martedì 31 dicembre 2024

"Dario Argento - Strutture Narrative, Temi Ricorrenti, Significati" di Fabio Pagano

Nulla capita per caso. Da sceneggiatrice amante nell’adolescenza dei film horror e da milanese convertita alla madaminità, negli ultimi mesi Gloss ha scritto tanti pezzi sulla torinesità curiosa e sconosciuta ai più che spesso si imbattono proprio nei film di Dario Argento (per esempio, qui Il Cinema Nuovo Romano, tra D'Annunzio e Bangla - Dol's Magazine e anche qui Galleria Subalpina - Dol's Magazine)
Perciò, quando le è stata proposta dalla CE Brè Edizioni la lettura del saggio di Fabio Pagano su DARIO ARGENTO, ha aderito con entusiasmo. Subito attutito dai primi tre quarti del libro, che si risolvono in mera catalogazione, ma precisissima, direbbe persino tassonomica, e tuttavia non investigazione delle motivazioni alla radice degli scritti e degli incubi del Maestro. Un’opportunità sprecata. Ma l’autore si riscatta sul concludere del testo, quando tratta l’argomento “definizione e ontologia del genere horror” e relativi effetti emotivi, inducendo riflessioni su eventuali messaggi moralistici (non morali) e danni psicologici influenti su soggetti meno dotati di spirito critico. Prosegue nell’analisi della funzione del genere horror nella Società, stabilendo penetranti parallelismi tra Stephen King e Argento e temi ricorrenti a partire dalla letteratura della Classicità (tragedia greca) riversata nelle pellicole di Argento. Ficcanti le osservazioni del Pagano su letteratura ottocentesca romantica e horror argentiani, specie quelli di sottocategoria esoterica. Conclude il saggio con brevi cenni di sociologia che avrebbero meritato un maggior approfondimento per la lucidità dell’individuazione dei temi, che, purtroppo, si sono fermati alla mera elencazione e non sono stati sviluppati. Le consuete due parole di Gloss che fu Art Director negli “anni della Milano da bere”: soggetto perfettamente aderente al tema trattato, di immediato riconoscimento contenutistico. Ottima scelta. Consigliato come spunto a futuri saggisti di film horror argentiani, come punto di partenza per acutizzare e meglio scandagliare l’indagine socio-psicologica.

martedì 10 dicembre 2024

"Leonardo da Vinci - Lo Scienziato della Vita" di Fritjof Capra

Un altro dei frutti del SalTo24, oltre al testo di Pistoletto https://leggolibrifacciocose.blogspot.com/2024/12/la-formula-della-creazione-di.html , è stato dato dalla visita allo stand Aboca, dove Gloss ha acquistato un tomo di 699 pagine sullo studio “esperienziale” e “sistemica” del genio Da Vinci. Non occorre soffermarsi sulle ragioni della sua genialità artistica, se non in relazione all’utilizzo del segno visuale come supporto all’indagine scientifica. Anzi, non supporto, ma strumento. Il disegno in Leonardo si fa ricerca, indagine esperienziale in una visione sistemica dell’esistenza, dove il “tutto si fa uno”. Per capire l’importanza di Leonardo negli studi sulla fisica, occorre far riferimento al Codice “Volo degli uccelli”, non ancora perfettamente compreso nemmeno allo stato attuale della scienza. Le sue intuizioni sull’aerodinamica e la fluidodinamica precedono di trecento anni gli scienziati come Bernoulli e il suo teorema generale della fluidodinamica che riguarda il rapporto tra la portanza e resistenza. Leonardo lo dedusse non da super computer, ma dall’osservazione diretta del volo planato di albatros e di altri volatili dal grande rapporto alare. Disegnandoli. Disegnando con frecce direzionali come fossero i vettori di forza. Più lunghi sotto l’ala verso l’alto, più corti sopra, verso il basso. Chi si intende di fisica, sa di cosa si parla.

