martedì 7 novembre 2017

BORIS E LO STRANO CASO DEL MAIALE GIALLO

Volutamente, non parto mai con una nuova lettura sapendo di che si tratta. Voglio lasciarmi sorprendere, se mai dopo tanto esercizio si riuscisse ancora a farmela. L'innocenza da lettrice si infranse anni fa sugli scogli di Fëdor Dostoevskij.

SPORTELLO 12: Un incipit di quelli fulminanti che ti fanno venir voglia di leggere tutto&subito ma che anche ti dipingono una protagonista così puntigliosa da annotare tutte le sue potenziali azioni prioritariamente elencate sulla Moleskine da cult scrivano, a ribadire uno splendido concetto da scrittore: “il coraggio e la follia sono due lati della stessa medaglia”. Poi scopro quasi delusa che è solo un racconto di tanti. E che BORIS E LO STRANO CASO DEL MAIALE GIALLO è solo il titolo di un racconto di tanti.

TANGO, AMORE, CACIO E PEPE: “Si può amare con il silenzio, con una finta disattenzione, con una distanza che è più di un abbraccio?” Commossa io e non vi dico perché. Dovete leggerlo.

PERSO MA NON BATTUTO, ovvero un racconto fondato su alternanza e rimandi di due punti di vista. Sul dubbio: “Perché se poni la domanda giusta, eh... Dopo sei fregato. Mi concentro. Poi la sento arrivare. Sono un tutt'uno. Essenza e forma, sostanza e idea, contenuto e domanda. ** Perché avere paura?”

DI GIUNCHI E DI GINESTRE: Tra rimandi letterari e dotte citazioni, questo racconto riesce ad inglobare la disperata dispersione delle anime di vecchi con Alzheimer e di un giovane, Andrea, che si trova assieme a loro perché orfano. “... li porterei anche a Santina, Antonio, Giovanni, Francesca, Nina, Silvana, Piero, Annina, Giuseppe, Ferdinando, Rosaria, Anita per vedere l'effetto che fa la vita che va via.” Sembra di sentire una canzone di Enzo Jannacci, in versione malinconica. 

Poi si inaugura una nuova serie di novelle a sfondo carcerario, fatte di umanità strappate e amicizie inconsuete.

Qual è il massimo comune denominatore di ospedali, caserme, scuole e galere (e io aggiungerei banche e aeroporti, se negli ultimi anni non avessero deciso di renderli più “amichevoli”)? Se lo chiede la Iannetti in L'ABITUDINE ARRIVA SEMPRE PUNTUALE. Individua tanti elementi di disagio e li descrive rigorosamente, concludendo: “Qui niente è facile: gesti, sguardi, persone sono illuminati da un'altra prospettiva. Si chiama discrezionalità, o potere.” E ancora: “Ma il vero controllo, qui, la vera prova è quella sull'anima. E puoi avere tutte le monetine che vuoi da togliere dalle tasche. Non serve a nulla, quando entri in carcere.”

Del racconto LA PRIMA VOLTA CHE SONO MORTO nulla vi dirò: è troppo efficace per passare tra parole scritte da altri. Vi colpirà come un pugno allo stomaco, ma chiuderà con la speranza.

Le ultime novelle tornano al tono scanzonato degli inizi. Carine, ma non eclatanti, purtroppo lasciano al lettore la sensazione di aver letto qualcosa di scadente, quando in realtà sarebbe stata sufficiente una diversa successione dei racconti, lasciando per ultimo LA PRIMA VOLTA CHE SONO MORTO. E' un consiglio che mi sento di dare al curatore della collana.

Consigliato a inveterati lettori di racconti ben paradigmatici, a fantasisti delle carceri,a funamboli della parola.

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