Ricevo
dall'editore CasaSirio un romanzo che non conoscevo, nonostante legga un centinaio di libri l'anno, dieci più, dieci meno, che è la storia di un'amicizia infantile tra
Lem e Keïten
in costante ricerca di una MADRE e di un MONTE, nonostante una direzione sadica, tra le pareti, anzi,
tra i muri, meglio ancora dentro
ai muri di un oscuro orfanotrofio russo negli Anni Quaranta,
rinfrescato da amenità del tipo: “In
fondo però, chi non ha desiderato, almeno una volta nella vita, di
buttarsi senza pensare?”, da altre come: “Che
io sia maledetto, il talento è una grande magia. E
una sofferenza.”,
fino all'uso patafisico delle parole “secoli” e “migliaia
d'anni” al posto di “poche ore”.
La
prima cosa che mi colpisce di questo romanzo è l'interiezione: “Che
io sia maledetto”. Al ritmo di due volte per pagina. Praticamente,
un tormentone. Che però alla lunga accompagna come una sicurezza
attraverso le brutture e incertezze descritte dall'autore dal nome
impronunciabile. Anzi, pregherei i lettori di mandarmene un audio con
la corretta pronuncia al mio indirizzo e-mail:
pastoristefaniagloss@gmail.com.
Si
può definire uno scritto ottimista, quando si arriva a leggere
massime come questa: “È
triste, amico mio, è triste essere
vivi e accorgersi che tutti ti hanno già cancellato. In quel momento
non c’è più vita, per un uomo, nessun compito da portare a
termine, solo quello di morire.”.
Ovviamente, sono ironica. Capisco rapidamente che orrore e tristezza
e "rassegnazione mai" sono la cifra stilistica del Čingo.
Nel
riportare le sue citazioni, stavolta lascio appositamente il corsivo
dove lui scrive in corsivo, e l'italico dove l'italico, perché
l'autore alterna pagine riempite di considerazioni
filosofiche in corsivo ad altre
circa i fatti scritte in normale italico, identificando nei
due diversi stili di carattere le relative differenziazioni
semantiche. Qui, una delle
sentenze, estrapolata dai corsivi, che identificano le sue
riflessioni: “ciò che doni agli altri ti appartiene,
ecco il senso di ogni cosa.”
“Rapidamente,
all’interno dell’orfanotrofio, bambini e oggetti
cominciarono a confondersi fino a divenire indistinguibili.”: qui invece una perfetta descrizione di alienazione fattuale affidata
all'italico.
Descrizioni
fulminanti per grigiore e sintesi: “Il mattino incombeva
dolorosamente, spossato come l’albero dell’orfanotrofio,
lacerato per metà.”, “Il
Campanaro sgranò gli occhi a tal punto che, per poco, non gli
cascarono in terra come bottoni scuciti.”, “Non si era mai
visto uno spettacolo simile nel cortile dell’orfanotrofio. Magri,
denutriti, i corpi ancora bambini, giravamo intorno alla nostra
piccola ombra malconcia come folli. Non sapevamo che fare della
nostra testa mutilata, delle nostre braccia rotte, di noi stessi.”
e ancora: “Non mi lascio aprire bocca e mi getto a terra con la
grossa mano da macellaio, tra le ceneri della primavera che
sorgeva come una fiamma.”, “se si
vuole punire qualcuno per tutta la vita, bisogna separarlo da
ciò che ama di più al mondo.” o "trovate" come quella del "lisciare i capelli" per ore con le mani
impastate di saliva, addormentarsi la notte con un fazzoletto in
testa, per poi svegliarsi la mattina così: “peccato che al
risveglio i capelli fossero divenuti colla, una vera e propria
matassa da sbrogliare. Forza, provate a sbrogliarli, provate a
pettinare quei capelli! Il prezzo sono lacrime e sangue. La forza del
talento era tutta qui: poveri bambini, tutto ricominciava da capo, e
dovevano di nuovo sopportare stoicamente le peggiori sofferenze.”
Un
talento a me sconosciuto, questo Čingo. Ne ricopio ampi
brani per impararne lo stile e farlo mio.
“Che
io sia maledetto, erano scorci stregati. All’improvviso vedi uno
spiraglio che scintilla, poi un altro, e un altro ancora. Era il più
stupefacente e magico dei labirinti. Provate a individuare il punto
esatto in cui lo sguardo di un bambino ha bucato il muro. La
Direzione esaminava il muro ogni giorno, le punizioni erano severe e
i buchi venivano tappati. Ciechi. A cosa poteva servire il cemento
se, trascorso un solo istante, migliaia di buchi identici apparivano
di nuovo?”
