venerdì 12 dicembre 2025

'Perennemente Instabili' di Umberto Chiron



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“Per me, come per gli altri componenti, il teatro era diventato una sorta di “droga”, dalla quale però nessuno aveva voglia di disassuefarsi.”

Vittorio Giraud, protagonista


Essendo dialoghista per Carlo Verdone, nei Novanta Gloss si sperimentò nel teatro e lì

rimase il suo cuore. Ancora oggi, a distanza di trent’anni, vi si è gettata a cuore aperto: la compagnia teatrale dei “Teatroci” l’ha accolta a braccia aperte. Questo il motivo dell’acquisizione impulsiva del romanzo ‘Perennemente Instabili’ di Umberto Chiron. Dato alle stampe dalla Buckfast Edizioni nel 2025, 

e acquistabile anche sul loro sito, nella prefazione, l’autore afferma quanto di autobiografico  sia presente nella narrazione in 1° persona e quanto invece no. E quanto l’azione teatrale sia d’aiuto ai disturbi ossessivi-compulsivi (DOC), comuni a tante persone.


 


Titolo e copertina di grande impatto hanno influenzato la scelta. Il protagonista Vittorio Giraud,  assume da subito un tono confidenziale, che coinvolge il lettore, perché gli affida l’aperta esplorazione del suo DOC. Gloss ci tornerà, perché fondante.


 



La storia è semplice, come il lessico impiegato per la narrazione: l’attore amatoriale della compagnia torinese "Perennemente Instabili", narra la vita del gruppo, che viene turbata dalla misteriosa scomparsa di un membro poco prima di una performance in Liguria.



Nonostante l'evento inatteso, l'attività della compagnia continua con successo, facendo da sfondo al viaggio interiore di Vittorio.


Attraverso la sua riflessione, emerge il suo stato di solitudine sentimentale, dovuto al timore di impegnarsi o alla mancata ricerca della persona adatta.


La narrazione si conclude con l'arrivo… no no, Gloss non può spoilerare.

 


Gradito l’inserimento a introduzione di ogni capitolo di brevi riflessioni poetico/filosofiche dell’autore, perché le sente coinvolgenti per la propria vita. La prima è quella che più colpisce Gloss, ovvero: 

Teatro. / Rito profano / Inspiegabile Magia.//


E a chiusura: 

“Un sipario si chiude, / Un altro si apre, / così è la vita.// 



Un paio di considerazioni immediate che non deturpano il libro: la prima, che da antipatica perfezionista, Gloss avrebbe gradito approfondimenti in materia di DOC, in forma di narrativa e un metalinguaggio più ricco e adeguato. La seconda, che in quanto accanita e onnivora lettrice si è stancata del genere giallo sbattuto in ogni dove. Ed è un’autocritica, perché lei è la prima a farlo nei suoi romanzi.


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'La Prefazione del Negro' di Kamel Daoud

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"La cosa che mi terrorizzava di più non era la caduta, era l'idea che, anche in quel

gesto estremo, ero ancora un arabo che si gettava dall'aereo, e non un uomo che aveva deciso di volare in una sua maniera, magari disperata, ma sua."

Venerdì, da "L'Arabo e il Vasto Paese dell'Oh"


‘La Prefazione del Negro’ (in originale ‘La Préface du Nègre’), Casagrande editore,

uscito nel 2013, è una raccolta di racconti di Kamel Daoud, pubblicata nel 2013,

che esplora temi complessi legati all'identità, all'assurdità, e alla condizione

dell'uomo arabo e algerino nella società contemporanea. Il titolo è significativo

e provocatorio, condensando diversi livelli di significato e ironia, tipici dello

stile di Kamel Daoud. Gloss lo sceglie perché lei stessa è ‘una negra’.

A partire dalla metafora dell'Estraneo/Altro (Il "Nègre"): in francese ha una forte

connotazione storica e dispregiativa, spesso associata all'uomo colonizzato,

marginalizzato o escluso. Daoud non a caso prende ispirazione da Meursault,

protagonista e narratore de ‘Lo Straniero’ (‘L'Étranger’), romanzo del 1942

dello scrittore e filosofo francese Albert Camus, figura centrale per la letteratura

esistenzialista, che incarna il concetto di Assurdo.



