mercoledì 24 dicembre 2025

'Lo Specchio delle mie Radici' di Daniele Giuliano

(precedente) 

Va premesso che la letteratura passa da una 'l' minuscola a una 'L' maiuscola in proporzione alla qualità delle riflessioni che suscita in chi legge. Qui Gloss si è imbattuta in Alta Letteratura.

'Lo Specchio delle mie Radici' è un romanzo dello scrittore Daniele Giuliano appartenente all’immensa schiera di artisti del CSU (COLLETTIVO SCRITTORI UNITI) che, timidamente ha chiesto a Gloss la gentilezza di una recensione. Al trinomio Arte, Cultura, Bellezza Gloss sente di dover aggiungere Gentilezza in questi tempi bui di guerre e mancanza di rispetto tra individui La Cultura, quella Buona, fa del Bene.

 e quindi, per non venir meno alla Propria Coerenza Interiore, accetta, pur avvisandolo di non fare sconti a nessun3 *. 





Quando si cala nei panni di Editor, Gloss si interroga sulle intenzioni dell’autore e dell'autrice, ponendo in discussione sé stessa prima ancora dell’opera, perché, come disse Michelangelo a un’ottantina d’anni suonati, “C’è sempre da imparare”.  


Va premessa la sostanziale differenza tra Correttore di bozze ed Editor. Il primo è un grafico che “sistema” gli eventuali “refusi”: a volte, manco gli automatismi dei più diffusi programmi di scrittura li recepiscono. Il Correttore di bozze dà una connotazione grafica e simbolica al testo secondo i dettami del “Manuale di Stile” della Casa Editrice, ovvero CE. Tanto per dire, la Einaudi ne ha uno che differisce parecchio da quelli più comunemente diffusi. 


L’Editor invece consiglia, guida e suggerisce miglioramenti di lessico e di costruzione logica dei periodi, che nell’atto dello scrivere a volte si perde. L’Editor, da lettore accanito ed esterno all’opera, non si lascia coinvolgere emotivamente da essa (ed è un dilemma per Gloss, che, da Editor di CE, vorrebbe poterne godere senza auto condizionamenti). Dopo anni di esercizio, ci riesce, pur prendendo appunti per le recensioni. 


Recenti studi sulla psiche umana ritengono che sia preferibile dare prima le notizie cattive di quelle buone. Gloss pertanto comincia dalle “cattive”, anche se vanno considerate come critiche costruttive.

Fosse stata consultata dal Giuliano per l’editing del romanzo, l’avrebbe rispettato nella visione d’insieme, pur intervenendo (poco) a correggere ripetizioni (citazioni sparse “«un po’ l’hai fatto» mi esce, un po’ come rimprovero.”, “raccoglie entrambi i sessi, i lineamento sono senza sesso”, “li metto in una sacchetta che metto al collo”); a individuare tempi verbali e avverbi più consoni al senso della frase (“Io anche ho un mio personalissimo rapporto con la morte, ciononostante il pensiero di perdere la mamma mi devasta”. A parte il regionalismo di  “Io anche”, quell’avversativo “ciononostante” è fuori posto per due motivi: perché richiederebbe almeno un punto e virgola invece della semplice virgola, e perché la valenza ostativa necessiterebbe di un minimo accenno al “personalissimo rapporto con la morte”. Se l’intenzione dell’autore è non raccontarlo, la frase funzionerebbe meglio così: “Anche io ho un mio personalissimo rapporto con la morte, nonostante il pensiero di perdere la mamma mi devasti”. In realtà, come Editor, si sarebbe confrontata con lui per capire cosa davvero avrebbe voluto dire). 


