Mi pregio di cominciare con un’affermazione del Roversi che suonerebbe apocalittica se non fosse già reale: “«Risparmiare sull’educazione significa investire nell’ignoranza.»” e che mi fa amare d’emblée questo “manuale di cultura della milanesità”.
Mi capita sempre più spesso, ultimamente, di entrare in contatto con autori ed editori via Instagram, agli inizi un Social un po’ snobbato da me, più affezionata a Facebook, roba da antichi per gli ultra cinquantenni come la sottoscritta, tranne da quando mi accorsi che il primo sta soppiantando il secondo. È qui che Paolo Roversi “risiede”, o, almeno, la sua casa editrice, la quale mi spedisce via e-mail il pdf da recensire. Poi, mentre sto scrivendo, lo trovo anche sul Social “antico”.
Fin dalle prime battute, avverto di “conoscere” il Roversi letterariamente parlando, emulo dell’eccelso Scerbanenco. Ma capita che a volte l’allievo superi il Maestro e questo è il caso del Roversi, così milanese nelle ossa da ambientare le “sue” vicende in quel di Milano in modo preciso e mirato.
Il poliziesco CARTOLINE DALLA FINE DEL MONDO inizia con la predisposizione della fuga del protagonista al Polo Sud, nei pressi di un Faraday Bar. Enrico Radeschi, nome milanesissimo fosse solo perché uno tra i più noti locali di apericene in zona Corso Garibaldi, è un ex giornalista sempre in collaborazione con la Questura che nel corso della narrazione scoverà un imitatore di prodezze geniali del Da Vinci. Ma l’incipit riguarda la sua precedente fuga da un eventuale assassinio: il proprio, per mano di un suo vecchio personaggio investigato. Inizia così: “«Hanno ammazzato una ragazza, Antonio. L’hanno uccisa al posto mio. Per colpa mia. Capisci? E ora l’assassino è sulle mie tracce...»”
e finisce così:
“Bentornato a casa Enrico. Ho visto il tuo video in rete in cui salvi le opere di Leonardo. Bravo! Ma non rilassarti troppo. Ho seguito le tue tracce fin qui al Faraday Bar, scovarti a Milano sarà una passeggiata. Inizia a preoccuparti perché ci rivedremo presto. Saluti dalla fine del mondo.
H.” Lascio a voi di scoprire perché si riferisce al titolo.
In Milano, soprattutto nella zona di Porta Romana (toh, che caso) esistono numerose trattorie per l’appunto romane frequentate dal Radeschi. Grazie al protagonista, scopro l'esistenza di un condimento per pastasciutta tipico della cucina laziale, a me sconosciuto, preparato facendo rosolare nell'olio guanciale e cipolla, con l'aggiunta di formaggio pecorino grattugiato. Sapete come si chiama? Siete curiosi? Leggete il libro.
Ricci, il nuovo questore, Loris Sebastiani, il vice questore, che “Ha più espressioni facciali il suo sigaro di lui.” (citazione da Sergio Leone che, da cinefila ed ex sceneggiatrice, non mi sfugge), il commissario Lonigro, dottor Ambrosio, Mascaranti, tutti nomi a me già noti, ma ancora dopo la lettura non so perché. Pur essendo accanita lettrice, non mi risulta di aver scorso in precedenza qualcosa del Roversi. “Fino a cinque anni prima insegnava semiotica all’Università Statale e io e Loris lo conoscevamo dai tempi del nostro primo caso insieme, quando ci aveva aiutato a scoprire chi si nascondesse dietro un’antica confraternita.” “Del resto, la voglia di ballare e cantare, i sudamericani ce l’hanno nel sangue: mi ricordo uno dei miei primi casi, quando ero capitato nella chiesa di Santo Stefano, accanto a quella di San Bernardino alle Ossa, frequentata principalmente da peruviani, salvadoregni ed ecuadoriani; ebbene, la messa cantata e partecipata da tutti era un vero spettacolo. Chissà se è ancora così.” I riferimenti ad altre indagini dell’ex giornalista Enrico Radeschi non mi aiutano. L’obiettivo della narrazione è catturare l’assassino autodefinitosi Mamba Nero alias il Serpente, che ammazza nei musei della città i tecnici della TechHackCorp. Piero Sartori ne è l’odioso direttore a tal punto da far affermare a chi si occupa delle indagini: “«Su una cosa ha ragione» dico (...) «Sarebbe?» chiede Lonigro. «Perché non uccidono lui?»” .
