Di Michele Marziani, il primo
romanzi letto, pur riconoscendone l'abilità narrativa, mi aveva
lasciata indifferente, lo trovai involuto e insufficiente (FOTOGRAMMIIN 6 X 6) a cui sono seguiti altri due (IL CAVIALE DEL PO
e UMBERTO DEI) che invece valutai in superficie come potenti.
Quest'ultimo invece mi ha mosso
qualcosa nel profondo. Comincia in sordina, nel tipico stile
understatement del Marziani, un po' dimesso, mai rutilante. Eppure
avverto una corrente elettrica sotterranea cui le vite dei
protagonisti fanno da accumulatore, in un crescendo che ha del
musicale. Avvolge il lettore impedendogli di staccarsi, almeno a me,
forse perché da sempre affascinata di quell'elemento “esotico”
che fu la II Guerra Mondiale e che a questo romanzo fa da sfondo, ma
trasformata in poesia, grazie alla perizia espositiva dell'autore.
La
trama accompagna l'evoluzione del protagonista della durata di una
sessantina d'anni negli ambienti del Delta del Po così cari al
Marziani, dalla fine delle elementari fino alla sua morte. Non
racconto nulla del plot perché sarebbe tutto uno spoilerare. Però una cosa la posso dire: mi è
balenata l'idea che questo protagonista sia proprio suo padre. Mi ha
appassionata e toccata così tanto nel cuore, che mi ha fatto scattare
la voglia di scrivere il mio primo romanzo, tutto su mia madre,
ambientato in Verbania ai tempi della guerra. Concludo riportando
l'unica frase del romanzo, fortemente costruita allo scopo di essere
evocativa:
“Allora vedo il cavallo bianco. Lo
guardo correre verso di me e lo vedo trasformarsi in storione. Un
un immenso storione. Poi è passato il treno.”
Consigliato ai
nostalgici come me, a chi cerca di vedere sempre un risvolto positivo
anche nelle brutture umane, a chi cerca l'ispirazione nel passato per
vivere meglio il presente.
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