Leonardo provò un’incrollabile fiducia nel volo umano, se studiava così a fondo il volo degli uccelli era per realizzare macchine che avrebbero garantito all’uomo di librarsi in volo, addirittura permettendosi nei suoi scritti di dare consigli pratici ai futuri piloti. In questo risiede la sua esigenza “esperienziale”. Leonardo era ben consapevole, dallo studio comparato di moti nei fluidi e nell’aere, di trovarsi di fronte a problematiche delle turbolenze. In questo invece stava la sua visione “sistemica”. Intuizione che precedette, anche qui di qualche secolo, gli scienziati che se ne occuparono in seguito. Le stesse osservazioni sul comportamento di aria e fluidi influirono sugli studi anatomici di Leonardo in anticipo di quattro secoli.

Il libro “LEONARDO DA VINCI lo scienziato della vita” riporta, tra i tanti, il folio 172v. della Windsor Collection, 1513, “Studi Anatomici”, con la rappresentazione visiva dei flussi turbolenti del sangue all’inizio dell’aorta, che condussero Leonardo a desumere che la chiusura della valvola aortica iniziasse proprio dai vortici sanguigni. Non si sa se Leonardo realizzò un modello in vetro della più grande delle arterie, tuttavia ne intuì alla perfezione il funzionamento, anticipando di tanti secoli la scoperta scientifica, dimostrando coi disegni la chiusura graduale dell’aorta, come nel 1969 concluse un équipe medica. Un’eredità straordinaria.

Altra scoperta scientifica leonardesca fu la causa di morte per arteriosclerosi:


“Quando le vene si invecchiano, esse si distruggono la loro rettitudine nelle lor ramificazioni,e si fan tanto più flessuose, ovver serpeggianti,e di più grossa scorza, quanto la vecchiezza è più abbondante d’anni.” (da "Studi Anatomici, f.69r.)


Si tratta della prima descrizione dell’arteriosclerosi nella storia.

Infine, per Gloss che compì studi scientifici, risulta strabiliante l’anticipazione della moderna topologia. Leonardo non aveva ovviamente cognizione del calcolo infinitesimale, eppure arrivò attraverso il disegno geometrico alla topologia che su di esso si fonda. Stupefacente! Se solo i suoi scritti avessero avuto fin da subito la diffusione che hanno oggi con strumenti come Tepeee, chissà dove sarebbe arrivata la Scienza nel 2024.


Insomma, un tomo tosto ma leggibile tutto d’un fiato dagli appassionati di scienze.



"La Formula della Creazione" di Michelangelo Pistoletto

L’Arte affama Gloss. Essendo appena uscita dal Museo del Cinema contenuto nella Mole, per un attimo si è fatta attrarre dagli sberluccicanti ristorantini acchiappaturisti nella stessa via. Un’occhiata alle svolazzanti tovagliette di carta dalla ineccepibile tristezza, che avrebbero intristito anche il portafoglio, la induce a recarsi in quello che a detta di chiunque, dentro e fuori Torino, è il miglior ristorante della città, il Ristorante Del Cambio in piazza Carignano, di fronte alla sede del Parlamento Subalpino che poi divenne il primo Parlamento Italiano. Aperto nel 1757, il suo nome deriva dalle operazioni di cambio della moneta che si svolgevano all’epoca in quella piazza. Fa parte dell’associazione Locali storici d’Italia.

Non parlerà di ciò che ogni torinese sa già, della delizia del fassone marinato in pregiato vino bianco e aromi, o della dote di maestria assoluta con cui lo chef sa combinare rabarbaro, fragola e mandorla. No.

Non parlerà di quanta storia sia passata su questi tavoli ai quali pare si siano alternati personaggi come Cavour, Balzac, Mozart, Puccini, Nietzsche, Verdi, fino agli Agnelli, a Maria Callas, alla Hepburn. Si, quella Hepburn.

