L’onestà intellettuale
e la dirittura deontologica che mi caratterizzano mi obbligano a fare
una premessa: letta la recensione, la Minotti mi ha chiesto di
cambiarla, in quanto a suo avviso avevo spoilerato tutto. Non l’ho
potuta accontentare: le mie sono recensioni gratuite, non sottostanno
al volere degli autori, in special modo se sono frutto di paranoie.
Nel caso di Marta Minotti, ho ritenuto inserire piccoli elementi di
anticipazione per far meglio comprendere al lettore di che libro si
tratti, stando accorta di evitare lo spoiler in assoluto. Purtroppo
infatti, la tecnica scrittorica della Minotti pecca in chiarezza, ma
per incoraggiarla a fare sempre meglio, ho evitato di scriverlo. Lei
si inalberò comunque. Pazienza, ormai dovrei aver imparato di “non
fare del bene se non si è pronti all’ingratitudine” cit.
Forforismi Pastorology (ne avete piaciato la pagina?)
Inizia sorprendentemente
senza titolo, con le parole in prima persona di quella immaginiamo
sia la protagonista, Silvia, (che scopriremo più avanti essere
colpita da una decina d'anni dall'artrite reumatoide), parole che a
noi lettori arrivano attraverso un diario in cui la protagonista
segna minuziosamente dati di natura pratica (terapie, tempi e
modalità, dosaggi, iniezioni e poco altro). Ma nelle ultime pagine
del diario, che sono quelle che leggiamo nell'incipit, il registro
cambia: la protagonista afferma di voler scegliere lucidamente una
morte pulita con l'impiccagione, descrizione piena di speranza che
leggo in un gruppo Facebook dedicato a presentazioni letterarie. Già
un'aspirante suicida piena di speranza sembrerebbe un ossimoro,
tuttavia non fu quello che che contestai all'autrice Marta
Minotti per sospetta mancanza di verosimiglianza. La morte per
impiccamento lascia segni esterni inequivocabili sul collo (il
cosiddetto 'solco cutaneo'), si perde la ritenzione sfinterica, la
lingua si estroflette, il viso assume il tipico colorito cianotico,
gli occhi strabuzzano, le vene del viso e dei globi oculari
scoppiano, come pure si creano i famigerati "calzini e guanti di
sangue" e via proseguendo per altre amene descrizioni che poco
hanno di pulito. Alla reazione della Minotti, che negava recisamente,
avendo tentato una sua amica il suicidio, sospendo il
giudizio e proseguo la lettura. Silvia, dopo l'infausto gesto di cui
non conserva memoria, la ritroviamo ricoverata in ospedale, in preda
ad amnesia. L'unica cosa di cui è certa è di non aver compiuto
'quella cosa'. Purtroppo, la lettura del suo diario, oltre a
confermare di averlo lei stessa programmato lucidamente, le lascia
una lacuna di un mese.
“A volte a rubarti la
vita non è una malattia né la morte stessa, ma il tempo.”,
afferma Silvia, in un'amara osservazione della Minotti.
Per Marianna, la figlia
avuta da Paolo, mai veramente amato da Silvia, innamorata invece del
bello e impossibile Brando, conosciuto in tempi adoloescenziali
quando le offrì di suonare la chitarra nel suo locale, la
protagonista afferma “... la famiglia è rimasta in piedi, non
ho voluto che spartisse la sua vita tra due case, che fosse obbligata
a scegliere a chi volere più bene.” Molto saggio, ma anche
manipolatorio. Se una donna sta male col proprio uomo, se si sente
maltrattata o costretta in una qualche forma di oppressione
psicologica, tenga bene in mente il motto per la sopravvivenza: via
dalle violenze domestiche, prima che sia troppo tardi, coniato
dalla Stefi Pastori Gloss in CORPI RIBELLI resilienza tra
maltrattamenti e stalking. Googlate Centro Virtuale Arte CORPI
RIBELLI. Comincio a sospettare che questa Silvia sia perfettamente
dotata di determinate specifiche cliniche.
“Ogni volta che
guardavo mia figlia negli occhi...” Mia? Perchè non “nostra”?
Silvia conferma i miei sospetti, svelando le caratteristiche
psicologiche conosciute come quelle del 'narcisista perverso'.
“... medici e
infermieri saranno le uniche persone che vedrò. Ma loro con me non
parlano, e sono giunta alla conclusione che il motivo non risieda
nella mia incapacità di rispondere ma nella percezione che hanno di
me, di una che la vita l’ha disprezzata e probabilmente è anche
indifferente alle cure che le stanno facendo. Nelle loro menti sono
solo un impiccio, una perdita di tempo.” Terribile ammettere
che, nella sofferenza, gli altri possano anche solo pensare questo di
ciò che una persona stia passando. Silvia (cioè, la Minotti) è
bravissima a farci sentire coinvolti. Altra tecnica tipica del
'narcisista perverso'.
Di Felia, sua
estemporanea compagna di camera d'ospedale, che fantomaticamente vive
di affitti, Silvia dice: “Ha il solito sorriso che abbaglia su
quella faccia da ragazzina dove il tempo non ha messo le mani.”.
Descrizione lusinghiera di una di fatto sconosciuta e che la Minotti
mette in bocca ad una persona intelligente, sì, ma non arguta.
Ulteriore caratteristica tipica del 'narcisista perverso'. Comincio a
chiedermi come la Minotti ne sia così bene a conoscenza.