Anche per i più accorti fuggitivi, “La nostalgia quando arriva è come un fiume che rompe un argine: inonda e porta tutto via con sé. Come il grande fiume, il mio fiume, il Po.” Così, dopo anni di oculata e difficoltosissima rinuncia a tutto ciò che può essere rintracciabile (cellulari, computer, carte di credito…), il Radeschi torna a casa.
Come spesso mi capita di rilevare in opere che si rivelano eccelse, anche in questo poliziesco l’ironia salverà il mondo: «Darla non è un’esortazione né un consiglio; solo uno stupido nome, d’accordo?»” , «Un secondo Darla, tieniti in caldo.» «Tieniti in caldo? Cosa sono, una minestra?»”, “Alle mani, che stringono un bicchiere di quello che sembra champagne, anelli d’oro e d’argento. Incarna davvero tutti gli stereotipi: un capo dell’Organizacija, la mafia russa, fatto e finito. Come noi temo.” In Corso Buenos Aires a Milano: “Le librerie hanno quasi tutte chiuso: le mutande hanno avuto la meglio sul desiderio di cultura dei milanesi.” “«Il denaro è come il sesso: se non ce l’hai non pensi ad altro. Se ce l’hai pensi ad altro.»”
Da solita pistina letteraria qual sono, mi permetto di rilevare qualche imprecisione di traslitterazione dal milanese: “Ritornare a Lambrate dopo tutti questi anni mi regala un brivido; ci vivevo appena arrivato a Milano e, da allora, questo quartiere per me è una sorta di Montmartre baùscia.” “«Non far passare altri otto anni, però? Te salùdi.»” Due “ù” che, secondo la pronuncia dialettale, andrebbero con la dieresi. Ma magari mi sbaglio, visto che sono anch’io longobarda, ma non così tanto parlante milanese.
“Quando sei giornalista lo sei per sempre. Con o senza tesserino. Con o senza testata su cui pubblicare. È la curiosità e il desiderio di andare a fondo nelle cose che ti spinge.” Infatti il Radeschi finisce per accettare il ruolo di cronista da un suo ex sottoposto, che ha, durante la fuga, avviato un sito di notizie in tempo reale, battendo la concorrenza cartacea.
Non volendo spoilerare, dico solo che la milanesità del Roversi, oltre che sui luoghi topos della città, (il toro in galleria cui pestare i gioielli, Santa Maria delle Grazie, il caffè più famoso di Milano, le osterie della periferia), si fonda quasi completamente sul Da Vinci, i suoi Codici, le sue Vigne, le sue Macchine, la sua Arte. Il mio applauso va all’ingegnosità tutta vinciana del Roversi per aver così ben congegnato la malefica "macchina letteraria" del criminale, degno dei migliori hacker nerd mondiali, riservandoci anche un raffinato colpo di scena finale.
Come sempre in chiusura, le mie osservazioni sulla vendibilità - o meno - del libro tramite la copertina: anche se non immediatamente riconoscibile come tale, c'è del giallo, quindi è vincente. 5 stelle anche su GoodReads.
Consigliato a coloro che amano i polizieschi, i marchingegni gialli come il Giallone della Vespa anni Cinquanta di Radeschi, a coloro che adorano la città più metropolitanamente europea d’Italia: Milano, agli estimatori di Leonardo Da Vinci.
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