Scambiata una breve chat via Social con
l'autore Eugene Pitch, che è l'ovvio pseudonimo - pronto per il
cinema, suppongo - di un non altrettanto ovvio napoletano che vive in
Giappone, scopro la sua poetica fondata sull'accattivante concetto di
HyperBook per questo suo CONCEPTION*. Appena ricevo il pdf, ne cerco in sommario la declinazione
che, appunto, sarebbe perfetta se rimandata al cinema. Nell'ambiente cinematografico, si
definisce pitch un breve scritto di presentazione che l'aspirante
sceneggiatore** sottopone all'eventuale produttore e/o distributore del
progetto filmico. Deve fungere più di un soggetto, perché conterrà
quella o quelle chiavi imprescindibili che convinceranno i
finanziatori della validità del film in fieri.
L'Eugene Pitch mi conferma ciò che
noto da sempre quando approccio un'opera da recensire: c'è della
musica a fare da sfondo. Nel suo caso, da vera musicofila mi limito a dare risalto a colui che
apprezzo di più, in mezzo a tanti poco conosciuti, tra robetta
tipo-irlandese e canzoncine dei Duemila ferme ai peggiori anni
Ottanta, in cui di rilevante c'è solo il batterista che perde una
delle bacchette. Nello stile dell'hyperbook si possono ascoltare in
sottofondo “le note inconfondibili di Lee Ritenour”, chitarrista
jazz che ha collaborato con gorssi calibri come di Herbie Hancock - buddista! - Steely Dan, Dizzy Gillespie, Sonny Rollins, Umberto Tozzi
(in Stella Stai) e Pink Floyd, attribuendosi numerosi dischi d'oro e
collezionando svariate nomination al premio Grammy.
Curiosamente ogni capitolo unisce alla
location, la temperatura atmosferica. Sarà un parallelismo tra
l'accadimento di cui si narrerà nello stesso e il luogo? A fine
lettura, l'amletico dubbio non è dato da svelarsi. Siccome parto
sempre nel recensire senza mai conoscere nulla in anteprima, lo
chiederò all'Eugene Pitch solo dopo aver compilato la presente rece.
L'indicazione della temperatura è distraente, in un'azione continua
che si dipana tra Abu Dhabi, 37°C, Londra, 19 ºC, Amsterdam, 14 ºC
e via discorrendo, con al centro una conferenza internazionale sul
tema della cooperazione fra scienza e religione alla luce delle
ultime rivoluzioni tecnologiche, che vede protagonista una certa
Sarah, menomata conferenziera a rischio di attentato terroristico per
le sue idee libertarie. Vi prenderebbero parte non solo scienziati da
tutta Europa, ma anche personalità di spicco del mondo musulmano,
ebraico e protestante. A Sarah, l' Eugene Pitch affida il suo
pensiero: “Sul web si condividono foto di malati terminali
commentando quanta misericordia meritino, eppure si diffondono con
altrettanta facilità parole di odio e menzogne. Perché? Forse in
fondo l’uomo non è ancora pronto a ciò che sta per arrivare e
quando arriverà sarà ormai troppo tardi.”
Per come il personaggio di Sarah viene
introdotto, ci si aspetterebbe una pasionaria, impegnata nella
cooperazione sociale e nei diritti umani. Eppure, alcuni segnali di
inumanità ci vengono disseminati dall'autore qua e là: “Sarah non aveva mai
visto una platea del genere.”
“Era la prima volta che a Sarah
capitava di essere al centro dell’attenzione non per ciò che era,
ma per quello che faceva.”
“Sarah proseguì col suo lungo
discorso di ringraziamento. In realtà non aveva idea di cosa farsene
di quella cittadinanza. Era una cosa che la incuriosiva, ma non se ne
sarebbe mai servita, questo lo sapeva.”
“Lo sguardo di Sarah era invece
freddo e sterile.”
“Sarah lo fissava senza espressione.”
“Sarah sapeva che il mondo stava
cambiando e che lei, seppure piccolo atomo di ingegno, era parte di
quel cambiamento. La gente aveva bisogno di capire.”
Il motivo di questa sapiente semina del
Pitch lo sapremo solo alla fine.
Il partner di Sarah, il dottor Michael
Zimmer, è uno scienziato e ci viene raccontato dal Pitch con lo
spiegone classico di chi non ha idee per farlo tramite azioni, cosa
invece estremamente necessaria in cinematografia. “E ora invece,
dopo tanti anni, la voglia di lasciarsi tutto alle spalle si stava
facendo ogni giorno più forte, ogni giorno più ingombrante; proprio
come la domanda che continuava senza sosta a frullargli per la mente:
chi è davvero Michael Zimmer?” Insomma, il Pitch ce ne affida la
costruzione. Che scarsità di fantasia. In un romanzo veloce come
dichiaratamente il suo per descrivere un personaggio è necessaria
azione, non discorsi descrittivi. A maggior ragione nel cinema.
