venerdì 13 luglio 2018

GRANDE MADRE ACQUA


Ricevo dall'editore CasaSirio un romanzo che non conoscevo, nonostante legga un centinaio di libri l'anno, dieci più, dieci meno, che è la storia di un'amicizia infantile tra Lem e Keïten in costante ricerca di una MADRE e di un MONTE, nonostante una direzione sadica, tra le pareti, anzi, tra i muri, meglio ancora dentro ai muri di un oscuro orfanotrofio russo negli Anni Quaranta, rinfrescato da amenità del tipo: “In fondo però, chi non ha desiderato, almeno una volta nella vita, di buttarsi senza pensare?”, da altre come: “Che io sia maledetto, il talento è una grande magia. E una sofferenza.”, fino all'uso patafisico delle parole “secoli” e “migliaia d'anni” al posto di “poche ore”.

La prima cosa che mi colpisce di questo romanzo è l'interiezione: “Che io sia maledetto”. Al ritmo di due volte per pagina. Praticamente, un tormentone. Che però alla lunga accompagna come una sicurezza attraverso le brutture e incertezze descritte dall'autore dal nome impronunciabile. Anzi, pregherei i lettori di mandarmene un audio con la corretta pronuncia al mio indirizzo e-mail: pastoristefaniagloss@gmail.com.

Si può definire uno scritto ottimista, quando si arriva a leggere massime come questa: “È triste, amico mio, è triste essere vivi e accorgersi che tutti ti hanno già cancellato. In quel momento non c’è più vita, per un uomo, nessun compito da portare a termine, solo quello di morire.”. Ovviamente, sono ironica. Capisco rapidamente che orrore e tristezza e "rassegnazione mai" sono la cifra stilistica del Čingo.

Nel riportare le sue citazioni, stavolta lascio appositamente il corsivo dove lui scrive in corsivo, e l'italico dove l'italico, perché l'autore alterna pagine riempite di considerazioni filosofiche in corsivo ad altre circa i fatti scritte in normale italico, identificando nei due diversi stili di carattere le relative differenziazioni semantiche. Qui, una delle sentenze, estrapolata dai corsivi, che identificano le sue riflessioni: “ciò che doni agli altri ti appartiene, ecco il senso di ogni cosa.
Rapidamente, all’interno dell’orfanotrofio, bambini e oggetti cominciarono a confondersi fino a divenire indistinguibili.”: qui invece una perfetta descrizione di alienazione fattuale affidata all'italico.

Descrizioni fulminanti per grigiore e sintesi: “Il mattino incombeva dolorosamente, spossato come l’albero dell’orfanotrofio, lacerato per metà.”, “Il Campanaro sgranò gli occhi a tal punto che, per poco, non gli cascarono in terra come bottoni scuciti.”, “Non si era mai visto uno spettacolo simile nel cortile dell’orfanotrofio. Magri, denutriti, i corpi ancora bambini, giravamo intorno alla nostra piccola ombra malconcia come folli. Non sapevamo che fare della nostra testa mutilata, delle nostre braccia rotte, di noi stessi.” e ancora: “Non mi lascio aprire bocca e mi getto a terra con la grossa mano da macellaio, tra le ceneri della primavera che sorgeva come una fiamma.”, “se si vuole punire qualcuno per tutta la vita, bisogna separarlo da ciò che ama di più al mondo.” o "trovate" come quella del "lisciare i capelli" per ore con le mani impastate di saliva, addormentarsi la notte con un fazzoletto in testa, per poi svegliarsi la mattina così: “peccato che al risveglio i capelli fossero divenuti colla, una vera e propria matassa da sbrogliare. Forza, provate a sbrogliarli, provate a pettinare quei capelli! Il prezzo sono lacrime e sangue. La forza del talento era tutta qui: poveri bambini, tutto ricominciava da capo, e dovevano di nuovo sopportare stoicamente le peggiori sofferenze.

Un talento a me sconosciuto, questo Čingo. Ne ricopio ampi brani per impararne lo stile e farlo mio.

Che io sia maledetto, erano scorci stregati. All’improvviso vedi uno spiraglio che scintilla, poi un altro, e un altro ancora. Era il più stupefacente e magico dei labirinti. Provate a individuare il punto esatto in cui lo sguardo di un bambino ha bucato il muro. La Direzione esaminava il muro ogni giorno, le punizioni erano severe e i buchi venivano tappati. Ciechi. A cosa poteva servire il cemento se, trascorso un solo istante, migliaia di buchi identici apparivano di nuovo?