Preferisce parlare dell’artista che a novant’anni va affermando di voler essere immortale OGGI e che ha progettato un ambiente “totale” composto da otto lastre specchianti il cui titolo è “Evento”. “I personaggi ritratti nelle lastre sono “persone normali della vita” che osservano un evento non manifesto e che entrano idealmente in comunicazione col pubblico presente nella sala, pubblico che diventa l’elemento dinamico dell’opera stessa.” Cit. il sito del Ristorante Del Cambio.

Quando l’accoglie il personale di sala, chiede di farla accomodare proprio lì a godere dello spettacolo specchiante da spettatrice ed evento insieme. Trattasi infatti di sorta di balconata di persone che guardano insieme verso un’unica direzione, da lastre disposte sulle pareti della sala. Mettendosi al centro si può cogliere il tutto, che è lo spazio. Di fatto, l’opera circonda lo spazio. E gli avventori sono circondati dall’opera. L’opera evoca un evento che non c’è, ma che tutti stanno aspettando di rimirare. Vediamo cosa dice l’artista stesso del suo lavoro.

https://vimeo.com/125927785


Ah sì, i più accorti ormai avranno indovinato. L’artista è Michelangelo Pistoletto. Al SalTo24 a Gloss viene concessa la possibilità di fare qualche domanda al Maestro su Arte & Empatia. 

G: L'arte è mezzo di compartecipazione anche del dolore. L'arte tecnologica porterà empatia alla tecnologia?

P: Vorrei ricercare un equilibrio tra homo sapiens e homo technicus, tra empatia e tecnologia. Anche perché avremo la possibilità di sopravvivere a noi stessi solo con l’homo technicus. Dobbiamo creare empatia, dinamica nel futuro, trovare l’immortalità nel nostro quotidiano. Essere immortale oggi, per l’appunto.


Autografo di Michelangelo Pistoletto con il simbolo del Terzo Paradiso sulla pagina cara a Gloss – foto di Stefi Pastori Gloss


“Il simbolo del Terzo Paradiso [da lui inventato, n.d.r.] comprende il positivo (energia/massa) e il negativo (spazio/tempo) e io che mi specchio sono il tramite, la sintesi, ovvero l’arte.” Dove realizzare meglio tale sintesi specchiata e specchiante trovandosi tutte e tutti nel contempo spettatori e protagonisti se non al Ristorante Del Cambio.


G: l’arte può essere scienza?

P: La prospettiva di Piero Della Francesca è scienza, matematica, prima ancora degli scienziati. L'arte prima della scienza. Entrambe guardano avanti. 

G: Come si pone l’uomo nei confronti del Mondo?

P: Io, soggetto, sono l'ego, la bandiera del mondo, lo specchio dell'infinito. Non esiste nulla di unico, preciso, esiste solo la combinazione, il caso.


In estrema sintesi ha esposto a Gloss le tematiche proposte ne LA FORMULA DELLA CREAZIONE di Michelangelo Pistoletto. Un artista, un filosofo, un sociologo, un mistico.

Consigliato agli appassionati di filosofia, di cultura, di bellezza e d’arte.


Netnografia


Museo del Cinema di Torino: https://www.museocinema.it/

il Ristorante del Cambio: https://ristorantedelcambio.it/

Il Salone del Libro di Torino, edizione 2024 (SalTo24): https://www.salonelibro.it/


venerdì 15 novembre 2024

"Le Feu de la Haine" di Gianni Donati (traduzione di Michel Orcel)

Ogni volta che autori o CE contattano Gloss perché possa recensire un’opera, si sorprende della fiducia in lei riposta. Così è successo con l’amico on-line Gianni Donati, viaggiatore tra la sua La Spezia e la Francia, con passaggi a Torino, dove Gloss abita. Gli è grata. 