Daoud lo usa in senso metaforico e universale per rappresentare non solo la

condizione dell'uomo arabo/algerino contemporaneo, intrappolato tra l'identità

imposta dall'Occidente e la propria realtà, ma anche in senso lato, quella

dell’ "Altro" stereotipato, colui al quale non è permesso definirsi da sé,

ma è sempre visto attraverso uno sguardo esterno. È uno dei temi trattati

da Gloss nel suo romanzo in uscita per il SalTo26 ‘Ombre e Luci in vetta’,

quando il  Pettegolezzo Fa del Bene a cura di Sonia Pangallo Genovese.

 



Ma è soprattutto il nicknames conferito a chi fa di mestiere il ghostwriter,

cioè una persona che scrive un'opera al posto di un’altra, ma rimane nell'ombra,

senza riconoscimenti né emolumenti. Esattamente come Stefi Pastori Gloss

quando fu, tra i tanti artisti, anche  battutista per Carlo Verdone

(“anvedi che ber sito…”). A proprio discapito, Gloss usa affermare che solo

una femminista può scrivere le battute del maschilismo più becero.




‘La Prefazione del Negro’ riflette la sensazione dei personaggi di Daoud

di essere voci senza volto la cui vita è sempre stata prefaziata da

qualcun altro (il colonizzatore, la tradizione, le aspettative sociali),

pre-scritta e pre-definita dall'esterno, spesso attraverso i riferimenti a

figure come Robinson Crusoe e Venerdì. L'Occidente (il "Bianco"), secondo

Daoud, ha sempre deciso chi è l’arabo, cosa deve essere e come deve

comportarsi, prima ancora che lui possa iniziare a scrivere la sua vera storia.




In fondo, Gloss suppone che Daoud compia un atto di appropriazione

e ironia. Sottolinea l'assurdità di queste etichette e, allo stesso tempo,

rivendica il diritto di scrivere la propria "prefazione" e la propria storia,

anche se è una storia di Assurdo e Rivolta.


In sintesi, la raccolta nella sua complessità è una serie di riflessioni

filosofiche e socio politiche sull'identità, la marginalizzazione e

l'atto di essere definiti dall'Altro. O, meglio, un commento amaro e

intellettuale sulla ‘propria’ identità. Infatti Daoud è un autore e giornalista

algerino con una formazione in Letteratura francese. Ha iniziato a scrivere

per il giornale in lingua francese 'Le Quotidien d'Oran' nel 1994, dove dal

1997 cura la rubrica "Raina raikoum". La sua carriera letteraria è decollata

con il romanzo d'esordio, Il caso Meursault (Premio Goncourt opera

prima nel 2015).



Successivamente, ha pubblicato diverse altre opere, come ‘Le mie

indipendenze’ e ‘Il pittore che divora le donne’. Il suo ultimo lavoro,

‘Uri’, ha vinto il prestigioso Prix Goncourt 2024, che Gloss ha iniziato a leggere.




‘La Prefazione del Negro" non ha un'unica trama lineare, ma presenta

una serie di racconti che ruotano attorno a personaggi paradossali e disorientati.


Uno scrittore che cerca di evitare di scrivere l'unico libro che la società si

aspetta da lui, in una lotta contro la sua "negritudine" e le narrazioni predefinite.



Un arabo (Dal nome Venerdì) che, invece di dirottare l'aereo su cui si trova,

preferisce lanciarsi nel vuoto, raccontando la sua storia durante la caduta,

in un gesto di ribellione assurda.



Un corridore olimpionico che taglia il traguardo ma non riesce più a fermarsi,

simbolo di una corsa infinita e senza scopo.


Un ex ufficiale che costruisce un aeroplano con le sue mani, ma riceve

indifferenza, venendo notato solo se dirottasse un velivolo, evidenziando

il pregiudizio e il fatalismo.


Secondo l’avviso di Gloss, il racconto più rappresentativo dell'intera raccolta,

e che meglio incarna il tema dell'assurdo e dell'identità imposta, è

probabilmente "L'Arabo e il Vasto Paese dell'Oh" , in cui un uomo arabo

si trova a bordo di un aereo di linea che sorvola l'Atlantico. Invece di dirottare

l'aereo, come ci si aspetterebbe dallo stereotipo del "terrorista" o dell'uomo

arabo come minaccia, decide di compiere un gesto infinitamente più assurdo

e privato: si lancia nel vuoto.