Inoltre Gloss avrebbe speso tempo e sinapsi a sistemare periodi dal senso “raffazzonato” (sempre in “raccoglie entrambi i sessi, i lineamento sono senza sesso” si sarebbe potuto migliorare lo stile utilizzando locuzioni tanto in voga quando si parla di scelte sessuali; nel caso precipuo avrebbe suggerito di costruire il senso attorno al termine ‘ermafrodito” et similia. Come pure nel periodo “ma voglio ripromettermi che il suo rifiuto della mia disponibilità ad aiutare non sarà mai condizione affinché non mi mostri aperto verso la mia famiglia d’origine. Non più.” Gloss alla terza rilettura del periodo si è persa. A parte il “voglio ripromettermi” dove quel "voglio" è pleonastico rispettivamente all’atto di volontà già contenuto nel verbo “ripromettermi”, per “non sarà mai condizione” cosa intende il Giuliano? "affinché non mi mostri aperto” (che significa nel contesto?) “verso la mia famiglia d’origine”: fa già riferimento a padre/madre/sorella. Qual è allora la necessità di specificare, dato che ne sta già parlando? “Non più.” Quando era già accaduto? E soprattutto cosa? Che si è persa per strada, Gloss? O forse è l’autore ad aver perso qualcosa?)


Gloss ora viene all’opera nel suo complesso: abituata a leggere anche Ringraziamenti e Note (certe opere letterarie sono costituite precipuamente dalle note - vedere David Foster Wallace https://leggolibrifacciocose.blogspot.com/2016/03/verso-occidente-limpero-dirige-il-suo.html - e da Ringraziamenti - che Sandro Veronesi in modo azzeccato definisce ‘debiti’ implicando la gratitudine), suppone che i Ringraziamenti del Giuliano siano di fatto mero “spiegone” che potrebbe essere tranquillamente rimosso, dato che il senso del romanzo è chiarissimo fin dalle prime parole. 


Si tratta infatti di un “viaggio dell’eroe” nel senso più vogleriano, cioè sul modello narrativo sviluppato dallo sceneggiatore Christopher Vogler, le cui fondamenta si gettano in archetipi (le donne sognate dal protagonista); suddiviso per tappe (paesaggi e loro funzione narrativa), conduce l’eroe a completare un percorso personale di auto-consapevolezza. Nel caso de 'Lo Specchio delle mie Radici' , come intuitivamente si coglie già nel titolo, il protagonista si specchia nelle relazioni familiari. Molto bene nella sorella, per la conflittualità che domina il loro rapporto; un po’ meno nei confronti della madre in quanto non viene spiegato il motivo per cui il protagonista avverta avversione da parte materna; del tutto in modo assente la relazione, o, meglio, le cause della relazione negativa con il padre, pur essendo presenze costanti nel romanzo.


Il ‘viaggio dell'eroe’ ha da essere un’epopea trasformativa in cui il protagonista abbandona la stasi del quotidiano (la vita al Nord Italia) per affrontare, guidato da un mentore (i sogni), prove (il confronto con la sorella, la conforto della madre) e rinascite (il perdono e l’accoglienza materna, e il perdono paterno, che però non c’è) in un mondo straordinario (la morte della madre). 

Il ciclo si conclude con il ritorno alle origini, (l’eroe torna al Nord da moglie e figli) dove dovrebbe non essere più lo stesso, ma un individuo evoluto che porta con sé un nuovo equilibrio. Per far capire l’avvenuto cambiamento del protagonista, il Giuliano ha però bisogno dello “spiegone” dei Ringraziamenti, quando in realtà avrebbe potuto “far vedere” la mutazione narrando. Gloss, che ha lavorato per il cinema, in cui tutto è azione e non narrazione, sa bene quanto sia complesso tale artefizio. 

Interessante l’utilizzo del “sogno” come strumento junghiano di indagine personale - sebbene la distinzione tra le figure femminili rimanga nebulosa per chi legge. Come coinvolgente risulta la fruizione di simboli (il bastone / bacchetta magica) che rimandano alla ricerca di una propria identità sessuale del sé maschile.