« La vuoi leggere in italiano o francese? » 

« In francese! » 

Gloss all’età di 18 anni visse un anno in Paris come jeune fille au pair a compimento degli studi linguistici della scuola dell’obbligo, ricavando un enorme beneficio per la conoscenza della lingua e nei rapporti umani. Però la lingua è cosa viva, se non la si mantiene tale, se non la si parla, se ne perde vocabolario, frasi idiomatiche, facilità di comunicazione. Gloss stavolta non avrà quindi la presunzione di eseguire la consueta analisi glottologica o filologica. La farà di contenuti.

Il romanzo del Donati si costituisce di due parti. Una, si svolge nel XVII secolo, l’altra nei tempi odierni. Entrambe hanno la Corsica come denominatore comune. Quella contemporanea, sembrerebbe a Gloss la cronaca del Donati di una vacanza a scopo di studio per la scrittura dell’altra. Tuttavia, apparentemente sono slegate, il che rende difficoltosa la lettura, non esistendo parallelismi né agganci tra le due. Il buon Donati avrebbe infatti voluto farle lo “spiegone” prima della lettura, ma Gloss preferisce mantenere il giusto distacco da un’opera perché è difficile che il lettore medio possa beneficiare degli “spiegoni” dell’autore. Un’opera deve poter essere comprensibile da sola, così com’è. 

In più, Gloss è convinta che se ascoltasse gli “spiegoni”, si appassionerebbe troppo all’opera da poterla criticare (sempre costruttivamente!) per poter essere lucida. E così ha letto e analizzato LE FEU DE LA HAINE con lo stesso candore di una bimba intonsa. 

Difficile dire che c’è una trama con due parti slegate tra loro che nelle intenzioni dell’autore invece farebbero corpo unico (diversamente, non le avrebbe unite nel medesimo romanzo). In caso di riscrittura dell’opera, andrebbe tenuto a mente lo sforzo di riorganizzare, anche sinotticamente, il plot. 

Al Donati va comunque il merito di aver un forte spirito di ricerca storica che l’ha portato ad approfondire le dinamiche nei rapporti di potere dell’epoca, in un’isola distaccata, solo apparentemente, dal resto del mondo, dove il potere si intreccia fittamente con conquiste territoriali, stragi, ammazzamenti, ma anche amore filiale, sesso e religione. Quindi non solo fuoco della “haine” (odio) ma anche quello dell’ “amour”.

Qua e là il traduttore, che a mio avviso diventa spesso autore, ha determinato di lasciare certi lessemi in italiano, perché per il corso è più forte il senso (come “vendetta”). Pare scelta appropriata. 

Alcune forme sintattiche mi sono apparse scorrette (per esempio, la mancata inversione di posizione degli aggettivi) ma anche il francese, come l’italiano, avrà seguito l’evoluzione della società verso una minor precisione dell’uso della grammatica. Peccato.

Attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole, si instaurano regimi non democratici.  Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. Gloss rende proprio l'invito del citato Christophe Clavé in VOCABOLARI E GOVERNI : "Facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti. Anche se sembra complicato. Soprattutto se è complicato. Perché in questo sforzo c'è la libertà.”

In un romanzo, come in qualsiasi opera d’arte, vige la regola del sorprendere i fruitori e le fruitrici. A causa della sua pregressa professione (Art Director negli anni della Milano da bere) Gloss è un’appassionata d’arti visive e di arte in generale, sa che il messaggio esce dall’opera se gli spettatori ne sono coinvolti/scioccati/emozionati. Al limite, anche schifati (si pensi alla “banana” di Cattelan). Il Donati ci riesce, parlando del “quinto incisivo di Michelangelo Buonarroti”. Se non lo si sa, Gloss vi lascia la libertà di scegliere se leggere la nota* a piè di pagina o il romanzo di Donati.

Consigliato alle menti che amano l’arte.


