apparentemente ragione all'Islam, ma è una critica ferocissima, giocata con la carta della dimostrazione paradossale.  

A fine lettura, Gloss dimora diverse ore sotto shock per la bellezza e la malefica fascinazione delle parole di Houellebecq. Fosse un'opera d'arte visiva, parlerebbe di Sindrome di Stendhal. Se fino alla lettura di ‘Sottomissione’ credeva che “après David Foster Wallace le déluge”, ora è convinta dell’impossibilità di trovare altrettanto autore capace di costruzione di un mondo parallelo e verosimile che non sia Houellebecq.  

Consigliato non a chi ha paura dell'Islam, - e dovrebbe averne - agli inconsapevoli, ai cosiddetti dotti, ai menefreghisti politici e religiosi, ai sinistri e ai destri che per attirare elettorato darebbero la patria a chiunque. Ops è già successo.  

Bibliografia: Michel Houellebecq à la une, éd. S. van Wiesemael, M.L. Clément, Amsterdam-New York 2011; B. Viard, Les tiroirs de Michel Houellebecq, Paris 2013.  

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domenica 10 luglio 2016

Joyland di Stephen King

Gloss pensava che con 'Shining', letto almeno una dozzina di volte, avesse concluso la sua avventura letteraria assieme a Stephen King. Per certi versi, resta tutt'ora all'apice della paura e della creatività. Avventura adolescenziale e assunzione per verosimile nell'approccio terrorificoinguistico dell'autore sono i due elementi fondanti del romanzo. Tuttavia, quando scovò tra i suoi appunti per consigli di lettura questo 'Joyland' suggerito dal collega Antonio Lanzetta già recensito in precedenza e in cui riponeva fiducia, si risolve a prenderlo in prestito dalla biblioteca solo perché gli altri 23 titoli in nota non erano a catalogo, mentre questo sì. Sebbene l'opera fosse sbeffeggiata da lettori e lettrici che Gloss stima, più procede nella lettura, più riconosce che le è stato dato un ottimo consiglio.

Abbandonati gli adolescenziali stilemi del terrore a tutti i costi, King porta a compimento un'opera in grande stile, matura, ragionata e scritta col senno di poi, vissuta sulla propria pelle (almeno appare tale l'episodio della perdita della verginità da parte di un ventunenne iniziato da una donna più matura), tutto sommato semplice nello sviluppo del plot, verosimile anche a causa dell' 'arricchimento' in materia di turpiloquio. Il lettore avverte la nostalgia del tempo che fu, la quale trasuda da ogni passaggio, rimanendone conquistato e coinvolto.

Tornano i temi della 'luminanza' (un traduttore disgraziato pensò di rendere così la parola 'shining'), come sempre attinenti a bimbi debolmente dotati in salute, che ricorrono in più romanzi di King, oltre a questo, nel già citato 'Shining' ma anche 'It'. Durante la lettura sorge a Gloss il sospetto che si tratti sempre di situazioni autobiografiche. A parte quel paio di cosette o tre scontate, la bellezza da sturbo dell'iniziatrice, la forza di carattere del ragazzino condannato, il ghigno malefico dell'assassino, il romanzo scorre liscio come un giallo ben congegnato.

Consigliato a inveterati giallisti, a nostalgici dei primi amori, ad appassionati di storia dei Luna Park, a chi ha paura dei clown.

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venerdì 1 luglio 2016

SFRATTATI

SFRATTATI di Giuseppe Marotta, ufficiale giudiziario di professione, si direbbe un saggio, ma è più un romanzo, o meglio la felice commistione dei due generi, sorretta dalla napoletanità dell'autore. Fosse cinema, lo definirei docufiction, chissà magari dando l'idea per un progetto televisivo a qualche produttore TV.

Letto poco più di un anno fa, appena sfrattata per morosità incolpevole e ospite di mia madre, all'epoca ne patii le conseguenze, abbattendomi nel morale. Già non riuscivo a rassegnarmi all'idea di non avere più una casa mia, inoltre si era aggiunto un atto di pignoramento da parte dell'ex mio padrone di casa, gravante sull'appartamento della mamma, giustificato dal fatto che ne avevo ereditato una piccola percentuale alla morte del papà. Avendo un reddito molto limitato, non avevo idea di come fare a ripagare il mio debito affinché mia mamma ne conservasse proprietà e possesso. Leggere il Marotta che testimonia in prima persona i tentativi di suicidio degli sfrattati non mi consolò, tutt'altro. Ma mi permise di raggiungere una maggior consapevolezza e determinazione. Quando un libro ti cambia la vita, è un BUON libro. Lo lasciai decantare, prima di farne una recensione, e mi buttai nella risoluzione del problema.

A distanza di un anno o poco più, sulla strada della soluzione ormai definitiva, ho riletto SFRATTATI con occhio diverso e l'ho trovato non solo efficace come saggio, ma anche splendido in quanto romanzo. Il Marotta stesso premette di desiderare l'imitazione dei suoi modelli, da Charles Bukowski e le sue donne, pur non avendone lo stesso sentire, a Francis Scott Fitzgerald e i suoi cocktails a suon di jazz, passando attraverso Ernest Hemingway e le sue avventure di caccia. Ma ci mette la napoletanità che gli è propria, la quale si traduce in umanità e empatia per le vittime di sfratto, che non sono solo gli inquilini, il più delle volte morosi incolpevoli per la triste congiuntura di mercato, ma anche i proprietari che da mesi, se non da anni, non percepiscono la pigione, magari essendosi impegnati in un mutuo.

Però SFRATTATI non è solo tragedia (il tentato suicidio di un imprenditore percorre tutta la lunghezza del libro, più uno da parte di una coppia marocchina con prole cui l'ufficiale giudiziario assiste in persona, oltre ad accennare ad altri morti suicidi italiani sfrattati), ma anche comicità per come l'autore tratteggia situazioni e personaggi-macchietta. Se non fosse per l'efferatezza della scena, anche la narrazione di questa famiglia marocchina di come tenti il suicidio di massa, sconfinerebbe nel comico. Ciò che tocca di più, resta la capacità di identificazione del Marotta nei protagonisti degli sfratti da lui eseguiti, proprio per comporre le dispute che di solito insorgono alla sua presenza. Ci riesce, quasi sempre, come nel caso del suo compaesano camorrista, che sfocia nell'ilarità. Quel QUASI però è riferito all'imprenditore che, una volta accettato lo sfratto, si chiude in bagno e si spara, finendo in coma.

Ma in chiusura, anche questo episodio si conclude in vittoria. L'ufficiale giudiziario, tormentato dal senso di colpa, desidera andare a trovarlo per tutto lo spazio del libro, quindi a questo scopo resta in contatto telefonico con un infermiere amico suo che assiste il comatoso, temendo di essere rifiutato. Ma al risveglio, lo sfrattato accetta. E non solo: ammette al Marotta di aver raggiunto un'apertura mentale che prima del coma non aveva avuto.


Consigliato a futuri ufficiali giudiziari, a chiunque svolga una professione di mediazione, agli sfrattati e ai loro padroni di casa, ai tecnici e ai politici comunali affinché risolvano l'emergenza sfratti. Nel testo, il Marotta a questo proposito dà loro opportuni suggerimenti.