Eugenie, la giornalista internazionale
che sta scrivendo un libro-inchiesta su compravendita di armi al
mercato nero e finanziamento allo Stato Islamico in Siria, si direbbe
l'alter ego dello scrittore. Anche a lei, l'Eugene Pitch affida i
propri pensieri a sfondo socio politico: “Dietro di lei passarono
come fantasmi due donne in burka. Eugenie non trovava giusto che una
persona fosse costretta a coprirsi il volto. Era un retaggio antico
che ai giorni nostri per lei non aveva più senso. Se un tempo solo
l’uomo aveva dei diritti, oggi anche la donna doveva avere il
coraggio di sentirsi libera. Ironico era però il fatto che, per
quanto le più intrepide femministe si dessero da fare per cambiare
il sistema, la libertà che era stata concessa alla donna era solo
una mera utopia: essa doveva rimanere assoggettata a tutta una serie
di aspettative sociali, dal modo di comportarsi al modo di apparire,
passando per la tipologia di lavoro alla quale poteva avere accesso,
senza tuttavia godere ancora appieno degli stessi vantaggi di cui
godevano gli uomini. E questa era una cosa che Eugenie non
sopportava.” Già mi è simpatica, io che da anni lotto contro le
discriminazioni di genere (CORPI RIBELLI e STANDING OVULATION sono le
due opere in cui me ne occupo). Suo occasionale partner, tale Edward Muffen che, nello stile cui
ci sta abituando il Pitch, solo molto più avanti nella narrazione scopriremo essere una Agente dei Servizi di sicurezza
britannici e che compirà un'azione iperbolica.
“Il suo idolo, il fotografo
australiano Ray Green, aveva appena postato uno scatto favoloso del
tempio Kiyomizudera, a Kyoto. Zimmer avrebbe dato qualunque cosa per
visitare il Giappone, terra arcana ricca di insolito.” Infatti
l'autore vive in Giappone. Non mi stupirei se in questo romanzo, si
fosse inventato l'effettiva esistenza di tale Ray Green
“Sarah era connessa a internet e
stava scaricando le ultime news. Trovò curioso che l’87% delle
notizie di attualità siano solitamente negative ma che, al tempo
stesso, ricevano più attenzione da parte dei media e della gente
comune. È come se noi umani fossimo attratti in maniera viscerale
da ciò che ci fa stare più male. Sia un moto masochistico perpetuo
che ci accomuna tutti o semplicemente curiosità morbosa non si sa,
ma molti la definiscono in un solo modo: realtà.”,
“La gente è disposta a passare gran parte della propria esistenza
a lavorare come un cane, solo per potersi permettere un biglietto per
la felicità on-demand: ma quanto costa la felicità?” in corsivo
anche nel testo originale. Suppongo sia un motivo ricorrente nella
narrativa del Pitch, così come mantiene ciò che promette nella sua
poetica da hyperbook: ogni capitolo chiude lasciando in sospeso il
lettore, che passa subito avidamente al seguente.
Nel pieno della preannunciata
conferenza internazionale, due colpi di scena. Uno, già ampiamente
telefonato, coinvolge un alto esponente della politica e cultura
araba, “in arresto per corruzione, riciclo di denaro, traffico di
armi e stupefacenti e per collaborazione esterna con cellule
terroristiche.”, tramite di Edward Muffen. E l'altro invece parte
immediatamente dopo come una cannonata inattesa. Ve ne lascio la
sorpresa.
“«Tutti sono musulmani, perciò sono
tutti uguali. Almeno finché non ci scappa il morto a casa nostra,
allora sì che li additiamo come terroristi. Cosa ci sia dietro non
vogliamo saperlo, né tantomeno risolverlo. Ci basta atteggiarci a
padrini del bene mettendo un semplice “mi piace” ai post
pacifisti su Facebook e tanti saluti.»” L'autore mette in bocca ad
uno dei personaggi il suo giudizio sulla società contemporanea.
Sembra voler finire frettolosamente la vicenda, ma solo per rimandare
i lettori alla successiva puntata. Che ci sarà, ne sono certa, e
sarà costituita da prossimo hyperbook. Sono stata indeterminata fino
all'ultimo se riportarne qui la relativa poetica, soprattutto per il
parallelismo tra hyperbook e sceneggiatura. Se nei commenti, anche
sui Social, mi verrà richiesto, ne scriverò apposito post. Dai ringraziamenti finali, traggo
spunti per future collaborazioni. I suoi suggerimenti involontari spero mi
risulteranno preziosi. Resto perplessa sul messaggio affidato alla copertina, che è d'impatto e nello stesso tempo misteriosa, quindi, da ex Art Director anni Ottanta, validissima per il tipico acquisto d'impulso.
Consigliato a lettori frettolosi che
trovano noioso Proust, agli appassionati di azione, a produttori di
fiction televisive. Il cinema, ormai, lascia 'l'azione a tutti i
costi' allo strumento più popolare, tenendosi per sé una dimensione
più meditativa – film hollywoodiani di super eroi a parte.
* Concezione, concepimento, concetto,
nozione, idea. Dall'Inglese. Dal Francese, disegno. In un caso che nell'altro, appropriato alla sopresa.
** Io stessa vengo dal cinema: nei
Novanta fui sceneggiatrice ghost writer per alcuni pezzi grossi, come
Carlo Verdone.
Dopo aver visto i https://casacinema.tube/thriller/ film, ho notato che il piacere con cui viene percepita la violenza sul personaggio dello schermo si trasforma in violenza contro lo stesso spettatore.
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