Il mistero svelato dei denti di Michelangelo | Arte | Rai Cultura


giovedì 11 luglio 2024

"Papillon" di Henri Charrière

Detto “Papillon” per via di una farfalla tatuata sul torace, all’autore Henri Charrière nessun nomignolo sarebbe stato più appropriato per via delle sue vicissitudini che hanno quasi dell’incredibile. Condannato (a suo dire ingiustemente) all'ergastolo per un omicidio, la sua esperienza è decollata da quello che al tempo era probabilmente il peggior sistema carcerario del mondo, ossia la colonia penale dell'isola del Diavolo nella Guyana francese e costellata da infiniti tentativi di fuga, spesso infruttuosi, che gli costeranno anni di isolamento. Accompagnata costantemente dal desiderio di
libertà, fu davvero una farfalla nata libera. Gloss vide il film prima del libro. Gloss conobbe la biografia romanzata del personaggio grazie al film “Papillon”, diretto da Franklin J. Schaffner nel 1973 con un attore di cui, bimba, si innamorò perdutamente: Steve McQueen. Girato in luoghi remoti, il film finì per costare parecchio, ma guadagnò più del doppio già al primo anno di uscita, sostenuto dal successo letterario del romanzo.Negli anni Settanta il romanzo registrò un enorme successo di vendite grazie alla cronaca dettagliata della vita carceraria che, tuttavia, pare sia stata ispirata all’autore da altri carcerati suoi compagni di sventura. Pur essendo una persona ignorante, Charrière scrisse di proprio pugno i vari quaderni nel giro di poche settimane, narrando, raccontando di getto. Instaurò una sorta di nuovo stile letterario, come raccontando in prima persona al lettore con la pancia, senza filtri né travisamenti, con l’immediatezza tipica di chi racconta nella propria ristretta cerchia di amici. Fatta la tara delle imprecisioni grammaticali e/o lessicali, l'editore ritenne di lasciare l’impronta originale dell’autore, decretandone il successo. Consigliato ai sedicenti ghost writer per carpire i segreti del mestiere. Ovvero, il rispetto della libertà di raccontare.