La maggior parte del racconto è un monologo interiore che si svolge durante

la caduta, in cui il protagonista narra la sua vita, le sue delusioni e il suo rapporto

con la società e con l'Occidente. Questo momento dell’Assurdo diventa l'unico

spazio e tempo in cui può finalmente essere l'autore incontrastato della sua storia.



Il protagonista è stanco di essere visto e incasellato in una narrazione precostituita.

La sua caduta è il rifiuto di interpretare il ruolo che gli è stato assegnato: quello

del rivoluzionario, del dirottatore, del disperato o della vittima. 



L'atto di buttarsi è un atto di libertà estrema e nichilista. È l'ultima risorsa per

sfuggire al destino scritto per lui da altri (il "Nègre" che deve recitare la

prefazione altrui). Solo nell'atto di morire, lontano dalle aspettative di

chi è sopra (sull'aereo) e di chi è sotto (la società che lo attende), l'uomo

trova una sua verità effimera.



Il titolo si riferisce a ciò che lo circonda durante la caduta, ma anche alla

sorpresa e all'incomprensione generale che il suo gesto suscita. L'interrogativo

"Oh?" (in senso di stupore) racchiude l'incapacità del mondo di capire un

gesto che non rientra nelle categorie predefinite.


Questo racconto rappresenta perfettamente la tematica del libro: l'unica vera

libertà per l'uomo intrappolato nell'identità di "Negro" è l'azione estrema e

incomprensibile, un atto di ribellione poetico contro l'assurdo della condizione

umana post-coloniale.



In generale, l’intera raccolta di racconti

è caratterizzata da uno stile visionario, poetico

e satirico, utilizzando l'ironia e il

sarcasmo per affrontare l'aggressività dei

fondamentalisti e il  vuoto esistenziale.

In sintesi, è un "prontuario della rivolta,

poetico e umanista" che, attraverso l'assurdo,

mette in discussione le etichette

identitarie e la marginalizzazione.



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martedì 2 dicembre 2025

‘La Luna e i Falò’ di Cesare Pavese

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“Fatto sta che sapevo che non sarebbe durata, e la voglia di fare, di lavorare, di esporsi, mi moriva tra le mani.”


Dichiarazione di una disfatta, quella di Cesare Pavese ne ‘La Luna e i Falò’. Forse la propria? Gloss suppone di sì. Seguite il suo ragionamento.




Cesare Pavese nacque nel cuneese nei primi del Novecento, ultimogenito di una famiglia benestante. Già introverso per genetica e per influenze esterne, una volta cresciuto all’ombra della madre autoritaria, il carattere del piccolo Cesare ancor più si adombrò. Trasferito  a Torino, la sua infanzia fu infatti segnata da lutti familiari e da problemi di salute, come quelli del padre, passato in latenza quando Cesare aveva solo cinque anni. Contesto familiare / affettivo fu determinante per la sua futura vita e opera letteraria, determinando un forte radicamento nel sentimento della malinconia, di cui Pavese impregnò soprattutto ‘La Luna e i Falò’, l'ultimo suo romanzo pubblicato nell'aprile del 1950. La struttura narrativa contrappone l'innocenza giovanile della scoperta (simboleggiata dai falò delle feste) alla disillusione amara dell'età adulta del protagonista, Anguilla, tornato al paese dopo la guerra. I falò finali e metaforici (l'incendio della cascina e il destino tragico di un’amica) rappresentano la distruzione del passato e la fine definitiva di ogni speranza di riscatto e felicità.

Nel suo diario, il 1º gennaio del 1946 scrive il consuntivo dell'anno trascorso: «Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne, stampato un libro, scritte poesie belle, scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe). Sei felice? Sì, sei felice. Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo. Hai due volte sfiorato il suicidio quest'anno. Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? Non hai mai combattuto, ricordalo. Non combatterai mai. Conti qualcosa per qualcuno?»


"Ripeness is all" sarà la sua dedica all'ambita attrice Costance Dowling, sorta di addio definitivo. "L'idea del suicidio era una protesta di vita".