Con l’espediente dei Ringraziamenti, il Giuliano rivela di provare verso il protagonista un sentimento di incompletezza psicologica che si traduce in indeterminazione di azione in un paio di occasioni. Per esempio, quando afferma che “non c’è tempo di lasciarsi coinvolgere dal marcio del nostro vissuto”, sembra non abbia abbastanza riflettuto su quanto questo stesso marcio possa fare da concime per le nostre esistenze. O quando, nell’osservare che i movimenti oculari della madre morente rivelano bisogno di tranquillità, non può fare a meno di far dire al protagonista: 

“«Sono qui mamma, sono io»** sussurro. Vorrei chiederle scusa.

Scusa se ci ho messo così tanto a tornare stavolta.(...) Non devo far altro che salutare. Ma le parole sono difficili.

«Ci vediamo domani. Ma ti prego, tu resta.»”

Farla restare per cosa? Per compiacere il protagonista che forse ha qualcosa ancora in sospeso, per accontentare il suo egoico ego? (si vedano le specificazioni della Crusca su Egotismo, egotista, egotico).


A volte, lasciar andare via i propri cari senza farli soffrire ulteriormente è da egoisti. Dunque, da irrisolti. Guardare nel proprio cuore richiede impegno durissimo e massima sincerità. 

“Siamo noi stessi la Realtà che si interroga su di sé, poiché è solo attraverso l’autoanalisi, l’introspezione e la ricerca di soluzioni per le proprie difficoltà che la Realtà può emergere.

Sono processi impegnativi che richiedono coraggio, ma spesso vengono interrotti, ignorati o deviati proprio quando si presentano con urgenza e chiarezza.” Cit. MISTERI DI VITA E MORTE.


Le immancabili due parole sulla copertina, venditore muto: due alberi maestosi dalle altrettante maestosi radici e fronde si fronteggiano. Didascalica, ma chiara circa l'argomento, sebbene manchino riferimenti alla Magia, che all’interno del romanzo ha funzione consapevolizzante.


In definitiva, parafrasando gli insegnamenti di Sensi Daisaku Ikeda, mettersi in gioco è già vincere. Su sé stessi, indipendentemente dai risultati esteriori. Si è vinta la propria paura. E il personaggio del Giuliano ha vinto. O forse è il Giuliano stesso?



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nessun3: la desinenza 3 non discrimina. Gloss non usa asterischi - non solo perché Valditara li abbia vietati, ma ipocriti - e non vede come qualcosa di non appartenente alla nostra lingua - il suono schwa ә - possa riguardare noi italiani


** sono io»*: manca un punto prima delle caporali. Gloss si dà della sciocca, non può tralasciare un momento il suo karma della maestrina della penna rossa?


venerdì 12 dicembre 2025

'Perennemente Instabili' di Umberto Chiron



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“Per me, come per gli altri componenti, il teatro era diventato una sorta di “droga”, dalla quale però nessuno aveva voglia di disassuefarsi.”

Vittorio Giraud, protagonista


Essendo dialoghista per Carlo Verdone, nei Novanta Gloss si sperimentò nel teatro e lì

rimase il suo cuore. Ancora oggi, a distanza di trent’anni, vi si è gettata a cuore aperto: la compagnia teatrale dei “Teatroci” l’ha accolta a braccia aperte. Questo il motivo dell’acquisizione impulsiva del romanzo ‘Perennemente Instabili’ di Umberto Chiron. Dato alle stampe dalla Buckfast Edizioni nel 2025, 

e acquistabile anche sul loro sito, nella prefazione, l’autore afferma quanto di autobiografico  sia presente nella narrazione in 1° persona e quanto invece no. E quanto l’azione teatrale sia d’aiuto ai disturbi ossessivi-compulsivi (DOC), comuni a tante persone.


 


Titolo e copertina di grande impatto hanno influenzato la scelta. Il protagonista Vittorio Giraud,  assume da subito un tono confidenziale, che coinvolge il lettore, perché gli affida l’aperta esplorazione del suo DOC. Gloss ci tornerà, perché fondante.