“Tutto
l’orfanotrofio era immerso nella solita immobilità, la
stessa calma glaciale che spesso regna nei cimiteri. Di tanto in
tanto, capitava che uno di noi cercasse qualcun altro in sogno,
allora i bambini mormoravano, parlavano da soli.”
E poi nel bel mezzo della narrazione di una marachella tra ragazzini, una
perla speculativa: “Bisognava invecchiare secoli per
conservare intatta l’innocenza.”
Il
Piccolo Male, il Male Sacro dell'epilessia sembra attraversare le
pagine del piccolo protagonista, come farebbe uno sciamano. Forse si
spiega così l'inserimento a catalogo CasaSirio nella collana
SCIAMANI.
“-
Mi vergogno - dissi, e scoppiai a piangere. Gli confessai che non
avevo alcun talento, che detestavo le poesie, i romanzi e tutto il
resto; gli confessai che si trattava di un istante di follia,
d’incoscienza, di dolore, un dolore egoista e insignificante, e
tutto per un uomo, quanta importanza per un solo uomo. Che io sia
maledetto, proprio così, per un solo uomo.”
“Nel
cuore di Keïten non era cambiato nulla, regnavano ancora l’amicizia
e l’amore, la solidarietà e l’accoglienza, il sorriso, il suo
sorriso, e il desiderio, la fede nella Madre Acqua, la verità sul
Monte Senterlev. Che io sia maledetto, questo monte esisteva, un
monte luminoso tra nebbie dorate ed eterne. Quel sogno meraviglioso
ci riapparve, niente poteva distruggere il nostro desiderio di
libertà. Amico mio, avevamo dentro un sentimento gigantesco,
l’amore. La Madre Acqua era ovunque, e lì dentro era la sola cosa
che ci ricordasse la vita. Cosa potevamo volere di più?”
“Ancora
adesso non riesco a capire quale verme abbia potuto
rosicchiare a tal punto i nostri cuori – la fame, la paura, le
punizioni, le umiliazioni quotidiane, il freddo, la nota sul dossier,
forse le file e quel maledetto muro, o forse tutto insieme – ma una
cosa era chiara come il giorno: lo spionaggio, la viltà e la
cattiveria spuntavano nell’orfanotrofio come patate novelle. Tutti
diffidavano di tutti, si nascondevano dagli altri e si chiudevano in
loro stessi.”
“...avrei
compreso che esistevano molte cose di cui non cogliamo
immediatamente il senso, cose che non si lasciano vedere a occhio
nudo, meraviglie che si nascondono negli oggetti, che ci aspettano
pazienti mentre noi, spietati e ciechi, le calpestiamo distruggendole
in maniera irrevocabile.”
Eppure,
celata dietro tutta questa negatività, ci sta la speranza. Proprio
il più malmesso, ovvero Keïten, che fu affidato alle cure di Lem perché ritenuto responsabile,
perché “con dossier aggiornato”, perché più savio, proprio Keïten compie la
sua rivoluzione silenziosa, il miracolo di cambiare se stesso, e il
malefico direttore, in buoni personaggi. Come? Ve lo lascio
disseppellire
con l'archetipo più antico del mondo.
Due parole, come mia consuetudine, sulla copertina. Nell'esplorare il catalogo di CasaSirio, un'editrice non a pagamento, (finalmente, leggi qui le mie valutazioni a riguardo), noto con piacere* l'unità grafica che ne caratterizza i libri. Eccellente coesione visuale, caratterizzata da armonia dell'impaginazione, dagli equilibri degli elementi visivi, alla euritmia dei cromatismi. Va
necessariamente il mio plauso all'editrice. Cinque stelle su GoodReads anche per questo motivo. Invito CasaSirio a completarne la scheda.
Consigliato
a chi riconosce nel potere dell'acqua l'eterno femminino e in quello
della montagna discopre il maschile, a chi abbia vissuto un periodo
della propria vita in luoghi oscuri e opprimenti per trovarvi
comunque una ragione di speranza, a chi crede nella capacità di salvezza nell'essere empatici prima di tutto.
*Fui Art Director negli anni Ottanta a Milano.
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