Per Gloss è una sorpresa rileggere a 45 anni di distanza ‘La Luna e i Falò’ di Cesare Pavese, da sempre memore di quanto l’aborrisse, e scoprire che uno dei propri romanzi Fuochi d'Artificio contiene non solo le stesse tematiche essendo ambientato nel periodo storico della II Guerra Mondiale, ma persino il medesimo modo di affrontarle. La domanda nelle interiora di Gloss scatta spontanea: “allora Pavese mi ha influenzata senza che lo volessi scientemente.” Ebbene sì, questo fa, la Grande Letteratura: influenza, insegna, istruisce, guida.


giovedì 6 novembre 2025

‘Il Mago di Riga’ di Giorgio Fontana

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Anni fa Gloss restò ammirata dalla perfetta connessione tra prosa e trama in Giorgio Fontana, questa volta autore de ‘Il Mago di Riga’. La prima, incisiva, fortemente caratterizzata da disillusione e amarezza, suo stile personale. La seconda, accadimenti la cui narrazione è frutto di coincidente immedesimazione dell’autore con il protagonista. In ‘Morte di un uomo Felice’, magistrato. Ne ‘Il Mago di Riga’, campione di scacchi.



Stavolta scritto in terza persona, il breve romanzo denota un passaggio ulteriore del Fontana verso una cifra stilistica meno guidata dall’ego proprio, ma da quella del personaggio principale. Siccome stavolta Gloss non vuole lasciarsi sorprendere come la prima volta, cerca nella sua bio un riferimento qualsiasi agli scacchi. Nel romanzo tali riferimenti al gioco sono così chiari e inderogabili da rivelarne una conoscenza approfondita. Forse ne è estimatore. Forse persino giocatore. Financo campione. Ma si avvede di esserci cascata ancora. Nulla di tutto ciò. Il Fontana si conferma un approfondito studioso dell’ambientazione in cui far giocare i suoi personaggi.


La buona letteratura coinvolge il lettore e la lettrice perché ‘parla’ loro. Permette non solo di identificarsi, ma anche aiuta a elaborare vissuti personali. Nel caso di Gloss, il protagonista del romanzo,  Michail Tal', soprannominato "Miša" (1936-1992), detiene il record di Campione del Mondo di scacchi più giovane della storia fino a quando non è superato da Garry Kasparov. La sua esistenza, turbolenta e non convenzionale, si svolge nell'arco di cinquantacinque anni caratterizzati da un genio manifestatosi precocemente e da una cronica fragilità fisica (costanti malattie). Nonostante ciò, la sua vita è animata da un appassionato, esuberante e talvolta sregolato impulso vitale, espresso attraverso una condotta caratterizzata da gioia, fraternità, calore umano e amicizia, e dissipazione. Non tanto il gioco di scacchi, ma la dissipazione con l’esclusione di fraternità, calore umano e amicizia, ‘parlano’ a Gloss di suo fratello, che ama tantissimo. 

Gloss ultima il romanzo in poche ore, a testimonianza dell’efficacia dello stile narrativo e parimenti del contenuto del Fontana.

Consigliato a giocatori di scacchi e a chi sostiene contro ogni giudizio problematici rapporti fraterni o amicali.

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lunedì 3 novembre 2025

'Il 49esimo Stato' di Stefano Amato

 Inizialmente pubblicato nel 2016, Gloss è stata costretta dall'Algoritmo di una piattaforma a riscrivere il post nel novembre 2026, dieci anni dopo. Misteri dispotici di Mr. Algoritmo.


Incappò Gloss nell'autore Stefano Amato per caso. Frequentava un corso di scrittura creativa dove reperì un suo libello dall'aspetto miserrimo. Gloss è lettrice vorace, per cui non si lasciò scappare nemmeno quella lettura che, dalle dimensioni, ben poco prometteva. Le dimensioni contano (evviva l'ironia, salverà il mondo). Ben fece perché si rivelò una pura amenità, che dall'agile trasmutava in gradevole attraverso le sfumature dello stupidario perfetto. Una sorta di raccolta di cretinate dette da clienti nella libreria dove lavorava l'Amato in Siracusa. Dall'alto (o dal basso del suo impiego, ideale per uno scrittore), si diverte a prendere in giro con raffinata ironia

l'ignoranza della provincia, facendola assurgere a esempio di quell'Italietta provinciale e scioccherella. Gloss si divertì a tal punto da desiderare condividere con l'autore il proprio sentire. Ne cercò l'e-mail (non sa bene come), gli scrisse e l'Amato le rispose con la medesima simpatia che troverà nel de 'Il 49esimo Stato', di ben altro spessore, non solo libresco, ma sempre venato di quella sana ironia che permette di superare, e guarire, dalle atrocità della vita.