 



La storia è semplice, come il lessico impiegato per la narrazione: l’attore amatoriale della compagnia torinese "Perennemente Instabili", narra la vita del gruppo, che viene turbata dalla misteriosa scomparsa di un membro poco prima di una performance in Liguria.



Nonostante l'evento inatteso, l'attività della compagnia continua con successo, facendo da sfondo al viaggio interiore di Vittorio.


Attraverso la sua riflessione, emerge il suo stato di solitudine sentimentale, dovuto al timore di impegnarsi o alla mancata ricerca della persona adatta.


La narrazione si conclude con l'arrivo… no no, Gloss non può spoilerare.

 


Gradito l’inserimento a introduzione di ogni capitolo di brevi riflessioni poetico/filosofiche dell’autore, perché le sente coinvolgenti per la propria vita. La prima è quella che più colpisce Gloss, ovvero: 

Teatro. / Rito profano / Inspiegabile Magia.//


E a chiusura: 

“Un sipario si chiude, / Un altro si apre, / così è la vita.// 



Un paio di considerazioni immediate che non deturpano il libro: la prima, che da antipatica perfezionista, Gloss avrebbe gradito approfondimenti in materia di DOC, in forma di narrativa e un metalinguaggio più ricco e adeguato. La seconda, che in quanto accanita e onnivora lettrice si è stancata del genere giallo sbattuto in ogni dove. Ed è un’autocritica, perché lei è la prima a farlo nei suoi romanzi.


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'La Prefazione del Negro' di Kamel Daoud

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"La cosa che mi terrorizzava di più non era la caduta, era l'idea che, anche in quel

gesto estremo, ero ancora un arabo che si gettava dall'aereo, e non un uomo che aveva deciso di volare in una sua maniera, magari disperata, ma sua."

Venerdì, da "L'Arabo e il Vasto Paese dell'Oh"


‘La Prefazione del Negro’ (in originale ‘La Préface du Nègre’), Casagrande editore,

uscito nel 2013, è una raccolta di racconti di Kamel Daoud, pubblicata nel 2013,

che esplora temi complessi legati all'identità, all'assurdità, e alla condizione

dell'uomo arabo e algerino nella società contemporanea. Il titolo è significativo

e provocatorio, condensando diversi livelli di significato e ironia, tipici dello

stile di Kamel Daoud. Gloss lo sceglie perché lei stessa è ‘una negra’.

A partire dalla metafora dell'Estraneo/Altro (Il "Nègre"): in francese ha una forte

connotazione storica e dispregiativa, spesso associata all'uomo colonizzato,

marginalizzato o escluso. Daoud non a caso prende ispirazione da Meursault,

protagonista e narratore de ‘Lo Straniero’ (‘L'Étranger’), romanzo del 1942

dello scrittore e filosofo francese Albert Camus, figura centrale per la letteratura

esistenzialista, che incarna il concetto di Assurdo.



Daoud lo usa in senso metaforico e universale per rappresentare non solo la

condizione dell'uomo arabo/algerino contemporaneo, intrappolato tra l'identità

imposta dall'Occidente e la propria realtà, ma anche in senso lato, quella

dell’ "Altro" stereotipato, colui al quale non è permesso definirsi da sé,

ma è sempre visto attraverso uno sguardo esterno. È uno dei temi trattati

da Gloss nel suo romanzo in uscita per il SalTo26 ‘Ombre e Luci in vetta’,

quando il  Pettegolezzo Fa del Bene a cura di Sonia Pangallo Genovese.

 



Ma è soprattutto il nicknames conferito a chi fa di mestiere il ghostwriter,

cioè una persona che scrive un'opera al posto di un’altra, ma rimane nell'ombra,

senza riconoscimenti né emolumenti. Esattamente come Stefi Pastori Gloss

quando fu, tra i tanti artisti, anche  battutista per Carlo Verdone

(“anvedi che ber sito…”). A proprio discapito, Gloss usa affermare che solo

una femminista può scrivere le battute del maschilismo più becero.