domenica 4 febbraio 2024

"Il Quadrifoglio Meccanico" di Attilio Piovano

Una raccolta di racconti singolari che scatenano curiosità, spasso e spirito di ricerca nel lettore. Due parole sarebbero da spendere sul Maestro Attilio Piovano, titolare di Storia ed Estetica della Musica al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, (ultimo accesso 04 febbraio 2024), ma è tanta la notizia lui riguardante che Gloss esaurirebbe lo spazio della recensione. Invita a cercarlo in Rete, se ne rimarrà piacevolmente sorpres3. Tuttavia conoscerlo solo in Rete sarebbe inadeguato: Attilio ha caratteristiche personali tali
da consentirgli con grande merito di essere proprio dove sta, ai vertici delle attività artistiche e culturali e musicali torinesi. Le si coglie al volo al primo contatto. Conosciuto a un evento proposto dal Centro Studi Pannunzio che aveva come luogo il Conservatorio e, nello specifico, la Collezione di strumenti musicali, costituita dal confluire di fondi di svariate provenienze e altrettante svariate vicissitudini, Attilio rivelò la propria passione per catalogazione, compilazione di elenchi, classificazione di elementi e… la comunicazione. Una logorroica come Gloss riconosce con facilità i suoi simili. Nel sostenere che la scrittura sia terapia, in quanto supporto emotivo che migliora lo stato di salute psicologico e influisce in modo positivo anche su quello fisico, Gloss afferma che scrivere aiuta a guarire o perlomeno a migliorare sé stessi, a limare certi spigoli. Gli spigoli di Attilio, se le consente di definirli tali, sono proprio legati alla sensazione di maniacalità che trasmette agli uditori. I racconti de IL QUADRIFOGLIO MECCANICO sono diversissimi tra loro come personaggi, ambientazioni, metalinguaggi ma sono dotati di un comune denominatore: la catalogazione/compilazione/classificazione a livello ossessivo. Trasponendo i propri difetti nei personaggi, la scrittura gli è utile per scartavetrare la personalità. Il Piovano ne è consapevole. La lezioncina di psicologia da settimana enigmistica, come ama definirla Gloss, finisce qui perché insegna nulla a un autore che già sa, anche di sé. Ma creerà la giusta aspettativa nel lettore. Troverà racconti divertenti animati da personaggi poliedrici, simpatici nelle loro fissazioni e bizzarri capricci nei quali chi legge facilmente può identificarsi. Chi può professarsi libero da smanie e chiodi fissi scagli la prima nota. Il Piovano dà prova di grande maestria nell’approfondire i più variegati argomenti, arrivando persino all’adozione di un linguaggio formalizzato, per analizzare e studiare un diverso ambito da quello letterario (medico, linguistico, nautico, farmaceutico, a seconda del racconto.) Curiosamente, mai fa riferimento alla musica. O quasi. La proposta di termini desueti o poco utilizzati palesano la dottità del Piovano. Se in un paese come il nostro, l'Italia, vige un linguaggio affetto da tronismo acuto, si perde vocabolario. Con la perdita di vocabolario, si perde cultura. Con la perdita di cultura, si perdono diritti. Con la perdita di diritti, si perde umanità. Con perdita di umanità, si arriva a violenza e guerra. Tramite i suoi approfondimenti e le sue proposte lessicali e la sua dottità, il Piovano pone un freno al tronismo e, per sillogismo, alla violenza. Dottità, un neologismo necessario a ovviare all’istupidimento del termine ‘saggezza’ nel piovanesco splendore intellettuale. Non nel caso del Piovano, a volte parole brillanti, ampie, ricche, che per pigrizia si infilano in locuzioni stereotipate fino a morirci. Un neologismo arricchente, vivificante, rinnovativo come dottità ha quel pizzico di ironia in più che rende coinvolgenti le parole altrimenti troppo consuete. La dottità come attributo fondante del nome di uno dei sette nani, diverte se infilata in un racconto. L'azione del divertire va intesa secondo il suo stesso etimo: dal latino [divertĕre] ‘volgere altrove, deviare’, non solo fisicamente, nel senso dello spazio, ma anche mentalmente, allontanandosi dall'abitudine del quotidiano. Il brano musicale fa godere di un’esecuzione strumentale nel pieno della sua dottità. E diletta. Leggendo un grande autore come il Piovano se ne apprezza la dottità priva di sbavature. È un crinale, la dottità, dove la saggezza incontra ironia e divertimento. I racconti de IL QUADRIFOGLIO MECCANICO ne sono ricchi. Altra dote è l'apparente assenza di senso, per dirla alla David Byrne e Jonathan Demme, #stopomakingsense (ultimo accesso 04 febbraio 2024. E fa dei racconti de IL QUADRIFOGLIO MECCANICO una sorta di manifesto patafisico. Gloss non ne può più di favole moraleggianti esopiche, ormai valide solo a.C. e apprezza vieppiù il Piovano. Piccola annotazione da ex Art Director nella "Milano da bere": la copertina offre un'altra sorpresa, Tanti pregi, un difetto. C’è molto rumore mentale in questi racconti, dispersivo d’attenzione. “La musica non sta nelle note, ma nel silenzio tra esse.” Wolfgang Amadeus Mozart, al contrario della sua serietà, tenne un epistolario pieno di umorismo allegro e osceno infarcito di frequenti riferimenti coprofili e coprofagi con la cugina Maria Anna Thekla. “Wolfgangus Amadeus Mozartus”, come scherzosamente amava firmarsi, offre un consiglio al musicologo: talvolta deve tacere la penna per lasciar fluire l’immaginazione del lettore. Ah già, è capricorno. Non può. E forse meglio così. Faccia attenzione al rischio di presunzione: Gloss ha reperito un termine non appropriato al contesto. Consigliato a coloro che ambiscono a porre un freno al baratro culturale dell’Italia, affetta da tronismo acuto, arricchendo il proprio lessico per diletto ma anche a tutela dei diritti umani.