"La Figlia" di Clara Usòn, traduzione di Silvia Sichel, Collana Il contesto n.35, Palermo, Sellerio, 2013, ISBN 978-88-389-2912-0. Abituata per sua stessa imposizione a scrivere recensioni “fuori dalle regole” (che prescrivono di riportare i tipi e l’anno di pubblicazione), Gloss ha evitato in tutti questi anni da recensora (o, meglio, da “badante letteraria”) di scrivere la CE o la collana, persino la data di uscita pur di distinguersi dalla massa mainstreaming dei recensori. Si sorprende stavolta di riportare persino il numero ISBN. Vuole assicurarsi che un libro così non vada perso nei meandri dei “Dieci imprescrittibili diritti del Lettore” del Pennac. Si tratta di un libro necessario senza grandi incipit eclatanti, ma con le vicende di vita quasi banali di una qualsiasi ragazza serba poco più che adolescente, ben poco immersa nelle guerre che funestavano i Balcani negli anni Novanta. Giochi di ruolo con ragazzi e ragazze di buone famiglie borghesi, tra l’allora Jugoslavia e la Russia, studi e feste alcoliche e di droghe leggere. Apparentemente niente di che, quasi noioso resoconto di normali aneddoti. Pian piano prende forma la realtà. La giovane non è una figlia qualsiasi. Senza tema di spoilerare, ma nella speranza, anzi, nella convinzione che le affermazioni in 4° di copertina conquistino lettori e lettrici così come lo è stata Gloss, le riporta tali e quali. Prima però due notizie sulla scrittrice, a conferma dello spirito di ricerca che domina la scrittura di questo romanzo, a metà tra saggio storico, sociologia, memorie intime e violenza.
Nata da un padre avvocato di spicco, Clara Usòn ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Barcellona. In seguito, ha scelto di non praticare la professione legale per intraprendere la carriera di scrittrice. Nel 2013, ha ottenuto il Premio de la Crítica in Spagna per il suo romanzo "La hija del este", tradotto e pubblicato in Italia da Sellerio Editore con il titolo "La figlia". Questo libro trae ispirazione dalla vicenda di Ana, figlia di. Punto. Ci si deve fermare qui. Gloss individua nel seguente aforisma il pilastro di tutta la narrazione. Senza spoilerare nulla, secondo Gloss racchiude la convinzione profonda della Usòn circa il rispetto della verità storica. Almeno inizialmente l’autrice affonda a piene mani nel sentimentalismo di una figlia nei confronti del proprio padre, un uomo percepito non solo come “maschio alpha”, ma anche soprattutto come patriota, caloroso e affettuoso verso tutte e tutti i serbi, financo l’intera umanità. Solo che la storia scritta dai vincitori lo dipinge e lo svela come un assassino torturatore seviziatore e in quanto tale condannato."I vincitori scrivono la storia. Il popolo tesse la tradizione. Gli scrittori fantasticano. Certa è solo la morte."La Usòn riesce nel difficile equilibrio tra verità personali e quelle del popolo. Un’operazione che ispira a Gloss la scrittura di un romanzo sulla vicenda della “Strage di Erba”. Aguratele di riuscire anche a lei in tale equilibrismo, tra realtà e fantasia. Gloss scrive narrativa, e la narrativa non riguarda il futuro. Non sa del futuro più di quanto ne sappiano lettori e lettrici. Forse persino meno. Non prevede, né prescrive. Descrive. Descrive alcuni aspetti della realtà psicologica nel modo in cui lo può fare una romanziera, ovvero inventando bugie elaborate e dettagliate. Consigliato a chi volesse ricordare quegli anni terribili nei quali l’Italia rischiò di essere coinvolta in un conflitto con i vicini di casa: sarebbe stato sufficiente che il generale Ratko Mladić avesse individuato musulmani anche sul nostro territorio.