Prima di Adam, avrei detto che il seicentesco monaco zen Matsuo Bashō fosse il più efficace poeta conosciuto che abbia mai scritto Haiku sensorialmente perfetti, una terzina di cinque, sette, cinque sillabe con riferimento a un periodo dell’anno o del giorno. Tutto sommato forma metrica “facile”, almeno per lingue agglutinanti come il giapponese e il coreano. Poco consona invece agli idiomi occidentali, come l’inglese o l’italiano. So che qualcuno di voi è lì pronto a smentirmi, citando Tizio Caio e Sempronio a noi contemporanei - quindi emergenti. Ma dopo due anni di letture dedicate esclusivamente a sedicenti scrittori, dei quali sono stati meritevoli di recensione una decina sui circa 200 letti, e tra questi nemmeno uno dei pochi presunti compositori di Haiku appare sul mio blog. Si destreggiano in componimenti simil-Haiku per moda o snobismo, credendo di emulare l’ermetismo del nostro Nobel siculo, senza minimamente sfiorare l’intento del monaco zen, non dico religioso - ma almeno filosofico. Se ci si confronta con loro, sono fermamente convinti che sia sufficiente risparmiare sillabe e comporre qualsiasi boiata con la formula cinque-sette-cinque per essere apprezzati da noi occidentali. In effetti, noi, anche solo in quanto tali, generalmente ignoriamo cosa siano davvero gli Haiku.
Prima della lettura di questo McEwan, ero ancora convinta che strumenti linguistici (e schemi mentali) per scrivere Haiku fossero esclusiva degli orientali. Ora so che anche gli androidi possono farlo e pure in qualità eccelsa. Ok non tutti, ma uno solo di loro: Adam, partorito dalla fantasia ucronica dell’immenso autore.
La storia è complessa e dunque non facilmente spoilerabile. Ma intrigante, attuale, profonda, con tematiche di coppia, adozione su più livelli, sia di umani che di androidi, di programmazione informatica (Turing è ancora vivente e contattabile), di fisica quantistica, di finanza e trading online, di convivenza multietnica, di investimenti immobiliari, di letteratura da Shakespeare in giù o in su - senza mai sconfinare nell’irrimediabile e nozionistico citazionismo; si avvertono azioni di ricerca e approfondimenti storici e sociali e politici, sia relativi al periodo thatcheriano della Gran Bretagna - e correlate Falkland - che a quello contemporaneo.
L’Adam androide è ancora sperimentale e, pur essendo confondibile con un umano vero, non riesce ad acquisirne l’indispensabile incertezza di empatia affettiva per essergli perfettamente sovrapponibile. Anzi, creerà grandi disagi ai “suoi” genitori, due giovani protagonisti scienziati in procinto di sposarsi, dopo una scalata all’amore senza segreti (e di segreti ne hanno tantissimi). Amerei riportare uno degli Haiku composti da Adam, ma esco dal mio schema mentale e vi invito alla lettura integrale del romanzo.
La copertina è glaciale come Adam, forse addirittura lo riproduce (ma potrebbe essere benissimo anche una donna, la Eva citata continuamente nel romanzo): in effetti, parrebbero intercambiabili.
Consigliato non solo agli amanti dell’ucronia, ma a quelli del romanzo storico, agli amanti dell’Haiku, ai Poetanti da Social, ai lettori che scendono nelle profondità umane.
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