Letto in meno di 10 ore, nonostante le sue 253 pagine e più, nonostante il rocambolesco escursus tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi fuochi degli anni di piombo, piacevole perché leggiadro (non leggero). Chi, come Gloss, ha amato Pino Aprile e le sue teorie anti Savoia nel suo 'Terroni', ma anche Beatles, Rolling Stones, Aerosmiths, Who, e soprattutto Sid Vicious e Sex Pistols, Clash e Ramones, amerà per proprietà transitiva questo romanzo di formazione di una formazione punk rock, ovvero quattro  ventenni o giù di lì appartenenti a un'ipotetica Sicilia annessa agli altri 48 stati USA con lo sbarco degli alleati.

Lo scrittore ce ne racconta le peripezie (amorose, musicali, scolastiche, familiari) durante il periodo che li vede impegnati per il loro debutto a supporters dei Ramones sul finire degli anni '70, in occasione del concerto in Sicilia per il trentennale dell'annessione. Ci canta tutta la rabbia incontrollabile degli squattrinati anni adolescenziali, col loro linguaggio spiccio ma mai troppo volgare, (non alla Irvine Welsh), le loro paure e tensioni, la voglia di spaccare tutto, di diventare grandi. L'Amato non perde però l'occasione di descrivere un paio di gustose scenette di ribelle violenza. L'audizione grazie alla quale potrebbero essere approvati a supporter di un famoso gruppo punk, si rivela un enorme fail. Pur non potendo suonare qualcosa fuori legge perché contro gli USA, interpretano il pezzo dei Ramones:

“I'm so bored with the USA”


Scandalizzati, i membri della commissione cercano di rimuovere l'impianto di amplificazione, ma uno del gruppo fa scudo con la chitarra brandendola in guisa di sfollagente. Impedisce loro il passaggio. Non gli resta che scimmiottare Pete Townsend degli Who e sfasciare tutto. Il tutto condito da una delirante ed allegra energia che sono gli adolescenti pazzi sanno avere. Distribuito nel 2013, Gloss si meraviglia di come un ultra trentacinquenne come Stefano Amato abbia potuto conservare la freschezza tipica degli adolescenti, pur avendo maturato corde più spesse che sottendono la narrazione. Bravo Amato!

Consigliabile a chi ha avuto una band o ancora la sogna.


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Vivere Per Sempre - L'Aldilà ai tempi di ChatGPT di Davide Sisto

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Nei suoi ultimi convegni, come quello alla Biblioteca Archimede di Settimo Torinese cui ha assistito anche Gloss, Davide Sisto racconta come Facebook sia diventato il luogo delle persone morte, anticipando persino la notizia del passaggio in latenza dei Vips, notizie fake o no. Il fidanzato di Gloss, Fabrizio, e lei stessa hanno comunicato il decesso delle rispettive madri proprio su questa piattaforma.



Indagando la tanatologia sui Social, Sisto enumera nel saggio numerosi canali che favoriscono la discussione e il confronto sul tema, inaugurando anni fa il movimento di ‘influencer della morte’. Questi ultimi l’affrontano utilizzando gli strumenti digitali con accortezza e creatività, confezionando scritti, video, persino outfit in maniera matura e consapevole. In poche parole, veicolando e accendendo consapevolezza in giovani e non, attraverso il coinvolgimento in conferenze, festival, dibattiti. In Italia e nel mondo.

Sisto analizza in modo approfondito e puntuale come la congiuntura dell'era digitale stia radicalmente rimodulando l'ontologia della morte, convertendola da transizione definitiva in una forma di presenza ininterrotta, anche se solo virtuale. Una Reperibilità senza interruzioni, una continuità della presenza, secondo il Sisto persino deprecabile. Per un paio di motivi. Vediamo quali. Intanto, va premesso che tale mutazione da passaggio conclusivo a permanenza perpetua si manifesta attraverso due vettori principali, che sono, nell'ordine:




la costituzione dei social network in veri e propri "sepolcri digitali" (digital tombs), spazi dove l'identità del defunto permane sotto forma di profilo perenne e archivio di interazioni;


l'emergenza di applicazioni basate sull'Intelligenza Artificiale (AI), capaci di generare simulacri conversazionali dei defunti, di fatto annullando il concetto di assenza irrevocabile.


