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"La cosa che mi terrorizzava di più non era la caduta, era l'idea che, anche in quel
gesto estremo, ero ancora un arabo che si gettava dall'aereo, e non un uomo che aveva deciso di volare in una sua maniera, magari disperata, ma sua."
Venerdì, da "L'Arabo e il Vasto Paese dell'Oh"
‘La Prefazione del Negro’ (in originale ‘La Préface du Nègre’), Casagrande editore,
uscito nel 2013, è una raccolta di racconti di Kamel Daoud, pubblicata nel 2013,
che esplora temi complessi legati all'identità, all'assurdità, e alla condizione
dell'uomo arabo e algerino nella società contemporanea. Il titolo è significativo
e provocatorio, condensando diversi livelli di significato e ironia, tipici dello
stile di Kamel Daoud. Gloss lo sceglie perché lei stessa è ‘una negra’.
A partire dalla metafora dell'Estraneo/Altro (Il "Nègre"): in francese ha una forte
connotazione storica e dispregiativa, spesso associata all'uomo colonizzato,
marginalizzato o escluso. Daoud non a caso prende ispirazione da Meursault,
protagonista e narratore de ‘Lo Straniero’ (‘L'Étranger’), romanzo del 1942
dello scrittore e filosofo francese Albert Camus, figura centrale per la letteratura
esistenzialista, che incarna il concetto di Assurdo.
Daoud lo usa in senso metaforico e universale per rappresentare non solo la
condizione dell'uomo arabo/algerino contemporaneo, intrappolato tra l'identità
imposta dall'Occidente e la propria realtà, ma anche in senso lato, quella
dell’ "Altro" stereotipato, colui al quale non è permesso definirsi da sé,
ma è sempre visto attraverso uno sguardo esterno. È uno dei temi trattati
da Gloss nel suo romanzo in uscita per il SalTo26 ‘Ombre e Luci in vetta’,
quando il Pettegolezzo Fa del Bene a cura di Sonia Pangallo Genovese.
Ma è soprattutto il nicknames conferito a chi fa di mestiere il ghostwriter,
cioè una persona che scrive un'opera al posto di un’altra, ma rimane nell'ombra,
senza riconoscimenti né emolumenti. Esattamente come Stefi Pastori Gloss
quando fu, tra i tanti artisti, anche battutista per Carlo Verdone
(“anvedi che ber sito…”). A proprio discapito, Gloss usa affermare che solo
una femminista può scrivere le battute del maschilismo più becero.
‘La Prefazione del Negro’ riflette la sensazione dei personaggi di Daoud
di essere voci senza volto la cui vita è sempre stata prefaziata da
qualcun altro (il colonizzatore, la tradizione, le aspettative sociali),
pre-scritta e pre-definita dall'esterno, spesso attraverso i riferimenti a
figure come Robinson Crusoe e Venerdì. L'Occidente (il "Bianco"), secondo
Daoud, ha sempre deciso chi è l’arabo, cosa deve essere e come deve
comportarsi, prima ancora che lui possa iniziare a scrivere la sua vera storia.
In fondo, Gloss suppone che Daoud compia un atto di appropriazione
e ironia. Sottolinea l'assurdità di queste etichette e, allo stesso tempo,
rivendica il diritto di scrivere la propria "prefazione" e la propria storia,
anche se è una storia di Assurdo e Rivolta.
In sintesi, la raccolta nella sua complessità è una serie di riflessioni
filosofiche e socio politiche sull'identità, la marginalizzazione e
l'atto di essere definiti dall'Altro. O, meglio, un commento amaro e
intellettuale sulla ‘propria’ identità. Infatti Daoud è un autore e giornalista
algerino con una formazione in Letteratura francese. Ha iniziato a scrivere
per il giornale in lingua francese 'Le Quotidien d'Oran' nel 1994, dove dal
1997 cura la rubrica "Raina raikoum". La sua carriera letteraria è decollata
con il romanzo d'esordio, Il caso Meursault (Premio Goncourt opera
prima nel 2015).
Successivamente, ha pubblicato diverse altre opere, come ‘Le mie
indipendenze’ e ‘Il pittore che divora le donne’. Il suo ultimo lavoro,
‘Uri’, ha vinto il prestigioso Prix Goncourt 2024, che Gloss ha iniziato a leggere.
‘La Prefazione del Negro" non ha un'unica trama lineare, ma presenta
una serie di racconti che ruotano attorno a personaggi paradossali e disorientati.
Uno scrittore che cerca di evitare di scrivere l'unico libro che la società si
aspetta da lui, in una lotta contro la sua "negritudine" e le narrazioni predefinite.
Un arabo (Dal nome Venerdì) che, invece di dirottare l'aereo su cui si trova,
preferisce lanciarsi nel vuoto, raccontando la sua storia durante la caduta,
in un gesto di ribellione assurda.
Un corridore olimpionico che taglia il traguardo ma non riesce più a fermarsi,
simbolo di una corsa infinita e senza scopo.
Un ex ufficiale che costruisce un aeroplano con le sue mani, ma riceve
indifferenza, venendo notato solo se dirottasse un velivolo, evidenziando
il pregiudizio e il fatalismo.
Secondo l’avviso di Gloss, il racconto più rappresentativo dell'intera raccolta,
e che meglio incarna il tema dell'assurdo e dell'identità imposta, è
probabilmente "L'Arabo e il Vasto Paese dell'Oh" , in cui un uomo arabo
si trova a bordo di un aereo di linea che sorvola l'Atlantico. Invece di dirottare
l'aereo, come ci si aspetterebbe dallo stereotipo del "terrorista" o dell'uomo
arabo come minaccia, decide di compiere un gesto infinitamente più assurdo
e privato: si lancia nel vuoto.
La maggior parte del racconto è un monologo interiore che si svolge durante
la caduta, in cui il protagonista narra la sua vita, le sue delusioni e il suo rapporto
con la società e con l'Occidente. Questo momento dell’Assurdo diventa l'unico
spazio e tempo in cui può finalmente essere l'autore incontrastato della sua storia.
Il protagonista è stanco di essere visto e incasellato in una narrazione precostituita.
La sua caduta è il rifiuto di interpretare il ruolo che gli è stato assegnato: quello
del rivoluzionario, del dirottatore, del disperato o della vittima.
L'atto di buttarsi è un atto di libertà estrema e nichilista. È l'ultima risorsa per
sfuggire al destino scritto per lui da altri (il "Nègre" che deve recitare la
prefazione altrui). Solo nell'atto di morire, lontano dalle aspettative di
chi è sopra (sull'aereo) e di chi è sotto (la società che lo attende), l'uomo
trova una sua verità effimera.
Il titolo si riferisce a ciò che lo circonda durante la caduta, ma anche alla
sorpresa e all'incomprensione generale che il suo gesto suscita. L'interrogativo
"Oh?" (in senso di stupore) racchiude l'incapacità del mondo di capire un
gesto che non rientra nelle categorie predefinite.
Questo racconto rappresenta perfettamente la tematica del libro: l'unica vera
libertà per l'uomo intrappolato nell'identità di "Negro" è l'azione estrema e
incomprensibile, un atto di ribellione poetico contro l'assurdo della condizione
umana post-coloniale.
In generale, l’intera raccolta di racconti
è caratterizzata da uno stile visionario, poetico
e satirico, utilizzando l'ironia e il
sarcasmo per affrontare l'aggressività dei
fondamentalisti e il vuoto esistenziale.
In sintesi, è un "prontuario della rivolta,
poetico e umanista" che, attraverso l'assurdo,
mette in discussione le etichette
identitarie e la marginalizzazione.
(seguente)