Tutto l’orfanotrofio era immerso nella solita immobilità, la stessa calma glaciale che spesso regna nei cimiteri. Di tanto in tanto, capitava che uno di noi cercasse qualcun altro in sogno, allora i bambini mormoravano, parlavano da soli.” E poi nel bel mezzo della narrazione di una marachella tra ragazzini, una perla speculativa: “Bisognava invecchiare secoli per conservare intatta l’innocenza.

Oh madre mia, oh amico mio, oh la vita, oh gli uccelli, oh l’acqua, oh la casa...” era come una pugnalata al cuore. Evidentemente, quando si è così tristi, cantare o gridare non serve. - Calmati, Lem! Calmati, bambino - diceva Trifoun Trifounoski, spaventato e inquieto. Ma quale cuore sarebbe riuscito a placarsi, a fermare quel vento nefasto e distruttore? “Oh, divento cieco” diceva il mio testo e io, idiota, avevo gli occhi rovesciati, col bianco che riempiva del tutto le orbite, e il povero Trifoun Trifounoski pensò fosse la fine per la mia vista. - Povero bambino – disse.”

Il Piccolo Male, il Male Sacro dell'epilessia sembra attraversare le pagine del piccolo protagonista, come farebbe uno sciamano. Forse si spiega così l'inserimento a catalogo CasaSirio nella collana SCIAMANI.

- Mi vergogno - dissi, e scoppiai a piangere. Gli confessai che non avevo alcun talento, che detestavo le poesie, i romanzi e tutto il resto; gli confessai che si trattava di un istante di follia, d’incoscienza, di dolore, un dolore egoista e insignificante, e tutto per un uomo, quanta importanza per un solo uomo. Che io sia maledetto, proprio così, per un solo uomo.”

Nel cuore di Keïten non era cambiato nulla, regnavano ancora l’amicizia e l’amore, la solidarietà e l’accoglienza, il sorriso, il suo sorriso, e il desiderio, la fede nella Madre Acqua, la verità sul Monte Senterlev. Che io sia maledetto, questo monte esisteva, un monte luminoso tra nebbie dorate ed eterne. Quel sogno meraviglioso ci riapparve, niente poteva distruggere il nostro desiderio di libertà. Amico mio, avevamo dentro un sentimento gigantesco, l’amore. La Madre Acqua era ovunque, e lì dentro era la sola cosa che ci ricordasse la vita. Cosa potevamo volere di più?

Ancora adesso non riesco a capire quale verme abbia potuto rosicchiare a tal punto i nostri cuori – la fame, la paura, le punizioni, le umiliazioni quotidiane, il freddo, la nota sul dossier, forse le file e quel maledetto muro, o forse tutto insieme – ma una cosa era chiara come il giorno: lo spionaggio, la viltà e la cattiveria spuntavano nell’orfanotrofio come patate novelle. Tutti diffidavano di tutti, si nascondevano dagli altri e si chiudevano in loro stessi.

...avrei compreso che esistevano molte cose di cui non cogliamo immediatamente il senso, cose che non si lasciano vedere a occhio nudo, meraviglie che si nascondono negli oggetti, che ci aspettano pazienti mentre noi, spietati e ciechi, le calpestiamo distruggendole in maniera irrevocabile.

Eppure, celata dietro tutta questa negatività, ci sta la speranza. Proprio il più malmesso, ovvero Keïten, che fu affidato alle cure di Lem perché ritenuto responsabile, perché “con dossier aggiornato”, perché più savio, proprio Keïten compie la sua rivoluzione silenziosa, il miracolo di cambiare se stesso, e il malefico direttore, in buoni personaggi. Come? Ve lo lascio disseppellire con l'archetipo più antico del mondo.

Due parole, come mia consuetudine, sulla copertina. Nell'esplorare il catalogo di CasaSirio, un'editrice non a pagamento, (finalmente, leggi qui le mie valutazioni a riguardo), noto con piacere* l'unità grafica che ne caratterizza i libri. Eccellente coesione visuale, caratterizzata da armonia dell'impaginazione, dagli equilibri degli elementi visivi, alla euritmia dei cromatismi. Va necessariamente il mio plauso all'editrice. Cinque stelle su GoodReads anche per questo motivo. Invito CasaSirio a completarne la scheda.

Consigliato a chi riconosce nel potere dell'acqua l'eterno femminino e in quello della montagna discopre il maschile, a chi abbia vissuto un periodo della propria vita in luoghi oscuri e opprimenti per trovarvi comunque una ragione di speranza, a chi crede nella capacità di salvezza nell'essere empatici prima di tutto.

*Fui Art Director negli anni Ottanta a Milano.

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