‘La Prefazione del Negro’ riflette la sensazione dei personaggi di Daoud

di essere voci senza volto la cui vita è sempre stata prefaziata da

qualcun altro (il colonizzatore, la tradizione, le aspettative sociali),

pre-scritta e pre-definita dall'esterno, spesso attraverso i riferimenti a

figure come Robinson Crusoe e Venerdì. L'Occidente (il "Bianco"), secondo

Daoud, ha sempre deciso chi è l’arabo, cosa deve essere e come deve

comportarsi, prima ancora che lui possa iniziare a scrivere la sua vera storia.




In fondo, Gloss suppone che Daoud compia un atto di appropriazione

e ironia. Sottolinea l'assurdità di queste etichette e, allo stesso tempo,

rivendica il diritto di scrivere la propria "prefazione" e la propria storia,

anche se è una storia di Assurdo e Rivolta.


In sintesi, la raccolta nella sua complessità è una serie di riflessioni

filosofiche e socio politiche sull'identità, la marginalizzazione e

l'atto di essere definiti dall'Altro. O, meglio, un commento amaro e

intellettuale sulla ‘propria’ identità. Infatti Daoud è un autore e giornalista

algerino con una formazione in Letteratura francese. Ha iniziato a scrivere

per il giornale in lingua francese 'Le Quotidien d'Oran' nel 1994, dove dal

1997 cura la rubrica "Raina raikoum". La sua carriera letteraria è decollata

con il romanzo d'esordio, Il caso Meursault (Premio Goncourt opera

prima nel 2015).



Successivamente, ha pubblicato diverse altre opere, come ‘Le mie

indipendenze’ e ‘Il pittore che divora le donne’. Il suo ultimo lavoro,

‘Uri’, ha vinto il prestigioso Prix Goncourt 2024, che Gloss ha iniziato a leggere.




‘La Prefazione del Negro" non ha un'unica trama lineare, ma presenta

una serie di racconti che ruotano attorno a personaggi paradossali e disorientati.


Uno scrittore che cerca di evitare di scrivere l'unico libro che la società si

aspetta da lui, in una lotta contro la sua "negritudine" e le narrazioni predefinite.



Un arabo (Dal nome Venerdì) che, invece di dirottare l'aereo su cui si trova,

preferisce lanciarsi nel vuoto, raccontando la sua storia durante la caduta,

in un gesto di ribellione assurda.



Un corridore olimpionico che taglia il traguardo ma non riesce più a fermarsi,

simbolo di una corsa infinita e senza scopo.


Un ex ufficiale che costruisce un aeroplano con le sue mani, ma riceve

indifferenza, venendo notato solo se dirottasse un velivolo, evidenziando

il pregiudizio e il fatalismo.


Secondo l’avviso di Gloss, il racconto più rappresentativo dell'intera raccolta,

e che meglio incarna il tema dell'assurdo e dell'identità imposta, è

probabilmente "L'Arabo e il Vasto Paese dell'Oh" , in cui un uomo arabo

si trova a bordo di un aereo di linea che sorvola l'Atlantico. Invece di dirottare

l'aereo, come ci si aspetterebbe dallo stereotipo del "terrorista" o dell'uomo

arabo come minaccia, decide di compiere un gesto infinitamente più assurdo

e privato: si lancia nel vuoto.


La maggior parte del racconto è un monologo interiore che si svolge durante

la caduta, in cui il protagonista narra la sua vita, le sue delusioni e il suo rapporto

con la società e con l'Occidente. Questo momento dell’Assurdo diventa l'unico

spazio e tempo in cui può finalmente essere l'autore incontrastato della sua storia.



Il protagonista è stanco di essere visto e incasellato in una narrazione precostituita.

La sua caduta è il rifiuto di interpretare il ruolo che gli è stato assegnato: quello

del rivoluzionario, del dirottatore, del disperato o della vittima. 



