Conosco Diego Giachetti ad un Poetry Slam sui Murazzi di Torino a
maggio 2018, presentatomi dal MICA VAN GOGH). Infatti, leggendo un centinaio di
libri l’anno, dieci più dieci meno, ogni dieci emergenti, se ne
salva uno solo. Decido quindi di fare recensioni solo di opere che mi
divertano e che siano di valore universale, rispondendo a esigenze
del mercato. I DILEMMI DI TROSKY non lo sarebbe stato, SIAMO SOLO
NOI, invece sì. Sorta di biografia musicale del Blasco negli anni
tra il 1978 e il 1999, inizia con il classico fulminante incipit che
ti incolla alle pagine restanti, certi di scovare altre chicche su
Vasco.
mio partner come suo validissimo
professore d’italiano. Ha scritto e pubblicato diverse opere, tra
cui I DILEMMI DI TROSKY, ma che è, per i miei gusti recensorii,
“troppo politico” (Cit. Caparezza, che tanto ispirò la mia
silloge poetica MICA VAN GOGH)
Infatti il Giachetti, coadiuvato da
Ginevra, lo intervista in esclusiva nel febbraio del 1999 a Bologna,
mettendo in luce il meccanismo e le influenze degli anni della
rivolta, altamente formativi per una rockstar come il Blasco. In quel
contesto rivoltoso, un giovane venuto dalla provincia timida e
chiusa, si imbatte nell’anarchia letteraria e creattiva (sì, con
due T) del teatro, alla “ricerca di nuove forme di comunicazione,
il linguaggio del teatro, una delle prime radio libere” cui Vasco
Rossi partecipò, per scardinare “il monopolio, allora
opprimente e totale, della Rai TV, che non trasmetteva determinati
tipi di canzoni o non dava determinate notizie”, tuttavia “noi
però partecipavamo in modo saltuario alle assemblee e ai cortesi, e,
soprattutto, guardavamo con un po’ di distacco, da indiani
metropolitani, ai gruppi politici della nuova sinistra, Manifesto,
Potere Operaio, Lotta Continua. Li consideravamo, già fin dai nomi,
troppo impegnativi, un po’ esaltati, per questo ci univamo al coro
di chi gridava “Cotta Continua” e “Godere Operaio”.
Io, che quegli anni li ho vissuti da
liceale in cerca di una propria personalissima identità, in mezzo a
“cinesi”, da una parte, (come chiamavamo i rossi comunisti
all’epoca, a dire il vero con un po’ di disprezzo) e, dall’altra
“fasci” (che raccoglievano la discriminazione di quasi la
totalità degli studenti), nel limbo dei ciellini (corrente cattolica
di stampo politico, con un “celeste - non voglio nominare
indagati, anche fossero ex - allora emergente), ero in pieno
disimpegno, andavamo alla Rinascente durante gli scioperi o i
collettivi. Eppure non volevo ascoltare Vasco, per non allinearmi a
nessuno. Mi andava bene così e anche agli amici miei.
Il libro e le indagini sociologiche del
Giachetti sui pezzi del Vasco Rossi, quindi, mi hanno rivelato un
mondo che era mio, senza saperlo e che accomuno ad un altro libro,
molto diverso, per tanti versi, ma sempre disvelatore di una certa
Italia indiana metropolitana: quello del Maurizio Rotaris,
PASSEGGIATA NEL DELIRIO.
Vasco Rossi cantava “E va bene va
bene va bene va bene così”, oggi la realtà di allora mi
“telefona” con il Blasco (e un grande Giachetti).
Consigliato a chi visse gli anni a
cavallo tra la fine dei Settanta e la fine dei Novanta con il sorriso
leggero del disimpegno e il distacco da certo bieco femminismo, di
cui oggi si Avverte sempre più il bisogno nella versione però più
femminile, vedi il saggio sociologico STANDING OVULATION - LE DONNE SONO SUPERIORI AGLI UOMINI (ANCHE NELLA VIOLENZA).
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