Le due constatazioni conducono il Sisto a una riflessione culminante nell'esortazione etica e sociale: la necessità di recuperare la funzione catartica e strutturante che la morte ha tradizionalmente rivestito nel consorzio umano. Solo riaffermando il suo ruolo quale limen definitivo e ineludibile, sarà possibile preservare la facoltà di elaborazione del lutto e, conseguentemente, ristabilire la capacità psicologica e sociale di "voltare pagina" (to move on). Gloss ha affrontato la dipartita della propria madre, scrivendone qui: MISTERI DI VITA E MORTE* (prima parte).


Mentre assiste al convegno, Gloss rimembra come sia stata infastidita dalla spesso ipocrita mitizzazione della persona nella dimensione Social da parte di amici - fino a un attimo prima nemici. Ha affrontato finora diversi passaggi in latenza di conoscenti e amici veri, cioè off-line - i cui contatti erano tenuti vivi tramite i Social Media - rimuovendo l’amicizia. Il passato è passato e non torna, se non è di verdura. L’elaborazione del lutto non avviene, a suo avviso, tramite l’agiografica esaltazione delle gesta del defunto, (come le è capitato appunto di assistere su Facebook), ma a un livello più profondo e intimo. Personale. I grandi sentimenti acquisiscono maggiore importanza quando non palesati vantandosene. Come l’Amore o le opere di Bene. Gloss tuttavia, stimolata proprio dalle riflessioni del tanatologo, si interroga non solo circa l’opportunità di restare connessi on-line con un’amica o un amico defunti, ma anche di conservare, accudire, coltivare accuratamente tale connessione, seppur solo virtuale, proprio allo scopo funzionale di far pace con l’assenza.

Su questa stessa linea, anche il Sisto arriva a ironizzare: “Tra qualche anno, magari, non ci stupiremo di vedere l’ologramma del morto celebrare sé stesso scolandosi qualche Guinness di troppo” Gloss deve ammettere il fascino che può esercitare tale vita infinita, in memoria dell’individuo passato in latenza. Ma è memoria o rischia di essere scambiata per immortalità? E poi: se ci si ferma alla Guinness è accettabile, ma quando a calare non è la birra ma l’abbigliamento intimo?



Riflettiamo su come a ogni luogo pubblico e/o privato siano state affidate confidenze o dati sensibili, (caselle di posta elettronica, documenti di viaggio, post sui Social, ritratti fotografici, ecc.). Dopo la morte del detentore dei diritti di accesso sono a potenziale disposizione di chiunque voglia sfruttarli, magari per intenti non del tutto trasparenti o nobili. A maggior ragione a fronte della notizia di questi giorni (siamo a fine ottobre 2025) della AI che monta teste di personaggi famosi su corpi nudi non loro e ne realizza lucro con oltre 7 milioni di utenti on-line. Una evidente forma di violenza, argomento caro a Gloss fin dal 2013 con la pubblicazione del saggio Corpi Ribelli per sensibilizzare circa la violenza sulle donne.

Esiste una parola chiave in questo contesto cui Sisto non ha ancora pensato. Vediamo quale.

La posizione di Gloss non si rifà al puritanesimo rinascente nei giovani, che peraltro contesta perché, ai fini di una crescita più responsabile, ai giovani è riservato l’uso della trasgressione. Quello di Gloss è constatazione di consenso (mancato). Il defunto infatti non può (più) esercitare i suoi diritti alla propria privacy. Dunque, la parola chiave è consenso. Da oggi, Gloss grazie al Sisto, ha conseguito un nuovo obiettivo di lotta per i diritti delle donne e di tutti: urge regolamentazione in proposito.

Consigliato a chi fa del memento mori fonte fondante di vitale meditazione.

E quando uno dei vostri amici o amiche passano in latenza, come vi comportate? Lo rimuovete o lo conservate?

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*Morte: il termine, declinato più e più volte nel presente post, ha guadagnato un ban da parte di Mr. Algoritmo perché 'lede' la policy della community e perché sottrae 'dati sensibili' (cit.) Nel 2016 Gloss scrisse la parola 'ammazz*' più e più volte: non condannava ancora al silenzio chi scriveva questo genere di lessico.