“Sono dieci anni di
vita che si azzerano, un tempo buono che si fa da parte indulgente
come un padre. Questo momento è una clessidra che si
inceppa.” Parole che Silvia dedica al padre, quando la va a
trovare in ospedale. La figura del padre è la sola veramente
centrale della sua vita, come spesso accade alle donne 'narcisiste
perverse'. Tutto si incastra perfettamente, brava Minotti.
Silvia è palesemente
ancora innamorata di Brando, suo amore adolescenziale. Quando la va a
trovare in ospedale, gli riserva una descrizione da cui traspare la
sua infatuazione: “È cambiato pochissimo, i capelli sono un
po’ più radi e c’è qualche ruga sul suo viso che sta lì solo a
fargli un favore.” Sorprendetemente, conosce Felia. Annoto
mentalmente e metto da parte.
Una profonda ma sintetica
descrizione della crisi matrimoniale tra Silvia e Paolo, mi fa
credere che la Minotti se ne intenda: “Non siamo più nel
presente, siamo nella nostra vita di coppia, nel nostro matrimonio
fallito, nei rancori mai dichiarati, nel folto di una forra
sconosciuta e piena di notte.” A tal punto che Silvia non lo
chiama più per nome, ma semplicemente con il pronome 'Lui', tecnica
spersonalizzante del solito 'narcisista perverso'.
La Minotti ci permette di
però ascoltare anche la voce di Paolo: “Trascorse quasi
mezz’ora in quell’atrio in cui non c’era nessuno all’infuori
di noi e quando ci accorgemmo del tempo che era passato, lei mi
chiese soltanto se volevo il suo recapito, mi avrebbe dato volentieri
un consiglio, qualora ne avessi avuto bisogno. Per un attimo, anche
se avevo capito benissimo che il motivo di quell’invito era
esclusivamente professionale, il mio orgoglio di maschio sfiorò
vette che non raggiungeva da anni e subito dopo mi ritrovai a pensare
a quanto fossi stupido e a quanto mi mancasse l’attenzione di una
donna.(...) ero affamato di vita, d’amore, di qualcosa che fosse
soltanto mio e che volevo tenermi stretto…avevo digiunato troppo,
persi completamente la testa.”
Sara, infermiera di
Silvia, che la Minotti ci farà gradualmente scoprire essere anche
l'amante di Paolo, rivelandosi una mirabile orchestratrice di
modalità e tempi, accusa Paolo della mancata morte di Silvia: “«Se
quel giorno non avessi dimenticato il cellulare, se non fossi tornato
indietro, a quest’ora lei sarebbe morta e noi saremmo liberi! (…)
Sei un uomo senza spina dorsale, senza carattere, ora capisco perché
lei ti ha preferito quell’altro, non vali niente, niente! Che cosa
vuoi che faccia, che la tolga di mezzo con le mie mani? Guarda che ne
sono capace, perché se credi che le lascerò rovinare le nostre
vite…»” che torna più avanti, con una terribile
affermazione: “E poi in ogni caso non ci saremmo mai liberati
definitivamente di lei, sarebbe stata un accollo per sempre,
disoccupata e malata com’è: era meglio sbarazzarsene ed eliminare
così il problema alla radice, dovevo solo trovare un modo.”
Silvia scopre il
tradimento di Paolo: “Se non fosse per mia figlia lo butterei
fuori a calci in questo stesso momento. E Marianna lo sa, non è una
stupida, lo avverte in un attimo questo veleno, le basta guardarci.
“Io vado a vestirmi”
– dice infatti ad un tratto scattando dalla sedia e dileguandosi in
fretta. In un attimo se n’è andata lasciandoci soli nella nostra
cucina ad odiarci.” La figlia, come sempre accade nelle
famiglie che si auto distruggono, sottolinea quanto siano pretestuose
le motivazioni di Silvia per salvare il matrimonio.
Il primo colpo di scena
ce lo propone la stessa Silvia: “Le immagini ritraggono due
persone, due donne per la precisione, una delle quali è
indubbiamente lei, anche se ha i capelli diversi, più lunghi e di un
altro colore. Anche l’altra la riconosco subito.”
Il secondo colpo di scena
ce lo svela Brando: “Sua madre ne era completamente soggiogata
e Sara riusciva a farle fare tutto ciò che voleva, in virtù della
vecchia storia che l’aveva privata di un padre.”
Il terzo colpo di scena
ce lo svela ancora Silvia con la sua memoria che torna: “Sono piena
di rabbia e allo stesso tempo ho paura. Sono sola in questa stanza
senza telefono, lontana da casa e con il mio aguzzino ad un passo da
me che sta curando la mia stupida ferita... (…) Tutto torna, tutto
si ricompone in questo puzzle degli orrori il cui pezzo centrale sono
proprio io.”
In effetti, con la mia
prima osservazione critica circa la presunta compostezza della morte
per impiccagione, avevo già intuito qualcosa di questo puzzle
abilmente predisposto dalla Minotti. Ovviamente non rivelo null'altro
per non spoilerare.
La chiusa del romanzo è
commovente. Ogni cosa va al suo posto, anche il sentimento, rivelando
una nuova scrittrice capace. Copertina da 'image bank' che dice tutto
e niente, 4° stellina su Goodreads.
Consigliato agli amanti
degli intrighi familiari, ai soliti giallisti, a chi come me è
convinto che il male torni sempre indietro.
https://centrovirtualearte.it/2018/02/14/corpi-ribelli-resilienza-maltrattamenti-stalking-lautrice-stefi-pastori-gloss/
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