L'atto di buttarsi è un atto di libertà estrema e nichilista. È l'ultima risorsa per

sfuggire al destino scritto per lui da altri (il "Nègre" che deve recitare la

prefazione altrui). Solo nell'atto di morire, lontano dalle aspettative di

chi è sopra (sull'aereo) e di chi è sotto (la società che lo attende), l'uomo

trova una sua verità effimera.



Il titolo si riferisce a ciò che lo circonda durante la caduta, ma anche alla

sorpresa e all'incomprensione generale che il suo gesto suscita. L'interrogativo

"Oh?" (in senso di stupore) racchiude l'incapacità del mondo di capire un

gesto che non rientra nelle categorie predefinite.


Questo racconto rappresenta perfettamente la tematica del libro: l'unica vera

libertà per l'uomo intrappolato nell'identità di "Negro" è l'azione estrema e

incomprensibile, un atto di ribellione poetico contro l'assurdo della condizione

umana post-coloniale.



In generale, l’intera raccolta di racconti

è caratterizzata da uno stile visionario, poetico

e satirico, utilizzando l'ironia e il

sarcasmo per affrontare l'aggressività dei

fondamentalisti e il  vuoto esistenziale.

In sintesi, è un "prontuario della rivolta,

poetico e umanista" che, attraverso l'assurdo,

mette in discussione le etichette

identitarie e la marginalizzazione.



(seguente)

martedì 2 dicembre 2025

‘La Luna e i Falò’ di Cesare Pavese

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“Fatto sta che sapevo che non sarebbe durata, e la voglia di fare, di lavorare, di esporsi, mi moriva tra le mani.”


Dichiarazione di una disfatta, quella di Cesare Pavese ne ‘La Luna e i Falò’. Forse la propria? Gloss suppone di sì. Seguite il suo ragionamento.




Cesare Pavese nacque nel cuneese nei primi del Novecento, ultimogenito di una famiglia benestante. Già introverso per genetica e per influenze esterne, una volta cresciuto all’ombra della madre autoritaria, il carattere del piccolo Cesare ancor più si adombrò. Trasferito  a Torino, la sua infanzia fu infatti segnata da lutti familiari e da problemi di salute, come quelli del padre, passato in latenza quando Cesare aveva solo cinque anni. Contesto familiare / affettivo fu determinante per la sua futura vita e opera letteraria, determinando un forte radicamento nel sentimento della malinconia, di cui Pavese impregnò soprattutto ‘La Luna e i Falò’, l'ultimo suo romanzo pubblicato nell'aprile del 1950. La struttura narrativa contrappone l'innocenza giovanile della scoperta (simboleggiata dai falò delle feste) alla disillusione amara dell'età adulta del protagonista, Anguilla, tornato al paese dopo la guerra. I falò finali e metaforici (l'incendio della cascina e il destino tragico di un’amica) rappresentano la distruzione del passato e la fine definitiva di ogni speranza di riscatto e felicità.

Nel suo diario, il 1º gennaio del 1946 scrive il consuntivo dell'anno trascorso: «Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne, stampato un libro, scritte poesie belle, scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe). Sei felice? Sì, sei felice. Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo. Hai due volte sfiorato il suicidio quest'anno. Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? Non hai mai combattuto, ricordalo. Non combatterai mai. Conti qualcosa per qualcuno?»


"Ripeness is all" sarà la sua dedica all'ambita attrice Costance Dowling, sorta di addio definitivo. "L'idea del suicidio era una protesta di vita".


Per Gloss è una sorpresa rileggere a 45 anni di distanza ‘La Luna e i Falò’ di Cesare Pavese, da sempre memore di quanto l’aborrisse, e scoprire che uno dei propri romanzi Fuochi d'Artificio contiene non solo le stesse tematiche essendo ambientato nel periodo storico della II Guerra Mondiale, ma persino il medesimo modo di affrontarle. La domanda nelle interiora di Gloss scatta spontanea: “allora Pavese mi ha influenzata senza che lo volessi scientemente.” Ebbene sì, questo fa, la Grande Letteratura: influenza, insegna, istruisce, guida.